riflessioni sul dopo voto

La grande sinistra possibile
La mutazione antropologica di Arcore, la critica che serve per contrastarla, le radici della sconfitta nel dopo-89
IDA DOMINIJANNI

"Vittoria della destra e sconfitta della sinistra erano largamente annunciate, sorprendente può essere solo la puntualità con cui si sono verificate. Adesso si tratta di prenderne atto, senza diminuirne la portata ma anche senza ricavarne conclusioni tragiche. E cercando di organizzare tensioni razionali, non di mobilitare la paura per il mostro al governo". Il dialogo con Mario Tronti sul voto del 13 maggio e sulle conseguenze da trarne a sinistra, per rifarla da piccola e divisa com'è diventata grande e plurale, comincia da qui. "Concentrare il fuoco sul personaggio Berlusconi - continua Tronti - non ha pagato granché neanche in campagna elettorale. Attraverso il personaggio, bisogna saper interpretare una forza politica e il perché del suo consenso".

Domanda ormai annosa: che cos'è Forza Italia e perché piace a mezza Italia?

Perché è lo specchio di mezza Italia. C'è un pezzo di società civile che si rispecchia in quella sigla e nel suo creatore. E già questo rispecchiamento nel capo va interpretato, come campanello d'allarme sulle derive antidemocratiche della democrazia. Berlusconi è questo, il successo di una personalità autoritaria dentro le forme della democrazia. Di una personalità paternalistico-patriarcale-patrimoniale legittimata dal consenso democratico. Una forma di leadership quasi premoderna...

Direi invece post-moderna: guarda l'uso che fa della sua vita privata, nel fotoromanzo che ha mandato in circolazione. O la mobilitazione dell'immaginario su cui ha costruito la sua fortuna politica. O il modello post-fordista dell'azienda della comunicazione su cui ha ricalcato il suo partito....

Sì, l'impresa è post-fordista, ma il mito dell'imprenditore è quello classico dell'uomo che si fa da solo, "dall'ago al milione". E' questo impasto di post e premoderno che va decifrato: Forza Italia segnala una mutazione antropologica in corso, con cui la sinistra fa fatica a fare i conti.

A quel pezzo di società, Berlusconi fornisce però anche un programma. Si chiama liberismo sociale, e somiglia al liberismo compassionevole di Bush.

Un'ideologia ambigua, che cuce liberismo e populismo. L'ho sentito, in campagna elettorale, fare grande uso della parola "solidarietà". Questo annuncia qualcosa del suo prossimo comportamento di governo. Attenzione, perché non farà come nel '94, né sarà dal governo quello che è stato dall'opposizione: il "sovversivismo delle classi dominanti", una volta al potere, si placa. Inoltre, i governi nazionali sono ormai a sovranità limitata, il potere vero sta altrove e li vincola, che siano di centrodestra o di centrosinistra. Dunque non è da Palazzo Chigi che nell'immediato si produrrà conflitto sociale: non ci sarà nessuna provocazione sulle pensioni, per ora. A sinistra bisogna perciò prepararsi a una battaglia di lungo periodo, "inventarsi" dei punti di attrito con l'avversario.

Parliamo della sinistra. La sconfitta era annunciata, d'accordo. Questo però non vuol dire che fosse scontata. Né inevitabile. Né che possiamo esimerci dall'analizzarla e dal cambiare quello che va cambiato. Intanto c'è un problema di periodizzazione: la sconfitta è figlia dei cinque anni di governo di centrosinistra, o del decennio di transizione post-'89 e del suo segno di destra? Credo che i due ingredienti, e le relative responsabilità, ci siano entrambi ma vadano dosati con attenzione.

