Elezioni amministrative 2007

Appunti per una analisi del voto

di Rocco Cordì - giugno 2007

Premessa: l’importante è non perdere anche la testa

 L’esito delle elezioni amministrative è diventato, fin dal primo turno, l’ennesimo pretesto per alzare il tono dello scontro politico (e della confusione) tra gli schieramenti e al loro interno. Anche dopo i ballottaggi del 10-11 giugno, la tensione non accenna a diminuire. Eppure un serio esame del voto non giustifica né i trionfalismi del centrodestra, né l’acuta depressione del centrosinistra. Innanzitutto non si può prescindere dalla specificità di questa consultazione. Si tratta di elezioni amministrative che hanno interessato un numero limitato di province e comuni, peraltro distribuiti sul territorio nazionale in modo disomogeneo (il vento del nord si è fatto sentire più che in altre occasioni per la semplice ragione che in questa area vi è la maggiore concentrazione delle amministrazioni chiamate al voto: 6 province su 8 e il 40% dei Comuni con popolazione superiore a 15.00 abitanti(59 su 146). Lo stesso numero di elettori coinvolti rappresenta soltanto un quinto del corpo elettorale.

Un test dunque significativo, ma i cui risultati non possono essere disinvoltamente “trasfigurati” in pronunciamento dell’intero corpo elettorale.

Attribuire a quel voto un valore generale, è sbagliato e fuorviante.

Altrettanto sbagliata è la posizione che tende a ridurre quel voto a mero fatto locale.

Valutazioni forzate, in un senso o nell’altro, possono essere utili e funzionali ad un gioco politico che sempre più serve solo ad alimentare se stesso, ma non aiuta minimamente a comprendere il significato reale dei risultati della consultazione.

Meglio tentare di “leggere” i dati per come sono perché da essi si possono sempre ricavare indicazioni utili per delineare le dinamiche del voto, per individuare orientamenti e tendenze, per interpretare segnali e messaggi racchiusi nelle scelte compiute dagli elettori ( sia con il voto che con il non-voto).

Dai dati delle amministrative di maggio non emergono “novità sconvolgenti”.

Osservando obiettivamente i numeri, più che trovare sorprendenti novità, si riscontrano tendenze e fenomeni già rilevati in passato, ma oggi più accentuati.

Un dato è certo: il centrosinistra perde molti voti e, di conseguenza, numerose amministrazioni locali, ma questa  non è una novità assoluta. Così come non è nuovo il suo scarso appeal nel lombardo-veneto. L’elemento più significativo di questa consultazione è invece costituito dall’ampiezza dell’astensionismo e dalla sua elevata concentrazione nell’area del centrosinistra.

L’analisi del voto consente di affermare che la sconfitta subita dal centrosinistra, in particolare nel nord, non è dovuta ad una presunta capacità espansiva del centrodestra, ma alla scelta astensionista di una parte rilevante dell’Unione.

 

Prima di procedere all’esame dei “numeri” qualche considerazione  ancora sui commenti e le convulsioni politiche del dopo-voto.

 

S’ode a destra: l’uomo di Arcore specialista nel dire e smentire, ha colto subito la palla al balzo. Urla, strilla, strepita, e minaccia sfracelli: Prodi deve andarsene! La maggioranza degli italiani vuole me! Il guerriero di Gemonio gli fa il verso ripetendo ossessivamente “elezioni subito, elezioni subito!”. Il fido Fini si barcamena, come sempre, tra i due. In un Paese democratico (e civile) nessuno si sognerebbe di confondere una pur importante, ma parzialissima, consultazione amministrativa locale, con il giudizio universale normalmente attribuito alle elezioni politiche. Va ricordato che il cavaliere parlante è  lo stesso che dopo il successo del 2001 ha subito una sconfitta dopo l’altra in tutte le elezioni successive, ma si è ben guardato dal dimettersi. Anzi dopo la sconfitta alle politiche del 2006, si è ostinatamente rifiutato di riconoscere l’esito di quel voto, rivendicando la riconta e accusando il centrosinistra di brogli (e pensare che il ministero dell’interno era ancora sotto il suo controllo!). A proposito che fine ha fatto la commissione parlamentare che avrebbe dovuto verificare i risultati elettorali in pochi mesi?  Si ha l’impressione che tutta questa agitazione non dipenda soltanto da una innata vocazione allo scontro, tipica di una destra che non ha ancora fatto i conti con la democrazia, ma da un calcolo cinico di dare vita ad una campagna elettorale infinita. Il Cavaliere anche nei mesi scorsi ha utilizzato ogni occasione per inviare agli elettori un messaggio falso, ma netto e chiaro: non di amministrative si tratta, ma di un referendum sul governo, di un voto per accelerare la cacciata di Prodi. L’esito complessivo del voto, a ballottaggi ultimati, ha contribuito ad attenuare un po’ i toni, ma il Cavaliere non demorde e conferma la promessa-minaccia di “salire al Quirinale”. Avrà, il Presidente della Repubblica, la forza di spiegare al prevedibile trio che in democrazia un governo cade perché si dimette o per mancanza di una maggioranza in Parlamento ?

