riflessioni sul dopo voto

Cofferati: "La sinistra ha perso. Chi ne porta responsabilità lo riconosca".
"E' inutile cercare diversivi, come fa D'Alema". Il presidente dei ds: "Non mi dimetto"
di Bruno Ugolini           


Non è una novità il confronto a distanza tra Cofferati e D'Alema. Ora però esso chiama in gioco il futuro della sinistra nel nuovo secolo. Non invoca tanto il "leader", vecchio o nuovo che sia, quanto il Dna di tale sinistra, ormai ridotta ai suoi minimi storici. Tutto è cominciato con un'intervista al segretario della Cgil, letta come prima sommessa disponibilità ad un tale impegno di rinnovamento. Senza abbandonare per ora la Cgil, senza nemmeno smentire, però, dopo il congresso confederale (2002), un ruolo più diretto.
Qualcuno come Giuliano Ferrara, forse consigliato da "esperti" del ramo, ben presenti dentro la redazione de "Il Foglio", si è precipitato a sponsorizzarlo. Massimo D'Alema con una di quelle battute che fanno la gioia delle "jene dattilografe", ha ricordato, però, come per statuto chiunque si voglia candidare a segretario dei Diesse lo deve fare entro il prossimo luglio. E Cofferati, ieri, è sembrato ribattere proclamando che non ha
intenzione di candidarsi a nulla di diverso dalla Cgil e che vuole solo un congresso vero per il partito al quale è iscritto, affrontando anche il capitolo degli errori. Con l'aggiunta che i colpevoli della sconfitta elettorale debbono pagare. Era un riferimento al solito interlocutore? Molti l'hanno interpretato così e in ogni caso D'Alema ha subito fatto sapere che non ha alcuna intenzione di dimettersi da presidente dei Diesse.
Sarebbe però davvero mistificatorio interpretare tutto ciò come un'avida lotta per la conquista di poltrone e poltroncine. Anche perché trattasi di posti e compiti scomodissimi, privi di particolari prebende. La posta in gioco, ripetiamo, ha uno spessore ben più ambizioso. Sergio Cofferati fin dall'inizio aveva battuto su un chiodo: sarebbe doveroso non convocare un Congresso rituale come tutti i congressi, per eleggere un segretario prescelto in qualche stanza romana, bensì dar vita ad un percorso
congressuale che definisca innanzitutto una strategia, un progetto. I dirigenti sarebbero stati scelti dopo, a fine dibattito. Un ex segretario della Cgil, Bruno Trentin, qualche giorno prima, non aveva detto cose dissimili (occorre un progetto, non la lista della spesa, la lista dei desideri, occorre scegliere tra quel che si vuole e quel che non si vuole).
E anche il "vecchio" Vittorio Foa ancora ieri, pur prendendo le distanze da Cofferati, metteva in guardia dai "personalismi" e invitava ad un dibattito sui contenuti. Quali? Sono quelli che, tra l'altro, hanno contraddistinto negli anni del centrosinistra, la Cgil da una parte e molti rappresentanti del governo e dei Diesse. Non è stato solo un duello tra D'Alema e Cofferati, anche se questi sono apparsi gli spadaccini più esposti. La sfida riguardava soprattutto i temi del lavoro, anzi dei lavori, di come si è
trasformata la società. Ricordate quando D'Alema diceva un po' beffardo: "Non basta andare davanti alle fabbriche del sommerso, del lavoro in nero, sventolando il contratto di lavoro"?. O quando nel patto del 1998 cercava di introdurre norme che in qualche modo intaccavano la conquista dei due livelli di contrattazione? O quando discuteva la possibilità di allargare i confini aziendali nella possibilità di licenziare senza giusta causa? E' il capitolo che alla Confindustria piace definire come quello delle "riforme
mancate". E' il capitolo della flessibilità, dei nuovi lavori. Sono apparse, così, divisioni dette e non dette, anche sulle tutele da riservare al mondo degli atipici, i nuovi lavoratori, attraverso la cosiddetta legge Smuraglia. Differenze non discusse a fondo. Non inserite soprattutto in un progetto che in qualche mondo riconoscesse al mondo dei nuovi e vecchi lavori un ruolo.
Non c'è più la classe operaia compatta che aveva dato vita al partito socialista e comunista? E' vero. Ma anche la formula "ceto medio progressista" appartiene alle anticaglie. I lavori nuovi e vecchi possono in ogni modo essere i referenti sociali di una nuova sinistra? E' quello di cui Cofferati appare convinto. Una tale scelta dovrebbe avere poi un seguito: un partito dei nuovi e vecchi lavori per dare loro che cosa? Solo buoni salari e buone pensioni? Oppure qualche cosa di più, sia pure senza una fantomatica fuoriuscita dal capitalismo globalizzato? Solo equità, o anche il diritto a non essere trattati solo come oggetti? Sono interrogativi rimasti senza risposta.
Anche queste diversità, in ogni caso, emerse nel confronto a distanza tra Cofferati e D'Alema hanno influito sul risultato elettorale, crediamo. E tutti possono essere chiamati a riflettere. Anche il sindacato, anche quella sinistra Cgil che oggi si lamenta perché non vorrebbe discutere, come dice Giorgio Cremaschi, solo delle sorti dei Diesse. Ma qui è in gioco, ripetiamo, non solo un partito più o meno grande, ma l'intera sinistra nelle sue diverse articolazioni. Il sindacato ha cercato, da tempo, di superare la sua infanzia corporativa, quale rappresentante di una sola parte sociale, come dice D'Alema (sostenendo di concordare in questo con Cofferati). Le tre Confederazioni infatti da tempo hanno cercato di svolgere un ruolo generale, da soggetto politico. Non è stato tale il ruolo svolto negli accordi che hanno salvato l'Italia nel '92 e '93? Cofferati, ad ogni modo, nel dibattito in corso, ha buone carte da visita, se non altro per essere riuscito a tenere unita la Cgil nei suoi vari pezzi. Lui, di dichiarata, antica fede riformista. Adottando una tattica a catenaccio, magari rischiando di prendere goal improvvisi, con scarso coraggio politico, come dice qualcuno? Con poca propensione alla proposta innovativa come altri gli rimproverano? C'è del vero nelle parole di chi lamenta le sue cautele estreme, la politica dei piccoli passi. Ma anche le fughe in avanti le innovazioni a parole, le modernizzazioni che non cambiano nulla, rischiano col creare solo attese e poi disillusioni. E in ogni modo entrambe le posizioni, i piccoli passi e le fughe in avanti, avrebbero bisogno di una prospettiva, un progetto. Capace di ridare interesse, utilità, emozioni, passioni al popolo di sinistra. Cui non basta un nome, un principe azzurro (o, per non essere fraintesi, rosso).