riflessioni sul dopo voto


CONGRESSO CGIL
Per salvarci dalla tenaglia
DINO GRECO *

Alla fine, la Cgil va a congresso. Essendo l'evento di qualche rilievo nel desolante panorama della sinistra politica e sociale, pare a me utile cominciare a discutere pubblicamente di come lo si affronta e per fare cosa.
1) Tutto il dibattito post-elettorale (per lo meno quello proteso a non rimuovere le cause della sconfitta) ha indicato nella crisi di rappresentanza politica del lavoro la ragione di fondo di un collasso, di una crisi profonda di progetto e persino di idealità che hanno tolto riconoscibilità e credibilità alla sinistra di governo, confinando quella di opposizione, pur sopravvissuta, in uno spazio residuale.
In Cgil, dove questa tesi trova larga e autorevole udienza, accade un fatto singolare. Il più grande sindacato italiano, in tanta parte del suo gruppo dirigente, si comporta come se esso non avesse parte alcuna nei processi politici che si sono determinati nel paese: quasi non vi fosse relazione plausibile fra società e politica, fra rappresentanza sociale degli interessi e democrazia, fra la materialità delle condizioni di lavoro, l'esercizio della contrattazione e la cultura di giovani e meno giovani generazioni di lavoratori. La Cgil è posta al riparo da ogni appunto, la crisi sembra non riguardarla, anzi. La critica aspra rivolta alla sinistra politica convive disinvoltamente con l'ostentazione di una Cgil in ottima salute, in crescita di iscritti ed ultimo, residuo baluardo di fronte all'arrembaggio delle destre e alla rotta delle sinistre.
Questa rappresentazione è palesemente non veritiera, perché occulta il grave deficit di strategia sindacale di cui vi è in giro più consapevolezza di quanto si voglia far credere.
Che in una fase prolungata quant'altre mai di crescita economica la distribuzione del reddito abbia pesantemente penalizzato i salari, che la riorganizzazione del lavoro sia avvenuta all'insegna della precarizzazione, che i diritti dei lavoratori si siano ridotti e, ancora, che il sistema di protezione sociale non si sia certo rafforzato in questi anni sono fatti che chiedono qualche analisi meno sommaria e qualche spiegazione non liquidabile esibendo l'ingresso nell'Euro e qualche migliaio di posti di lavoro provvisori.
La rimozione è talmente vistosa da apparire paradossale. Come se quell'elegia della flessibilità tanto biasimata e contrastata nelle affermazioni di principio non avesse permeato nel profondo la pratica contrattuale sino a rappresentare la costituzione materiale della stessa Cgil o di larga sua parte; come se le condizioni di lavoro e persino la sicurezza dei lavoratori non fossero divenute abituale materia di scambio, tanto nella contrattazione nazionale quanto in quella decentrata; come se la rinuncia al rapporto democratico con i lavoratori fosse soltanto addebitabile alla mancata approvazione della legge sulla rappresentanza e non, invece, ad una condizione passivamente subita o, addirittura, ad una scelta consapevolmente compiuta.
Da tempo sosteniamo - non con le sole parole, ma grazie ad una concreta esperienza sindacale - che questa situazione non avrebbe potuto durare e che il rapporto con i lavoratori, la costruzione di una linea di effettiva autonomia sindacale non potevano essere surrogati da un sistema di relazioni industriali fondato sulla reciproca legittimazione di parti sociali in stato di non belligeranza e da un governo mallevadore e formalmente concertativo.
Ora che l'esito elettorale ha registrato e impresso una formidabile accelerazione al processo che era già in atto, ora che l'equilibrio si è rotto, che Confindustria va all'attacco e la destra al Governo promette sfracelli risulta più chiara l'impossibilità di affrontare la situazione data con un arsenale strategico largamente obsoleto.
Se l'esigenza di un mutamento era matura già prima, oggi è persino manifesta e il goffo tentativo di rimettere in sesto i vecchi e logori schemi lungo una linea di sostanziale continuità esprime una vera e propria coazione a ripetere, un limite culturale che può essere colmato solo attraverso un cimento scevro da pregiudizi e con un impegno collettivo.
2) Il congresso della Cgil, improvvidamente rinviato, potrebbe essere l'occasione per raccogliere la sfida, per ricostruire un punto di coagulo che faccia davvero leva sui lavoratori, non occultando le differenze dentro unanimismi ipocriti, ma rendendola esplicita, chiamando alla discussione aperta, alla ricerca, al confronto serrato e dirimente su opzioni diverse che ambiscano però a parlarsi, non a chiudersi dentro ambiti incomunicabili per custodire inossidabili verità.