 

Nel centrosinistra:si sbanda paurosamente alimentando la convinzione, già molto diffusa,  di una direzione di marcia incerta e confusa. Fin dalla sera del 28 maggio (risultati primo turno), in meno che non si dica, tutti hanno trovato un colpevole: il governo! Almeno su un punto c’è unità. Troppo facile! Se si vuole essere un po’ obiettivi bisogna riconoscere che le ragioni di quel risultato elettorale non sono tutte attribuibili alla condotta del governo (anche se ci sono e nessuno può ignorarle). Vanno anche ricercate nei limiti di una maggioranza che appare priva di una visione e di un progetto comune, prigioniera delle priorità di bilancio, ondivaga e incapace di prospettare una politica riformatrice forte e la cui centralità si fonda sulle priorità sociali. E ci sono poi le responsabilità “locali”. Con sorprendente disinvoltura la caccia al “colpevole” si è subito orientata altrove, lontano da sé. Eppure si è votato per province e comuni, realtà dove contano o dovrebbero contare, almeno un po’, alcuni fattori specifici (radicamento locale, visibilità e credibilità dei candidati, programmi, ecc. ecc.). Neppure un “dirigente” locale del centrosinistra ha avuto un benché minimo accenno autocritico. Eppure al Nord la sinistra è in affanno da lungo tempo. Volgere lo sguardo altrove è troppo comodo: le spiegazioni diventano semplici e soprattutto, consentono una bella fuga dalle proprie responsabilità. In questo gioco si distingue l’ala moderata nordista. Per i suoi esponenti l’autocritica non è neppure da prendere in considerazione. L’ esito del voto è tutta colpa di Prodi e – ovviamente - della sinistra radicale che, come è noto (?), quotidianamente impone al governo scelte rivoluzionarie. All’unisono sostengono che la sconfitta subita nel nord (certamente più grave che altrove, ma non l’unica) dipende dalla subalternità del governo alla sua ala estrema, ostile alle imprese….e alle infrastrutture, nemica delle modernizzazioni, arroccata nella difesa di privilegi e corporativismi. Peccato che tanto fervore rivoluzionario non sia stato avvertito dai diretti interessati. Non se ne sono accorti, ad esempio, nei quartieri popolari o tra gli operai e i pensionati, coloro che hanno deciso di starsene a casa. Si tratta, come è noto di aree notoriamente soddisfatte e felici della loro condizione, vogliose di liberarsi da tanta attenzione e protezione, ferventi ammiratori del primato dell’impresa, amanti di privatizzazioni e liberismo. Se la diagnosi è questa non c’è che una soluzione semplice e sbrigativa: liberiamoci di tutti quegli estremisti che infestano la maggioranza, frenatori del libero dispiegarsi del progetto riformista, et voilà il gioco è fatto! Anzi no, ci vuole anche il federalismo, l’ulivo pedemontano e i democratici del nord. Così le masse finalmente liberate (o liberalizzate) potranno scialare tra salari territoriali e riconoscimenti meritocratici, tra ordine e sicurezza, senza se e senza ma, e maggiore severità contro gli immigrati. In attesa di tempi migliori i nostri dirigenti locali, per intanto, si autoassolvono e se la gente non va a votare loro che c’entrano, tutto accade perchè: “a Roma non ci ascoltano” e “noi lo avevamo detto”. Questo è quello che passa il convento varesino.

