PROVINCIA DI MILANO: AVVIO INCOERENTE

Per una riflessione critica sul debutto della nuova amministrazione

di Valentino Ballabio

A meno di un anno dalla sorprendente elezione di Filippo Penati alla presidenza della Provincia di Milano è ancora presto per esprimere giudizi e valutazioni di merito sull’operato della nuova amministrazione. Non è tuttavia mai troppo tardi per allertare il senso critico e provare a prevenire limiti ed errori che si celano dietro l’angolo quando dalla legittima soddisfazione per la “vittoria” si passa alla concreta azione di governo. Ed il centro-sinistra, più o meno allargato a Rifondazione ed altri, non è nuovo a sprecare le occasioni offertegli dall’elettorato, a Milano come a Roma.

Già Machiavelli ammoniva che i “principati” se non si hanno bisogna prenderli, ma quando si hanno bisogna “tenerli”, come purtroppo non è accaduto – negli anni ’90 – per la giunta Tamberi e per i governi Prodi e D’Alema!

 

Giunta gonfiata, competenze sminuzzate

Quindi meglio diffidare e, se del caso, dissentire dal coro degli entusiasti e degli yes-men. Ed a mio avviso, a giudicare dai preliminari, non è iniziata bene, a cominciare dall’assetto della squadra. La estensione e la composizione della Giunta è risultata infatti pesantemente elefantiaca per un’istituzione “leggera”, per competenze ed entità del bilancio, quale la Provincia. La legge elettorale del 1993 aveva opportunamente ridotto a 8 il numero degli Assessori, in linea con la tendenza allo snellimento istituzionale ed alla semplificazione burocratica che in seguito avrebbero dato luogo alle “leggi Bassanini”, le quali per altro – spostando la responsabilità amministrativa e gestionale dai politici ai tecnici – riducevano di molto il ruolo degli Assessori, privandolo della firma di tutti gli atti decisionali e limitandolo alla responsabilità collegiale nell’ambito della Giunta. Inoltre sempre la legge del 1993 aveva trasformato gli Assessori da eletti a nominati, a confortarne la natura di “saggi” o consiglieri del Sindaco, o del Presidente, in capo al quale veniva unificata sia la responsabilità politica che la rappresentanza legale.

La realtà è tuttavia andata in tutt’altra direzione. Con vari escamotage lo Statuto della Provincia di Milano nel 1997 (maggioranza di centro-sinistra più Rifondazione) fu modificato, con un solo voto contrario, al fine di aumentare gli Assessori da 8 a 12, col risultato di sdoppiare (es. viabilità e territorio) e frammentare le poche competenze reali disponibili! I funzionari pubblici sono ben felici infatti quando possono servire, come Arlecchino, due padroni! Inoltre la legge Napolitano del 2000 allargò ancora le Giunte, oltre ad allungarne il mandato da 4 a 5 anni. La Giunta Provinciale di Milano passò allora da 12 a 16, per quanto la Presidente Colli ne utilizzasse solo 14. Ma Penati, che ha dovuto mettere assieme dodici liste, le donne, i brianzoli, i sestesi e quant’altro ha fatto il pieno, col risultato di polverizzare le esigue funzioni e competenze spezzandole in due o in tre (Arlecchino servitore di tre padroni!); vedi il “lavoro” disgiunto dalla “formazione professionale” e dalle “crisi occupazionali” che fanno capo a tre diversi Assessori. Oppure la “mobilità ciclabile” distinta dalla “viabilità”. Per non parlare delle deleghe creative quali i “rapporti con le Province limitrofe” ed i “diritti dei bambini e delle bambine” nonché “degli animali”!

Una Giunta di 16 assessori corrisponde dunque ad una seconda assemblea, non eletta, destinata inevitabilmente a svuotare e svilire la funzione di indirizzo e controllo del Consiglio Provinciale: 45 membri eletti dal corpo elettorale ma destinati a scaldare sedie ed alzare mani tenuto conto della sostanziale inconsistenza della minoranza di centro-destra che non è mai stata in grado di esercitare, negli Enti locali, una valida opposizione ancorché incapace di governarli. Ma non è finita. Con l’avvento della Provincia di Monza la pletora di organi e relativi prolungamenti burocratici e consulenziali rischia di duplicarsi o quasi.

 

Provincia dimezzata, metropoli inesistente, politica rampante

Veniamo infatti all’altra decisiva novità: l’altrettanto imprevista approvazione, avvenuta con un’incredibile contorsione pre-elettorale della Lega e contro le previsioni e le convinzioni dei più (che oggi tuttavia si rassegnano a far buon viso a cattivo gioco) della “secessione” di Monza e limitrofi.

Occorre per altro ricordare che il contesto di riferimento presenta caratteri di preoccupante e diffuso disagio, ovvero di prolungata emergenza, sotto almeno due profili:

- profilo economico-territoriale, in particolare riguardo al sistema della mobilità, in grave difficoltà su tutta l’area centrale della Lombardia, con effetti negativi sia sotto l’aspetto della qualità ambientale che sotto quello, correlato, della perdita di competitività che comporta de-localizzazione delle attività produttive e perdita di occupazione e di reddito;

- profilo politico-istituzionale, stante la perdurante incertezza e instabilità dello stesso quadro costituzionale, nonché la caduta di capacità decisionale e di governo di organi pubblici relegati alla semplice collaborazione istituzionale (o governance ovvero pubbliche relazioni tra Enti con competenze poco definite, spezzettate, sovrapposte) che rende incerto il “chi deve fare che cosa” mentre prosegue, da almeno tre lustri, un’espansione insediativa deregolata e disorganica a fronte di infrastrutture arretrate e bloccate.