Sono d'accordo. Il voto di domenica chiude la transizione italiana, e la chiude a destra. Per capire perché bisogna tornare al modo in cui l'intero decennio è stato attraversato dalla sinistra. Cioè al modo in cui la sinistra è uscita dalla catastrofe dell'89. Ed è per questo che il voto di domenica non segnala solo uno scacco elettorale, bensì una crisi strategica. Il fatto è che il dopo-Pci della sinistra italiana non c'è mai stato veramente. La forma politica e simbolica che essa si è data - il Pds-Ds, con i suoi riferimenti deboli alle querce e alle rose - non è stata all'altezza della prova richiesta dal crollo dell'assetto repubblicano che era cresciuto assieme al Pci. Una sinistra postcomunista non è mai decollata da nessuna parte, né come immagine né come sostanza; ma questo in Italia, dove più forte era stato il peso del Pci, ha pesato più che altrove. La sinistra post-Pci non ha saputo prendere in mano le redini della transizione e del processo di cambiamento del soggetto politico che essa implicava. Non che fosse facile, dato il tipo di avversari anomali che aveva di fronte. Dopodiché, la ricerca sul partito è stata gravata anche dall'esperienza di governo, sulla quale ci si è gettati un po' alla cieca, senza quel tanto di distacco che sarebbe stato necessario.

Vuoi dire che Palazzo Chigi si è mangiato Botteghe Oscure?

Diciamo così. Eppure c'era stato un punto promettente del percorso, dopo Occhetto, col progetto di ricomposizione della sinistra avanzato da D'Alema all'inizio della sua segreteria. Poi al segretario del partito si è sovrapposto l'uomo di stato, il presidente della bicamerale, il presidente del consiglio. Il decollo del partito post-Pci non c'è stato. E la funzione di governo non è stata sufficiente a colmare questo deficit, semmai l'ha aggravato. La funzione di governo - anzi, più che di governo, di amministrazione - s'è mangiata la funzione di direzione politica.

Paradosso: la sinistra ex-comunista va per la prima volta al governo e perde dal governo la prima prova elettorale.

Infatti, è una sconfitta dall'alto del governo. Domanda: com'è possibile che un governo che fa il risanamento e porta l'Italia in Europa, tanto per riprendere i noti slogan, venga strapazzato così duramente nella prova elettorale? Risposta: bisogna ripensare la funzione di governo della sinistra. C'è una parte della sinistra più estrema che risponde diversamente, recuperando la funzione e l'identità della sinistra d'opposizione, ma a mio avviso non è questa la strada giusta. La funzione di governo della sinistra non è da scartare, è da ripensare. Anzi da pensare: il tratto che dovrebbe caratterizzare una sinistra di governo rispetto a una destra non l'abbiamo mai definito. Il punto sarebbe questo, gestire l'interesse generale da un punto di vista di parte. Redistribuire ricchezza e potere: senza questo non c'è governo di sinistra né sinistra di governo, e questo col governo dell'Ulivo non c'è stato. Qui, ovviamente, si apre l'altro pezzo del discorso: in questi anni non abbiamo avuto un governo di sinistra, ma un governo di coalizione di centrosinistra.

Infatti: veniamo all'Ulivo. L'Ulivo che esce dalle elezioni del 2001 è una pianta molto diversa da quella delle elezioni del '96. Nel '96 c'era una coalizione larga che andava dai Popolari a Rifondazione, una regia e un'egemonia di sinistra, un leader di matrice cattolico-sociale come Prodi senza un proprio partito. Oggi c'è una coalizione più stretta che ha perso Rifondazione e altri pezzi, una regia ulivista, un leader di ispirazione clintoniana che in campagna elettorale ha costruito la sua formazione. E nella Margherita alcuni opinionisti salutano già la novità in grado di spezzare definitivamente le pretese egemoniche degli ex comunisti sul centrosinistra. Nel frattempo il dibattito sul futuro della coalizione riprende secondo le solite formule vaghe e alquanto consunte...

Delle tre formule su cui si è avvitata la discussione negli anni passati - l'Ulivo come soggetto unico, l'Ulivo con un'anima di centro e una di sinistra, "la grande sinistra in un grande Ulivo" - nessuna è stata perseguita con determinazione e realizzata. Adesso la strada migliore è quella delle famose due gambe. Che si sia costruita quella della Margherita è positivo. Resta da rifare l'altra, quella della sinistra. L'idea dell'Ulivo come soggetto unico invece è morta, e mi pare che ne abbia preso atto anche la direzione Ds di ieri.