 

Nel nord: purtroppo la situazione è molto più preoccupante che altrove per il voto, come vedremo più avanti, ma non solo. Qui è difficile stare tranquilli anche per il vuoto manifesto di buona parte dei gruppi dirigenti del centrosinistra. Dopo il voto hanno sfornato spiegazioni e soluzioni di stampo leghista. Una sinistra degna di questo nome dovrebbe interrogarsi sulle cause sociali di una crisi che si manifesta da ormai lungo tempo (e il voto ne è solo una proiezione). Il “malessere” del nord non è una questione geografica! Non sarà mai compreso se si continua a prescindere dalle trasformazioni degli ultimi decenni che hanno mutato in profondità il suo profili strutturale la sua base sociale. Qui si è consumata una complessa riorganizzazione del rapporto tra economia e lavoro che ha sconvolto i vecchi assetti spazzando via quelle certezze e quelle sicurezze che per lungo tempo hanno garantito la “tranquillità” del nord.  Altro che Roma ladrona!  La chiave di lettura localistica della Lega e dei suoi epigoni, è sbagliata e fuorviante. Le loro ricette sono parte integrante del problema, non la soluzione. La questione settentrionale è davvero un problema serio. In suo nome si dicono cose gravi a destra, mentre a sinistra spesso si resta prigionieri o delle misere chiacchiere pedemontane o delle ricette alla Cacciari, Chiamparino, Penati & C.  Bisogna aver il coraggio di distinguersi, di prendere le distanze. Non per negare il problema, ma per affermare con nettezza che il malessere del Nord non dipende dall’assedio di presunti “nemici” esterni. Esso esprime in modo acuto la crisi di un modello sociale ed economico: di un mutamento che ha privatizzato la dimensione sociale e ha trasformato i soggetti in oggetti. Dentro questi processi matura e si espande a dismisura un senso di insicurezza individuale e collettiva al quale non si risponde scavando trincee o impiegando l’esercito. La soluzione sta nel cambiare il segno di quei processi e gli effetti da essi prodotti nelle condizioni di vita e di lavoro. Il malessere del nord rimanda infatti al modello di sviluppo e ai suoi effetti sulla salute, l’ambiente, il clima. Si innerva sulle condizioni materiali delle persone e la qualità della loro vita. Ripropone il tema della democrazia politica e della democrazia economica. Interroga sul ruolo delle istituzioni e dei partiti (altro che riforme elettorali!). Il malessere del nord è figlio della insostenibilità di un modello economico e sociale. La crisi si manifesta, non a caso, in un’area dove si è giunti al punto più alto del suo sviluppo e dove gli effetti si fanno sentire con maggiore durezza. La sinistra balbetta, non trova risposte sue, perchè quei mutamenti li ha persi di vista. La politica-politicante gli ha fatto smarrire la sua ragione di esistere e l’ha sradicata dalla realtà facendogli subire una sconfitta culturale, prima ancora che elettorale e politica.. L’origine del suo ridimensionamento, il venir meno del suo ruolo, ha ben poco a che fare con le chiacchiere elettoralistiche di questi giorni. Il lento declino della sinistra ha inizio, non a caso, nella seconda metà degli anni “80, quando la sua base sociale comincia a subire le conseguenze di una estesa e intensa riorganizzazione produttiva protesa a rimodellare anche i rapporti sociali. La Lega e più in generale la destra populista, hanno invece costruito le loro fortune, non solo quelle elettorali, facendo leva sui timori, le paure, il disagio, la rabbia, che quelle trasformazioni hanno prodotto e diffuso. A distanza di tanti anni dal manifestarsi della “malattia” almeno una cosa dovrebbe essere chiara a tutti: nonostante il dominio pluriennale della Lega nei governi locali, regionali e nazionale, quel malessere non accenna a diminuire. Anzi, oggi, nelle regioni del nord, nel suo  tessuto sociale ed economico, ci sono rischi ancora più elevati di ieri perché le trasformazioni non si sono arrestate e il loro procedere acuisce ed esaspera ulteriormente divari e contraddizioni. Per risalire la china non si può che partire da qui, cominciando a costruire risposte e proposte che si incontrino con le domande e i bisogni reali della società. Cercare soluzioni e alternative, elaborare progetti di futuro, non demandando ad altri le proprie responsabilità.  Per ricominciare occorre innovare in profondità le pratiche  politiche e organizzative, sviluppare analisi e proposte mantenendo fermo un punto di vista autonomo, individuare obiettivi realistici e mobilitanti. Qui c’è una sfida e una proposta per le quali può valere la pena impegnarsi e combattere. Tutto l’opposto di quella sorta di leghismo ulivista diffuso a piene mani dalla componente riformista dell’Ulivo.

