riflessioni sul dopo voto

"Sulla Quercia Cofferati sbaglia il sindacato faccia il suo mestiere"
D'Alema: io segretario? Non ora, ma tutto può succedere
Il presidente dei Ds risponde al leader della Cgil, e boccia la sua proposta di creare un governo ombra dell'Ulivo
SEBASTIANO MESSINA

                      

ROMA - C'è uno strano silenzio, nello studio di Massimo D'Alema alla fondazione Italianieuropei. Strano, perché il presidente dei Ds è già tornato in campo. E' stato alla segreteria dei Ds, ha partecipato al comitato esecutivo dell'Ulivo, e sta per andare all'assemblea del gruppo parlamentare. D'Alema torna in campo, dunque. Ha già cominciato quella che considera la sua prossima sfida, la battaglia congressuale che segnerà l'identità dei Democratici di sinistra. Assicura che di non puntare alla segreteria del partito, ma non lo convince la rotta indicata su «Repubblica» da Sergio Cofferati.
Onorevole D'Alema, il segretario della Cgil invita i Ds a scegliere, come fondamentale punto di riferimento, «i bisogni e le aspettative dei lavoratori». Perché questa ricetta non la convince?
«Noi dobbiamo certamente riconquistare un rapporto con i lavoratori. E' un grande problema. E mi permetto di dire che lo è anche per il sindacato. Il punto è di dare una rappresentanza al lavoro, sapendo però che il lavoro sindacalizzato rappresenta ormai una minoranza. Un grande partito deve preoccuparsi anche del lavoro autonomo, del lavoro flessibile...».
Noi non possiamo fare l'opposizione al posto dell'Ulivo, avverte il segretario della Cgil.
«Cofferati ha ragione: ci vuole una divisione dei compiti, tra i sindacati e i partiti».
A ciascuno il suo?
«E' una questione di ruoli. Il sindacato rappresenta in modo fondamentale, ormai, una parte del mondo del lavoro. Noi dobbiamo porci un problema più ampio: la rappresentanza politica, non sindacale, del lavoro. Se noi pensiamo di uscire dalle nostre difficoltà ripiegando sull'esclusiva rappresentanza degli operai e dei gruppi sociali più tradizionalmente legati alla sinistra, lasciamo alla Margherita il monopolio dell'innovazione. E a quel punto non avremmo due gambe, ma una gamba vecchia e una gamba nuova. E noi non vogliamo essere la gamba vecchia del centrosinistra».
Giuliano Amato ha posto alla Margherita il problema del riferimento europeo, nel momento in cui il Ppe è diventato quello di Berlusconi. E ha aggiunto che se Rutelli e i suoi scegliessero la famiglia socialista, si potrebbe parlare di un partito unico dell'Ulivo. Lei è d'accordo?
«Oggi il problema del partito unico non è un tema politicamente attuale. Meno che mai dopo la costruzione della Margherita. Ma certo, la questione centrale è quella del riferimento europeo. Noi democratici di sinistra siamo impegnati proprio nello sforzo di costruire una formazione politica più robusta, più ampia, più rappresentativa, più moderna, in grado di rappresentare in Italia i valori del socialismo europeo. Se poi anche la Margherita entrasse nel Pse, questo aprirebbe la strada a un nuovo partito. Ma non mettiamo il carro davanti ai buoi».
I Ds hanno toccato il 13 maggio il loro minimo storico, dopo cinque anni di governo del paese. Lei quale ricetta ha in mente, per invertire la tendenza?
«Un momento. Noi non possiamo considerare il 14,5 per cento della Margherita come una straordinaria risorsa, e il 16,6 per cento dei Ds come l'anticamera della fine. Ciò non toglie che il risultato imponga una discussione di fondo sul ruolo della sinistra nella coalizione e nel paese».
Tutto è relativo: sono quattro punti meno dell'altra volta. Dove avete sbagliato? Siete stati poco di sinistra?
«Non credo che questa risposta sia quella giusta. Se lo fosse, Rifondazione avrebbe dovuto guadagnare voti, e invece ne ha presi meno di quando era alleata dell'Ulivo. Comunque, noi terremo un congresso, faremo la nostra riflessione su questi anni. In questo momento, più dell'esame retrospettivo, mi interessa molto di più indicare gli obiettivi per i quali dobbiamo lavorare».
Per esempio?
«Coniugare i valori della sinistra con il bisogno di innovazione. Vede, oggi noi corriamo due rischi. Il primo è quello di scegliere un ruolo ancillare, subalterno, e diventare una sorta di An dell'Ulivo, un utile e magari essenziale serbatoio di voti e di militanti ma senza un profilo autonomo, netto, riconoscibile. Il secondo è la possibilità che scatti una chiusura in difesa, un arroccamento che ci spinga a radicalizzare le nostre posizioni sul piano sociale buttando a mare quello sforzo di innovazione culturale che ci mette in sintonia col socialismo europeo. Io credo che il primo grande problema, per essere una grande forza, è pensare in grande. Se uno rinuncia a pensare in grande, poi dopo diventa piccolo».
Nel nuovo Parlamento la sinistra sarà divisa in vari gruppi e sottogruppi, mentre il centro dell'Ulivo, per la prima volta, si riunirà in un unico gruppo, quello della Margherita. La seconda gamba dell'Ulivo potrebbe presto diventare un partito unico, il partito della Margherita, con una forza elettorale molto vicina a quella dei Ds. E' una prospettiva che la preoccupa?
