Le 635 stragi nazifasciste e gli armadi della vergogna

Le nebbie continuano.

Di Giovanni Brunale

 

Il Parlamento italiano si occupa da anni delle 635 stragi nazifasciste la cui documentazione era stata secretata “negli armadi della vergogna” presso il Tribunale Militare di Roma, sia con la costituzione di una Commissione d’indagine parlamentare che con una proposta di legge, riguardante il risarcimento delle migliaia di vittime di dette stragi.

Mentre l’esame della proposta di legge, per “una equa riparazione” delle vittime delle stragi, che aveva iniziato il suo esame nelle commissioni Difesa e Giustizia del Senato, vede bloccato il suo iter parlamentare, la Commissione bicamerale  d’indagine, prosegue i suoi lavori come viene illustrato dal sen. Giovanni Brunale, componente della stessa nell’articolo che segue:

 

 “Dall’ottobre 2003, data d’inizio della attività della Commissione, è stata prodotta una gran mole di lavoro frutto di audizioni, ricerche, acquisizione di materiali, missioni all’estero presso gli archivi tedeschi, ma non un passo è stato fatto per riuscire a scoprire e documentare le ragioni dell’occultamento dell’archivio rinvenuto nel 1994 in un locale di palazzo Cesi a Roma, sede degli uffici giudiziari militari di appello e di assise.
Quell’archivio, infatti, suddiviso in fascicoli raccolti in faldoni e contenente atti relativi a crimini di guerra del periodo 1943-1945 era in gran parte costituito da denunce e atti di indagine di organi di polizia italiani e di commissioni d’inchiesta anglo-americane sui crimini commessi dai militari tedeschi, dalle SS e da fascisti italiani. Le notizie di reato registrate erano 2274, dall’eccidio delle fosse Ardeatine annotato al n°1, ad un fatto di maltrattamenti attribuito a tale Hageman Joachin con il n° 2274.
Non tutti i fascicoli furono sottratti alla giustizia ordinaria competente con il particolare però che quasi tutti i fascicoli trasmessi in epoca antecedente al 1994 all’Autorità Giudiziaria Ordinaria non comprendevano indicazioni sugli autori del reato.
L’illegale trattenimento dell’archivio presso Palazzo Cesi ha perciò avuto inizio negli anni dell’immediato dopoguerra ed è proseguito nei decenni fino alla scoperta del 1994 con l’aggravante che in data 14 gennaio 1960 l’allora Procuratore Generale militare presso il Tribunale Supremo Militare Dott. Enrico Santacroce assunse un indebito provvedimento di “provvisoria archiviazione” di tutto questo materiale con conseguenze irreparabili per l’esercizio dell’azione penale da parte dei Pubblici Ministeri competenti per territorio.

La Commissione, come detto in precedenza, istituita allo scopo di scoprire e documentare le ragioni di tale illegittimo occultamento protrattosi fino al 1994 non ha prodotto ancora un risultato di rilievo sotto il profilo istituzionale e politico, ma in ragione del fatto di dover ricostruire l’intricata vicenda a partire dalla sua scoperta e perciò a partire dal 1994.

I magistrati che nel 1994 trovarono a palazzo Cesi il cosiddetto “armadio della vergogna” decisero di istituire una Commissione mista formata da esponenti della Procura Generale militare presso la Corte Militare d’Appello e presso la Corte di Cassazione con il compito di fare una ricognizione del materiale rinvenuto e di individuare i provvedimenti da adottare.

La maggior parte dei fascicoli, 695 in tutto, furono inviati alle procure militari competenti; 202 incartamenti, però, rimasero a Roma senza essere assegnati a nessuna procura e su essi venne assunto un provvedimento di “non luogo a procedere”.

La Commissione parlamentare si è così imbattuta su una gestione del ritrovamento e, soprattutto, sulla gestione dei fascicoli successiva al loro ritrovamento che non è affatto chiara. Innanzitutto perché non è stato fatto un inventario del materiale rinvenuto, poi perché non si è provveduto con immediatezza ad una denuncia del ritrovamento (solo la pressione di alcuni settimanali e la precisa denuncia di alcune procure militari indusse il Consiglio della Magistratura militare ad aprire un’indagine conoscitiva), poi e infine perché la decisione iniziale di istituire la Commissione mista non era supportata da alcuna normativa e quindi il suo operare fino al punto di decidere il “non luogo a provvedere” su 202 incartamenti appare improprio e comunque di impedimento a che le procure militari competenti potessero esercitare il loro lavoro.

Per altro l’acquisizione da parte della Commissione parlamentare del documento finale di questa commissione mista difforme a quello fornito al Consiglio della magistratura militare nel 1996 ha ulteriormente complicato il problema gettando un’ombra inquietante sull’intera vicenda quasi che invece di aiutare la ricerca della verità si sia, dopo il 1994, prodotta ulteriore nebbia che le audizioni dei vertici della magistratura militare interessati non hanno dissolto.

A questo punto del percorso parlamentare appare chiara la necessità di chiudere il lavoro della Commissione d’inchiesta sui fatti post 1994. Se limiti e errori sono emersi nell’operato della magistratura militare, la Commissione ha il dovere di evidenziarli ai Presidenti di Camera e Senato, per quanto di rispettiva competenza istituzionale.

La Commissione parlamentare dovrà invece per tener fede al mandato ricevuto, dedicare il proprio lavoro alla ricerca delle ragioni politiche che orientarono la Procura generale militare ad occultare illegalmente in appositi locali per circa mezzo secolo fascicoli concernenti crimini di guerra con ciò impedendo l’espletarsi di ogni utile indagine per la celebrazione di regolari processi.”

Sen. Giovanni Brunale

(componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi)

Roma 30 ottobre 2004