 

A sinistra della sinistra:. l’esito elettorale ha creato molta delusione. Una delusione mista a sorpresa per una crescita attesa, però mancata. Le liste di sinistra non hanno tratto vantaggio neppure dal tracollo ulivista. Anche in quest’area la sconfitta viene essenzialmente attribuita al governo, ovviamente con motivazioni opposte a quelle dell’ala riformista. L’astensionismo, secondo alcuni, è una risposta conseguente alla scarsa attenzione al sociale dimostrata dal governo e al prevalere di una linea di rigore e riforme senza attrattive per i bisogni immediati. Perciò la via d’uscita non può che trovarsi in una correzione profonda nelle scelte e negli indirizzi di governo e quindi in una linea più attenta alle condizioni delle componenti deboli della società e ai loro bisogni. Una domanda però sorge spontanea: se gli stessi partiti più attenti ai movimenti, alle questioni sociali e ambientali, non riescono a conseguire un risultato soddisfacente è colpa delle responsabilità di governo o c’è dell’altro? E ancora. Come mai nessun vantaggio è stato tratto neppure dal tracollo dell’Ulivo? Nella sinistra plurale tutti chiedono di accelerare il processo di costruzione di un nuovo soggetto unitario, ma la tentazione, o la vocazione, a chiudersi nel proprio orticello rende perigliosa l’impresa. Se le cose stanno così non ci sentiamo di sostenere, come direbbe Mao, che se la confusione è grande sotto il cielo (del centrosinistra) la situazione resta eccellente. E’ preferibile pensare che l’idea di costruire un soggetto nuovo sia prima di tutto funzionale all’obiettivo di ridefinire per la sinistra un ruolo non residuale, né minoritario, nella vita del Paese. Nel nord più che altrove la sua costruzione e le sue possibilità di successo non dipendono da misure organizzative o impennate volontaristiche, ma dalla capacità di elaborare e proporre risposte e obiettivi concreti. E’ soprattutto al nord che c’è bisogno di una sinistra rinnovata e aperta, capace di riscoprire la dimensione sociale dei problemi e che sa fare i conti con i caratteri e la natura delle trasformazioni .  Una sinistra che non scopiazza la destra, ma sa anche rifuggire dalle perenni tentazioni del rivendicazionismo al rialzo e delle certezze identitarie, che sa dire NO alle pratiche autoreferenziali e di mera testimonianza. Una sinistra insomma che ha ancora una funzione da svolgere perché sa proporsi come soggetto di cambiamento e di trasformazione. Che è rappresentativa perché radicata. Che è democratica perché fonda le sue scelte e le sue pratiche politiche sulla partecipazione e il protagonismo dei cittadini e dei soggetti sociali. Che al progetto di cambiamento sa dare le gambe per camminare.

Ma cosa è stato realmente il voto di maggio ?

Da un primo esame dei  “numeri” si rileva che:

·         le tendenze di fondo emerse al primo turno escono sostanzialmente confermate anche dai ballottaggi del 10-11 giugno (il secondo turno ha interessato ben 70 amministrazioni: 1 provincia, 8 comuni capoluoghi, 61 comuni con oltre 15.000 ab.);

·         il vero protagonista di questa tornata elettorale è l’astensionismo;

·         il centrosinistra, dopo un anno di governo, non solo non recupera consensi, ma contribuisce in misura maggioritaria alla crescita dell’astensionismo;

·         la non partecipazione al voto colpisce anche il centrodestra, ma in misura molto minore;

·         confrontando i dati delle amministrative parziali del 2007 e del 2002 con le elezioni politiche dell’anno precedente si rileva una curiosa analogia: il centrodestra vince le politiche del 2001, ma l’anno successivo perde le amministrative; il centrosinistra vince le politiche del 2006 (anche se per un soffio), ma perde le amministrative del 2007. In entrambi i casi le sconfitte, a parti rovesciate, sono determinate dall’astensionismo massiccio che nel 2002 punisce prevalentemente il centrodestra e nel 2007 il centrosinistra;

·         è nel lombardo-veneto (?) che il centrosinistra registra i rapporti di forza più sfavorevoli, ma si tratta di una costante rilevata da lungo tempo e confermata anche nelle più recenti occasioni (vedi politiche 2006 e regionali 2005);

·         il centrodestra migliora sì le proprie posizioni ma, contrariamente a quanto alcuni sostengono, non in conseguenza di un presunto sfondamento nell’altro campo, ma grazie ad un limitato recupero dalle astensioni ;

·         i “delusi” dal centrosinistra non passano dall’altra parte, decidono di restare a casa!