«Per nulla. Io sono un convinto sostenitore della necessità che l'Ulivo abbia due gambe solide e forti. Perciò mi auguro che la Margherita proceda nella trasformazione di questo accordo elettorale in una formazione politica, che spero abbia una forte capacità di attrazione verso l'elettorato moderato. La sinistra non ha il problema della concorrenza del centro».
Tra qualche giorno nascerà il governo Berlusconi. Massimo D'Alema sarà il ministro degli Esteri del governo ombra?
«Io sono a disposizione di tutti gli incarichi che mi si vuole dare. Se hanno un senso, si capisce».
Lei non crede che il governo ombra abbia un senso?
«Io penso che noi dobbiamo rafforzare la struttura dell'Ulivo: il comitato esecutivo, che ha diretto la campagna elettorale e che ha deciso di continuare a lavorare anche dopo, almeno fino allo svolgimento dei congressi dei partiti...».
Perché, cosa succederà nei congressi dei partiti?
«Questo non possiamo saperlo, adesso. Lo vedremo dopo. Intanto noi dobbiamo consolidare gli organismi dirigenti della coalizione. E poi dobbiamo mantenere quella rete di comitati dell'Ulivo che sono nati nel Paese. Infine dobbiamo creare un coordinamento parlamentare molto stretto tra i gruppi».
Dunque lei non mette il governo ombra tra i primi obiettivi dell'Ulivo. Neanche se fosse la forma che l'Ulivo trova per darsi una struttura istituzionale al di sopra dei partiti che ne fanno parte?
«Non saprei. Questa soluzione mi lascia molto dubbioso sulla sua praticabilità e sulla sua utilità. A meno che non sia una soluzione sostitutiva di tutti gli altri organismi di coalizione, non aggiuntiva. Comunque, la questione è stata accantonata, sarà approfondita in seguito. Per il momento prevalgono le perplessità. Poi vedremo».
Come sono i suoi rapporti con Francesco Rutelli?
«Ottimi. Per quanto io sia una persona, diciamo, non facile da trattare sul piano personale, lui è invece un uomo estremamente amabile. Quindi è difficile avere conflitti personali con lui».
A proposito di vicende personali: è vero che lei e Marini complottaste contro Prodi?
«Ho letto l'articolo del Corriere. Non racconta alcun complotto. Riferisce solo una battuta che è stata smentita dallo stesso Marini. Noi non abbiamo mai complottato contro Prodi. Le dirò una cosa che non ho mai detto. In quei giorni io non potevo dedicarmi nessun complotto, come sa bene chi mi accusa di averlo ordito: tanto più considero questa campagna una delle peggiori infamie che io abbia dovuto subire in questi anni».
E' un'invenzione anche il dualismo D'AlemaVeltroni, il lungo braccio di ferro invisibile che ha segnato la vicenda diessina?
«Io non ho mai fatto la guerra a Veltroni. Possiamo avere diverse sensibilità, diversi modi di pensare che non ho mai nascosto, a cominciare da quando ci contrapponemmo limpidamente per la guida del partito. Ma non credo che il problema dei Ds sia il rapporto tra noi due».
E' tutta una fantasia dei giornali?
«Non lo so. So che quando io ebbi l'incarico di formare il governo, dopo il fallimento del tentativo di ricostituire la maggioranza intorno a Prodi, io ero molto perplesso. Fu Veltroni che mi chiese di accettare. Venne nel mio ufficio, insieme a Mussi, e mi disse: guarda Massimo, noi siamo convinti che il governo lo debba fare tu, altrimenti entra in crisi il bipolarismo». Lei vuol fare il segretario dei Ds? «Non so come andranno le cose, ma nei miei programmi non c'è quello di fare il segretario del partito». Però potrebbe succedere. «Non è il mio obiettivo. Poi tutto può succedere, un terremoto, qualsiasi cosa. Ma io sono presidente del partito, carica nella quale non mi dispiacerebbe essere confermato». Ci sarà una mozione D'Alema, al congresso? «Ne discuteremo. Io mi impegnerò per chiamare a raccolta tutte le forze che vogliono seriamente battersi per rilanciare la sinistra in una visione non subalterna, moderna, con un orizzonte di governo. Credo di avere il dovere di dare il mio contributo, perché se non lo dessi questa prospettiva sarebbe più debole. Poi vedremo, alla fine, come ci disporremo». Sarà Piero Fassino, il candidato alla segreteria della mozione D'Alema? «Lo statuto prevede che il candidato venga indicato dai firmatari di ciascuna mozione. Sarà una scelta collegiale. Fassino è una persona che stimo e che sento vicina al mio modo di intendere il ruolo e il futuro della sinistra». Qual è l'errore che Massimo D'Alema si pente di aver commesso? «Il mio errore politico più grave è stato quello di caricarmi progressivamente l'immagine di avversario dell'Ulivo. Perché non è vero e perché questo ha molto indebolito la mia posizione politica. Non aver chiarito che la difesa dell'autonomia della sinistra non significava la negazione del valore della coalizione è stato un errore che avrei dovuto evitare, io che sono stato uno degli ideatori e dei fondatori dell'Ulivo».