Questa dovrebbe essere l'ambizione di un gruppo dirigente non assillato dall'ossessione della propria sopravvivenza burocratica; questo dovrebbe essere l'intento di quella parte della maggioranza cui piace definirsi "critica" ma che, al dunque, non batte un colpo. E questa dovrebbe essere la sfida vera di una sinistra sindacale non ingessata nella propria autoreferenzialità: rompere non alzare il recinto; reingaggiarsi, investire il patrimonio di elaborazione e di proposta che si possiede, non ridurre la propria ambizione ad una conta che potrà al massimo assicurare qualche punto percentuale in più, ma non produrre quella discontinuità di linea e di pratica sindacale che è nelle intenzioni dichiarate.
Per questo avevamo avanzato la proposta di un congresso "a tesi", interamente votato ad un confronto di merito, ove fosse possibile articolare la discussione, complicarla persino, evitando di costringere ogni iscritto a scegliere (prima ancora che un sistema coeso di tesi, da prendere o respingere in blocco) lo schieramento che lo sostiene.
Questa possibilità non sarà data. Anzi, si è voluta pervicacemente seguire un'altra strada: quella di un congresso da separati in casa, che affida alla sinistra il ruolo dell'opposizione, mentre la questione della linea politica della confederazione resta un affare privato che la maggioranza gestirà in proprio.
Il Congresso della discontinuità rischia, prima ancora di iniziare, di favorire il continuismo e di assolvere i vizi di sempre, di non produrre mutamento ma, nella migliore delle ipotesi, manutenzione ordinaria. Di tutto ciò, ne sono convinto, avremo tutti più chiara percezione quando, a congresso celebrato, torneremo nei luoghi di lavoro e dovremo dar conto dell'esito di una battaglia.
3) Ma c'è dell'altro. Perché se le conclusioni dei lavori della commissione incaricata di redigere il regolamento congressuale saranno confermate ci troveremo di fronte ad una perfetta blindatura del congresso, con il divieto di formulare documenti alternativi dal basso e con la facoltà puramente virtuale (perché sottoposta a quorum impossibili) di presentare documenti o emendamenti nazionali.
In questo modo, il congresso della Cgil si ridurrebbe ad un referendum.
Perchè questo condiviso atto di imperio? Perché questa conventio ad excludendum? Perché tutto ciò che è eccentrico, vale a dire non immediatamente riconducibile allo schema dei documenti contrapposti, deve scomparire? E poco importa se esso è il frutto di pratiche sindacali vitali, se indica una strada, tutt'altro che neutra perché interpreta "un nuovo modo di fare sindacato". Perché questo non interessa e si preferisce che lo stampo imprima ovunque il suo identico marchio e le carte sparigliate da processi sindacali reali siano per forza ricondotte al modello generale, ai prototipi?
Come è possibile che non si avverta il danno politico e la vulnerazione democratica che rivela la scelta di imporre, con la forza del regolamento, una logica maggioritaria, una semplificazione che è in realtà un impoverimento?
Conosco l'obiezione: nella pratica dei "cento fiori", mi è stato detto, si potrebbero nascondere gli opportunismi, la tentazione di celare il confronto spigoloso, di difendere le posizioni di potere personale, di mimetizzare il congresso dentro una cortina fumogena di pseudo-contributi, di aprire la strada a compromessi deteriori fra burocrazie.
Rispondo: l'opportunismo è malattia antica e dura e si insinua duttilmente in ogni piega; sa eludere qualsiasi regolamento, persino - è facile intuirlo - quello così drasticamente censorio che è in gestazione.
Non è sugli opportunismi che il regolamento si abbatte come una scure.
Quella che viene tramortita e annichilita è la ricchezza dei processi reali, là dove l'iniziativa sindacale è stata capace di produrli.
E' su realtà come Brescia che si stringe la tenaglia; è li che si interrompe un processo fecondo, una costruzione che è costata fatica e lavoro e che ha prodotto - in termini di cui credo nessuno possa dubitare - elaborazione e pratica sindacale, coerenza fra quello che si dice e ciò che effettivamente si fa.
4) Voglio poter sperare che queste considerazioni non cadano del tutto inutili sulle ultime, decisive battute della preparazione del congresso. E' in ogni caso opportuno che tutti siano ben consapevoli - oggi per domani - di cosa è in gioco.
E mi auguro che anche altri, nella tormentata sinistra sociale, non vi guardino con distrazione.
Se poi la strada rimarrà ineffabilmente quella tracciata, sceglieremo, con la coerenza che è ben visibile nella nostra storia.


*Segretario generale Camera del lavoro di Brescia