 

Confrontando i dati di oggi con quelli delle amministrative del 2002 si rileva inoltre che:

Il numero dei votanti si riduce significativamente: alle provinciali ha votato il 58,1% (precedenti: 64,9%); alle comunali il 73,9% (predenti 76,4%). Al ballottaggio si registra un ulteriore contrazione rispetto al 1° turno: provinciali = 48,2%; comunali = 63,2 %;
Si fa sempre più marcato lo scarto tra amministrative e politiche e altre consultazioni. Alle politiche del 2001 aveva votato l’81% degli aventi diritto, l’anno dopo alle provinciali i votanti si erano ridotti del 16,6%. Alle politiche del 2006 il numero dei votanti (83,6%) è ancora più elevato che nel 2001, ma alle provinciali 2007 i votanti si riducono di quasi l’8% sulle precedenti amministrative e di ben oltre il 25% sulle politiche 2006;
nel 2002 l’astensionismo ha penalizzato principalmente il centrodestra, nel 2007 il centrosinistra;
il centrosinistra nel 2002 conquista alcune amministrazioni, come oggi il centrodestra, non per una crescita elettorale, ma grazie alla maggiore “tenuta” del suo elettorato;
nel 2006, con astensionismo rovesciato, si invertono le parti a vantaggio del centrodestra.

 

L’affluenza alle urne

 

2007

2002

Diff.

Provinciali

58,1

64,9

- 6,8

Comunali

73,9

76,4

- 2,5

Politiche       (2006-2001)

83,6

81,5

+ 2,1

 

Nel 2007 la partecipazione al voto, confermando tendenze rilevate in precedenti elezioni,  colloca le provinciali al gradino più basso.

Rispetto al 2002 il calo dei votanti alle provinciali è del 6,8%, mentre alle comunali si registra un più contenuto -2,5%. Il primato di votanti resta saldamente in capo alle “politiche”. Seguono, in ordine decrescente, le europee, le regionali, le comunali, le provinciali. E’ paradossale dover rilevare le punte più elevate di assenteismo proprio nelle elezioni amministrative, cioè nel livello istituzionale considerato tra i più “radicati nel territorio” e “più vicino ai cittadini”). Questa corposa novità viene bellamente ignorata, eppure dovrebbe destare più di una preoccupazione, anche perchè si manifesta dopo un lungo periodo di esaltazione del “locale” (spesso degenerata nel localismo) e della centralità della persona (altrettanto spesso degenerata nella personalizzazione della politica).

Una caduta di partecipazione così forte dovrebbe essere un serio motivo di allarme proprio perché accade laddove avrebbe dovuto realizzarsi la massima fusione tra cittadini e istituzioni.

Da tempo i sindaci e i presidenti eletti vengono “contati” in termini calcistici. Si esalta la vittoria dell’uno o dell’altro, ma non si bada agli elettori. L’importante è vincere! Che importa se il 50% degli elettori ha deciso di starsene a casa, a chi interessa sapere che la tua “strepitosa vittoria” in realtà si basa sul consenso di un elettore su tre?.

Se vinci è perché sei il migliore, perché hai saputo interpretare i sentimenti della ggente.

Se perdi, invece,…...puoi sempre prendertela con il governo.     

 

Le elezioni provinciali

Province interessate al voto: 8  

7 hanno votato il 27-28 maggio:

Ancona, Como, Genova, La Spezia, Varese, Vercelli, Vicenza.

1 ha votato il 13-14 maggio: Ragusa

Delle province al voto 6 su 8 sono del Nord !