Penso anch'io, ma invece c'è chi la rilancia, per primo Occhetto, sotto la leadership di Rutelli.

Certo che la rilanciano, l'idea è sempre quella di sciogliere il residuo della sinistra dentro il calderone ulivista. Sarebbe un ulteriore suicidio, la coalizione si indebolirebbe e crescerebbe una sinistra del tutto esterna ad essa. Non è in questione la leadership di Rutelli in questo momento, che infatti gli è stata conferita senza ostacoli, ma la coalizione dev'essere fatta di due forze.

La palla torna sulla sinistra. Domanda classica: che fare?

In primo luogo bisogna ricostruire un gruppo dirigente, che è una forma della direzione politica diversa da quella del leader solitario. Il popolo della sinistra non è quello della destra, non è una massa passiva che si affida al Grande Comunicatore, è un insieme plurale che domanda rappresentanza plurale.

Magari non solo maschile, e meno fratricida. Inutile avere un gruppo dirigente plurale, se passa il tempo a dilaniarsi. Comunque, su quali opzioni dovrebbe ridefinirsi il gruppo dirigente della sinistra, e avviarsi il percorso congressuale dei Ds che tutti sembrano invocare?

Sui tre nodi ineludibili - sempre gli stessi - dell'organizzazione, della cultura e del progetto, rimasti in sospeso nel decennio della transizione. Organizzazione: è vero, è aperto un problema storico sulla forma-partito. Ma questo ripropone, non elimina il tema dell'organizzazione, perché senza organizzazione la politica va in mano inevitabilmente a chi ha più soldi e più forza. Cultura e progetto: c'è a destra un'ideologia - il presente come il migliore dei mondi possibili - che fa senso comune di massa, le dobbiamo contrapporre una cultura di critica dell'esistente, smetterla di rincorrere le cose come accadono. Due punti dirimenti. Primo: la categoria dell'innovazione, su cui si è incentrata la proposta della sinistra negli anni novanta, è del tutto inadeguata di fronte a un avversario politico che non è conservatore bensì superdinamico. In Italia come in tutta Europa e negli Usa, dagli anni '80 in poi non c'è stata una destra conservatrice, ma un riformismo conservatore che ha messo in crisi tutte le nostre costruzioni storiche - welfare, forma di stato parlamentare, forma-partito. Dunque, o per la sinistra innovazione diventa trasformazione, oppure sul terreno dell'innovazione vincerà sempre la destra e noi saremo schiacciati nel ruolo dei conservatori. Secondo punto: la critica della politica. Perché non si arrivasse al dominio incontrastato dell'antipolitica bisognava mettere in campo una critica delle forme democratiche tradizionali. Invece s'è fatta ingegneria istituzionale, anzi chirurgia plastica del sistema elettorale. Ora siamo al punto, quello che dicevo all'inizio: una democrazia che produce e legittima una leadership autoritaria.

Dici "sinistra" parlando solo di quella che è stata fin qui la sinistra di governo? Il campo non va allargato?

Ovvio che sì: non ci sarà nessun processo di ricomposizione della sinistra se questo processo non la interesserà nella sua totalità. Penso innanzitutto alla sinistra che vive nelle pieghe e dietro le quinte dello scenario ufficiale, quella che è rimasta fuori dalle costituenti, dalle carovane e dalle "cose2" e che bisogna finalmente fare emergere. E penso a Rifondazione, che però deve anch'essa ripensare senza sconti la sua forma organizzata e la sua leadership. Intanto si può subito mettere all'ordine del giorno una forma federata delle sinistre in campo. Ma soprattutto, proprio adesso che i numeri sembrano disperanti bisogna pensare in grande a una grande sinistra, stavolta magari davvero con un nuovo nome, all'altezza della sfida politica e non dei reperti botanici. D'Alema dice: "ritorno al futuro", una frase che suona bene, ma va riempita di senso. E di immaginario politico, che è ora di dissequestrare dall'industria di Arcore.