La clonazione della nuova Provincia rende allora necessaria una discussione di merito, tenuto conto dell’impatto che essa produce sul sistema metropolitano, tanto sotto il profilo economico-territoriale che sotto quello geopolitico e istituzionale. Non v’è dubbio infatti che la scissione brianzola modifica sostanzialmente la natura della stessa Provincia di Milano, nonché il rapporto, già da sempre squilibrato, con il Comune di Milano. Se infatti la città di Milano ha sinora regolato i rapporti con il proprio intorno in termini di predominio, d’ora in poi il criterio di potere “divide et impera” risulta facilitato dal fatto che i destinatari del dominio si sono divisi da soli.

Pertanto l’impatto dell’istituzione della nuova Provincia sull’assetto istituzionale preesistente è destinato a comportare:

- l’accentuazione della conduzione centralistica e piramidale del governo effettivo dell’area metropolitana, risultando il peso ed il potere del Comune di Milano preponderante, sopratutto in termini di disponibilità di risorse e controllo delle reti di servizi fondamentali, rispetto a tutti gli altri Comuni e alle stesse Provincie;

- l’indebolimento della possibilità di programmare, coordinare e strutturare il sistema territoriale mediante una visione d’insieme;

- la difficoltà di riequilibrare il rapporto centro- periferie, ed in particolare di valorizzare il nuovo polo della cultura, ricerca e innovazione sorto proprio nella fascia di cerniera tra Monza e Milano (aree ex Pirelli, Falck, ecc.)

In realtà i processi territoriali, economici e sociali tendono alla integrazione ed al reciproco completamento nella dimensione metropolitana, i cui confini benché non esattamente definibili sono tuttavia percepibili nell’ambito di un’area più vasta, non certo più ristretta, dell’attuale Provincia di Milano. Basti pensare alla sostanziale omogeneità del mercato immobiliare ovvero del mercato del lavoro: fenomeni che accompagnano entrambi un massiccio e quotidiano pendolarismo sia di persone che di merci, tenuto conto dei sostanziali cambiamenti intervenuti nel modo di produzione di beni e servizi, nonché degli stili di vita e fruizione del tempo libero. La previsione della Città Metropolitana, in analogia con quanto già avvenuto in altre consimili evolute realtà europee, si proporrebbe pertanto di “governare” il sistema nel suo insieme, attraverso un disegno ed un controllo sovraordinati rispetto sia ai poteri locali che alle istanze dei privati, legittimata dal voto diretto dei cittadini, policentrica ed equilibrata, rispettosa delle autonomie comunali ma a sua volta autonoma rispetto ad esse.

In alternativa ci meritiamo la governance, ovvero un coacervo di istituzioni pubbliche deboli, ridotte a rappresentanza meramente formale, mentre le scelte fondamentali restano affidate alla mano invisibile del mercato ovvero a quella più o meno occulta dei “poteri forti”. Liberismo e particolarismo continuano allora ad esercitare una sostanziale egemonia, resistendo inalterati ad ogni alternanza di sigle e schieramenti e ad ogni velleità “riformista”. E le “vittorie” del centro sinistra rischiano di servire inconsapevolmente, mediante il classico procedimento della “rivoluzione passiva”, disegni e interessi sostanzialmente di destra.

 

Ingegneria istituzionale, democrazia reale

Infine la istituzione della Città Metropolitana avrebbe il vantaggio di correggere la doppia anomalia che riguarda il funzionamento della democrazia rappresentativa ed il fondamentale diritto di cittadinanza di almeno la metà dei cittadini metropolitani:

- i “milanesi di notte” in particolare delle periferie (circa un milione) deprivati del diritto di eleggere un Sindaco prossimo e raggiungibile dai cittadini (come è possibile normalmente negli altri Comuni),

- i “milanesi di giorno” (circa un altro milione) deprivati della possibilità di influire sulle scelte di ampia portata, in materia di mobilità, ambiente, servizi sovracomunali (appannaggio del Sindaco eletto dai “milanesi di notte” che per altro controlla ATM, MM, SEA, AEM, ecc.)

Sull’altro fronte la separazione di Monza e di una parte della Brianza non si giustifica se non con la gratificazione psicologica di essersi “staccati” da un incomodo vicino, il quale tuttavia resta fisicamente dov’è, caso mai più invadente e soverchiante nel momento in cui svanisce la possibilità di ridurlo ad una condizione di pari diritti e pari doveri, attraverso un effettivo decentramento in autonome Municipalità.

Per tutti questi motivi, tenuto conto che il debutto di Monza avverrà, sulla base della legge approvata, a “scoppio ritardato”, per cui nei primi tre anni non succederà niente oltre a burocratici movimenti di carte, sarebbe opportuno promuovere un dibattito pubblico a tutto campo, dal quale possano emergere:

- le vere ragioni, se ve ne sono, che giustificano la nuova Provincia, tali da poterne definire la “missione” e quindi consentirne il decollo con idee chiare ed obbiettivi precisi,

- il destino della Provincia residuale, e della consorte città metropolitana, che difficilmente si può restringere entro il confine virtuale di Rastrellone, Parpagliona e Bettolino Freddo!

- in alternativa un serio ripensamento (poiché ... perseverare è diabolico) che comporti il superamento delle Province che insistono in area metropolitana e l’applicazione del disposto della vigente Costituzione, in osservanza dei principi di sussidiarietà (art. 114) e di adeguatezza e differenziazione (art. 118), tenuto anche conto dei disegni di legge in materia (uno dei quali reca la firma di Antonio Pizzinato e altri nove senatori di tutte le anime del centro sinistra!) giacenti presso il Parlamento di questa Repubblica.