 

Affluenza alle urne per provincia

(Graduatoria in ordine decrescente sui votanti 2007)

(nella 2^ colonna dati precedenti elezioni, nella 3^ la differenza)

                                         Ragusa            64,8                 63,0                +1,8

Vercelli            64,1                 67,5                 -3,4

Genova            60,4                 66,2                 -5,8

La Spezia         59,6                 69,0                 -9,4

Como              58,5                 62,4                 -3,9

Vicenza            58,2                 66,0                 -7,8

Ancona            56,6                 64,8                 -8,2

Varese             54,1                 62,4                 -8,3

 

Nel confronto con le provinciali precedenti il segno positivo di Ragusa è l’eccezione. Altrove prevale il segno negativo. Lo scarto negativo maggiore si registra a La Spezia, seguono decrescendo Varese, Ancona, Vicenza, più distaccate Genova, Como, Vercelli.

Varese, tradizionalmente con votanti nella media o sopra, diventa fanalino di coda conquistando il primato dell’affluenza minore alle urne: ha votato poco più della metà degli aventi diritto.

 Lo scarto di Varese con la vicina Vercelli  è di 10 punti mentre, con la quasi omogenea  Como, registra un significativo  – 4,1.

 Esito del voto

 

Centrosinistra   3

Centrodestra     5

Ancona, La Spezia, Genova

Como,Varese, Vercelli, Vicenza, Ragusa

Amm.ni uscenti di c/sin     3

Amm.ni uscenti di c/destra   5

Ancona, La Spezia, Genova

Como,Varese, Vercelli, Vicenza, Ragusa

 Se dovessimo limitare lo sguardo solo a questa tabella si potrebbe dire che nulla è cambiato rispetto alle elezioni precedenti. Ciascuno ha mantenuto le sue posizioni lasciando il panorama delle giunte sostanzialmente immutato. Il centrosinistra per riconquistare la provincia di Genova ha però dovuto attendere il ballottaggio.

Osservando invece le percentuali dei voti validi ottenuti dai candidati presidenti  dei diversi schieramenti (vedi tabella seguente) è possibile cogliere una prima differenza significativa: nelle province dove il centrosinistra si è affermato le vittorie sono di misura, in quelle in cui prevale il centrodestra lo scarto è di gran lunga superiore (dai 32 punti di Ragusa ai 40 di Varese e Como).

 Percentuale voti validi presidenti

(graduatoria in ordine decrescente sulle % ottenute dal centrosinistra)

 Centrosinista                     Centrodestra                Altri

 

Ancona       55,6                         38,4                           6,0

La Spezia   53,1                         39,7                           7,2

Genova       48,8                         46,5                           4,7

Ragusa        33,5                         65,4                           1,1

Vercelli       28,4                         66,7                           4,9

Como          28,1                         68,3                           3,6

Varese         27,1                         67,1                           5,8

Vicenza       22,4                        59,9                          17,7

 

 

A Vicenza il centrosinistra si è presentato fortemente diviso (da una parte Ulivo+Sdi+civica con il 17,2%, dall’altra Prc+Pdci+Verdi al 5,2%, dall’altra ancora Italia dei Valori e Udeur in un polo centrista che ottiene il 9,9%). Questi ultimi sono in tabella nella  colonna altri. A titolo di cronaca va ricordato che a Vicenza alcuni movimenti delusi dall’esito della battaglia contro la costruzione della nuova base americana, hanno esplicitamente fatto una campagna astensionistica.

A Varese la corsa solitaria l’ha tentata Italia dei Valori (1,8%), mentre l’Udeur si è collocato nel polo centrista (2,5%). Questi ultimi sono in tabella nella  colonna altri.

 Anche a Ragusa il centrosinistra si è fatto in quattro (1=Ds+Margherita+Civica 2=Prc,Pdci,Verdi, It. Dei Valori  3= Sdi+civica socialista 4= Udeur in corsa solitaria). Tutti insieme fanno 33,5%.

 

Scelte reali degli elettori

 Normalmente siamo abituati a ragionare in termini di voti validi, cioè delle scelte di voto espresse correttamente. Si da il caso però che i voti validi vengono generalmente indicati solo in valori percentuali. Per una corretta comprensione dei risultati di una qualsiasi prova elettorale vanno presi in considerazione, correlandoli, tutti i dati utili: il numero di cittadini chiamati a votare (elettori), quelli che vanno a votare (votanti), le espressioni di voto utili (voti validi), quelli che non vanno a votare (astenuti) e quelli che pur votando non scelgono o annullano il voto (schede bianche e nulle); la somma di astenuti, schede bianche e schede nulle, forma il non –voto.

