riflessioni sul dopo voto

Movimento a sinistra
Aldo Tortorella

Rossanda, in un recente editoriale, ha chiesto da che parte si sta dopo le vicende di Genova e del G8. O sì o no, o di qua o di là. Credo di dover rispondere perché ella rampognava severamente, qualche settimana fa, chi ha il vizio di interrogarsi sui "fondamenti" ed è incapace di "delineare una agenda di priorità". La sferzante ramanzina era diretta contro la sinistra Ds, ma io debbo scagionarla. La sinistra Ds è del tutto incolpevole di un simile peccato. Il colpevole sono io, e, semmai, l'Associazione per il rinnovamento della sinistra, che - come su questo giornale è stato già scritto qualche volta - non appartiene alla sinistra Ds e a nessun altro partito occorrente di partito. Essa è composta da persone di tutti i partiti della sinistra, e in maggioranza, da persone che non appartengono a nessun partito, poiché non è nata per generare divisioni ma per unire.
Quando la sinistra - dopo il dissolvimento dei suoi partiti storici - appariva vincente in Italia, ci parve che essa andasse, in ogni sua parte, verso nuove sconfitte. Ci sembrò necessario cercare qualche strada nuova. Per farlo, era necessario capire quali fossero le radici storiche e culturali di quella che ritenevamo essere una radicale inadeguatezza politica delle due maggiori formazioni della sinistra italiana. Ma il metodo per tentare di capire - e di agire - non fu quello dei rancori o dei risentimenti, ma esattamente l'opposto: combattere ogni teoria del tradimento e cercare di vedere, in ciascuno di questi partiti divenuti così unilaterali, il "buono" che c'è prima ancora dei limiti e degli errori, in modo da cercare di organizzare - come abbiamo detto recentemente - un movimento di opinione organizzato per l'autonomia e l'unità della sinistra italiana.
Tuttavia, il fatto di ostinarsi in queste riflessioni non ci ha distratto. L'Associazione di cui parlo non è arrivata a Genova con l'ultimo pullman. Essa fu fin dall'inizio nel Genoa Social Forum, vi ha contribuito e vi contribuisce come può. Così come ha contribuito a organizzare la manifestazione di Roma e di altre città, manifestazioni di cui siamo tutti, mi pare, tanto fieri. Forse sarebbe interessante, però, sapere per quali motivi e con quali motivazioni vi era, tra tanti gruppi e le tante sigle di questo movimento, anche questa associazione diversa dalle altre. E, più in generale, sarebbe forse necessario chiedere non solo un sì o un no ma un perché e un come se si dice di sì.
Noi ci siamo stati non già mettendo da parte quel nostro desiderio di veder chiaro nelle parole che si dicono (comunismo, socialismo, eguaglianza, libertà, e poi modernizzazione, globalizzazione, civilizzazione, ecc.) ma proprio a causa di quel desiderio di veder chiaro. Poiché è attraverso di esso che si può venire scoprendo che ci sono motivi nuovi e diversi per la critica del sistema capitalistico certamente vittorioso su scala planetaria ma, allo stesso tempo, oggi di fronte al fallimento della ricetta liberistica che si è venuta costituendo come ideologia dominante rappresentativa dell'orgoglio dei vincitori. Senza una critica aggiornata che legga il nuovo che c'è anche nelle contraddizioni fra il capitale e il lavoro passa, come è passato, una resa all'egemonia dell'impresa quale motore esclusivo del processo economico e sociale.
Nel ruolo di fondo compiuto dalla maggioranza dei Ds, infatti, fu - e rischia di essere ancora - quello di non avere inteso che il processo di modernizzazione ha varianti opposte tra di loro. Perciò sono stati estranei al movimento e si sono così gravemente contraddetti. La modernizzazione liberistica è l'opposto dell'incivilimento. Ma, certo, la richiesta di una linea economico-sociale per l'Occidente radicalmente diversa che modifichi il modello dell'accumulazione e dei consumi, che intacchi il potere delle grandi concentrazioni economiche a partire dalla proprietà sui brevetti, implica una svolta assai profonda che tocca non solo interessi diffusi ma mentalità consolidate. E ciò chiede una forte attrezzatura conoscitiva, come ho qualche volta obiettato alle semplificazioni che mi parevano venire dalla sinistra alternativa.
Non è un caso la differenza tra la Fiom e la Cgil rappresentata da Cofferati, il quale pure appare portatore nei Ds di una dimenticata tematica del lavoro. Se la Cgil è così cauta e guardinga nei confronti di questo movimento internazionale avverso all'attuale modello di globalizzazione non è solo perché rivede le interne contraddizioni, che vi sono, ma perché non tutti i sindacati rappresentano interessi egualmente disponibili ai mutamenti di rotta che sarebbero necessari e non tutti vengono da una cultura egualmente critica verso i rapporti sociali esistenti.
Questo movimento in larga misura è mosso, in verità, da una giovane generazione della parte più ricca del mondo non solo successiva al crollo del modello sovietico, ma già figlia della rivoluzione informatica nei metodi della produzione nella società essendone in parte protagonista e in parte vittima. Anche perciò bisogna andare con i propri convincimenti per discutere e per capire piuttosto che per addottrinare. Anche una questione apparentemente tanto lontana da apparire evasiva come quella, che mi viene talora rimproverata, che riguarda il punto da cui mi pare giusto muovere, al fine di tener non abbandonare una volontà trasformatrice, diviene così, forse più chiara nelle sue conseguenze.
Solo se io so - ecco il punto di partenza che a me sembra necessario - che la mia è una scelta etica criticamente assunta (e non una verità scientifica) di fronte ad un mondo che mi fa in larga misura ribrezzo, sono consapevole che essa, come ogni altra scelta etica, è necessariamente parziale, e mi disporrò al rapporto con gli altri per capirli ed essere capito, per mettere in discussione loro solo dopo aver messo in discussione me stesso. Solo così potrò stare in un movimento senza subalternità (senza "codismo" si diceva una volta) e senza saccenterie egemonizzanti ("metterci il cappello sopra" come si dice ancora oggi). Ben comprendendo, tra l'altro, che questo attuale è un movimento di movimenti, non solo diverso da un partito ma diverso da un'insieme ideologistico come ne abbiamo visti in passato.
Della sinistra Ds non tocca a me dire. A un giovane gruppo dirigente che, anche su Genova - ma prima sul governo D'Alema, sui referendum istituzionali, sul lavoro e su altro ancora - ha saputo assumere una linea secondo me giusta, distinguendosi dalla maggioranza. E ora, appunto, senza risentimenti e senza vantare i suoi meriti innegabili cerca di comporre una intesa per affermare - come è stato detto - un elemento di discontinuità con la politica che si è dimostrata largamente fallimentare.
Mi sembra un tentativo generoso ma assai difficile, se non si vuole rinunciare, come credo non vogliano i protagonisti, alle proprie motivazioni essenziali. Non mi pare equanime guardare a questo sforzo con sfiducia preconcetta. Anche se è giusto che chiunque abbia a cuore le sorti della sinistra faccia quanto può perché il suo partito ancor oggi più numeroso possa imboccare una strada nuova capace di trarlo fuori dalla sua crisi e dalle ripetute sconfitte.