Se i voti validi vengono “misurati” in rapporto agli elettori, cioè a tutti gli aventi diritto al voto e non solo a quanti hanno fatto una scelta valida, è possibile visualizzare contestualmente il grado di partecipazione democratica e l’incidenza reale dei consensi.

 Voti validi dei candidati presidente per ogni 100 elettori

(graduatoria in ordine decrescente)

 

 

I voti validamente espressi sono di poco superiori a 1,9 milioni contro 3,6 milioni di aventi diritto al voto. Se a Vercelli hanno espresso un voto valido solo 60,5 elettori ogni cento, a Varese si precipita a 51,3. Dai dati si può trarre una considerazione persino ovvia, ma non per questo meno preoccupante : la crescita dell’astensionismo, oltre a incidere sull’esito delle consultazioni elettorali, tende a mutare la qualità stessa della democrazia nel senso di un suo sostanziale impoverimento.

Con il duplice rischio di una “rappresentanza” istituzionale sempre meno rappresentativa e, all’opposto, una “cittadinanza” che si esprime sempre più al di fuori del circuito democratico.

 Per valutare adeguatamente la portata del fenomeno astensionistico

(nella versione più completa del non-voto) basta osservare

la differenza tra rappresentanza legale e rappresentatività reale

 

 Alle “provinciali” la rappresentanza legale dei singoli schieramenti, o dalle singole liste è data dal rapporto tra i voti ottenuti dai singoli candidati presidenti ( o dalle singole liste) e il totale dei voti validamente espressi.

La rappresentanza legale per schieramenti emersa dalle provinciali 2007 è la seguente:

centrodestra  56,0   -  centrosinistra  36,8  -   altri 7,2

 Partendo invece dalle scelte reali degli elettori , considerando quindi sia i voti validamente espressi che il non-voto, il “peso” dei voti validi risulta notevolmente ridimensionato.

Le scelte reali degli elettori sono infatti cosi ripartite:

Voti validi =  55,1

Non-voto   =  44,9

 

i 55,1 voti validamente espressi per ogni 100 elettori danno la Rappresentatività reale dell’insieme degli schieramenti; in dettaglio il quadro definitivo è il seguente:

centrodestra  30,0  -  centrosinistra 19,8  -  altri 5,3

 

il calcolo è stato effettuato prendendo dai dati provinciali (senza Ragusa) gli elettori = 3.363.349 e i voti validi dei soli candidati presidenti (vedi tabelle successive)

  

I voti validi  per schieramento e provincia

 

 

 

Confrontando con i dati “omogenei” del 2002 i voti validi ottenuti dai candidati presidenti dei due schieramenti principali, emerge con chiarezza il colpo subito dal centrosinistra sia in termini assoluti che in percentuale ( -160 mila voti, - 9,4%); al contrario, il centrodestra cresce sia in voti ( +145 mila) che in percentuale (+ 7%).

Il confronto con le consultazioni più generali “politiche”, “regionali”, “europee”, conferma lo scarso appeal per le provinciali da parte degli elettori di entrambi gli schieramenti.

Proseguendo nel confronto tra dati omogenei riprendiamo dalla tabella precedente i soli voti di lista e confrontiamoli con quelli analoghi del 2002:

 

 

 

i dati solo Ulivo, già compresi nel rigo centrosinistra, sono stati scorporati per meglio individuare l’andamento della lista anticipatrice del partito democratico (per le altre liste dell’Unione e della coalizione di centrodestra si rinvia alle tabelle della pagina seguente)

 I dati dimostrano, in modo inequivocabile, gli effetti prodotti dalla significativa crescita delle astensioni:  nel 2007 i voti validi, rispetto al 2002, si riducono di ben 157.000 unità.

La non partecipazione al voto colpisce duramente il centrosinistra : i suoi voti validi si riducono del 23% mentre il solo Ulivo si comprime del  35%.

Perdono voti anche i candidati “altri” ( -30%), mentre il centrodestra incrementa i suoi voti assoluti del 9%.

L’evidente scarto tra perdite (tante) e incrementi (pochi) consente di rilevare sia la destinazione dei voti mancanti (astensionismo) che la provenienza prevalente (centrosinistra).

Una conferma ancora più netta possiamo ottenerla ricorrendo al metodo seguito per definire la rappresentatività reale.

 

Scelte reali per ogni cento elettori :

 

 

Prov. li 2007

Prov.li 2002

Diff 2007/2002

Centrosinistra

20

27

- 7

centrodestra  

30

29

+1

altri  

4

3

+1

non voto            

46

41

+5

 

 

Nelle due consultazioni a confronto emerge che la scelta degli elettori per il non-voto prevale sui singoli schieramenti.

Se nel 2002 gli elettori che hanno scelto il non voto erano 41 ogni 100, nel 2007 aumentano di altre 5 unità raggiungendo quota 46.

Anche da questo confronto risulta chiaro che la crescita dell’astensionismo è dovuta essenzialmente agli elettori di centrosinistra.

Il leggerissimo incremento (1 voto ogni 100 elettori) del centrodestra dimostra che tra gli elettori l’unico sommovimento degno di rilievo è la scelta astensionista compiuta da almeno un quarto degli elettori che nel 2002 avevano votato centrosinistra.

Provinciali 2007: riepilogo voti di lista

 

Nella pagina precedente avevamo riportato il riepilogo dei voti di lista raggruppati per schieramenti. Nelle tabelle seguenti son invece riportati i dati relativi alle singole liste e al totale della coalizione.

 

 

Liste di centrosinistra

 

Nel confronto con il 2002 tutte le liste subiscono perdite anche se in misura molto differenziata. Il vero e proprio tracollo subito dall’Ulivo (in voti -35%) travolge l’intera coalizione. Fatte le debite proporzioni, anche Rifondazione paga un prezzo pesante (-35%). Più contenute le perdite delle altre liste. La lista “altri c/sin”, comprende i voti ottenuti da liste locali dell’Unione non attribuili ad altre liste. Il dato positivo, in voti e percentuale di queste liste non compensa comunque le perdite prima richiamate e, infatti nel totale “centrosinistra” i risultati restano ampiamente negativi. 

Liste di centrodestra

 

Quadro rovesciato rispetto al precedente. Forza Italia e Lega Nord ottengono i risultati migliori della coalizione a scapito di Alleanza Nazionale e Udc. Nel suo insieme la Cdl cresce in voti e percentuale. Per quanto riguarda il dato di Forza Italia e Lega va ricordato che nel 2002 le due liste subirono il colpo più duro per effetto di quell’astensionismo a parti rovesciate , richiamato in precedenza. Nel momento in cui la non partecipazione è più alta nel campo avverso, basta la tenuta o anche il recupero di una quota ridotta di elettori per dilatare l’effetto “crescita”. Osservando, ad esempio, i dati All. Naz. l’effetto si nota subito:  alla perdita dei voti corrisponde un incremento in percentuale.

 

Elezioni Comunali

Hanno votato complessivamente 831 comuni

146 di questi hanno votato con il sistema maggioritario (comuni sup. a 15.000 ab).

(nei 146 sono compresi anche i 26 comuni capoluoghi di provincia)

Totale elettori alle comunali (tutti i comuni) = 7.763.412

Ha votato il 73,9% degli aventi diritti. Gli astenuti sono circa 2.000.000

 

Esito del voto dopo i ballottaggi

L’analisi è limitata ai 146 comuni che hanno votato con il sistema maggioritario.

Per i Comuni con meno di 15.000 abitanti l’analisi del voto diventa di fatto impraticabile per l’infinita varietà di liste locali o civiche difficilmente identificabili, spesso politicamente non omogenee.

 

(a) Il voto nei capoluoghi di provincia

Comuni capoluoghi interessati al voto: 26

(di cui 12 collocati nelle regioni del nord = 46%)

 

Centrosinistra  

Centrodestra    

Attuali                        8

Attuali                        18

Precedenti                12            

Precedenti                 14            

Centrosinistra:

conferma:     Cuneo, Genova, La Spezia, Frosinone, Piacenza, Pistoia.                                                                                                                                                                  

conquista:    L’Aquila , Taranto.                                                                    

perde:           Alessandria,  Asti, Monza,Verona, Gorizia, Matera.                                                                                                    

 Centrodestra

conferma:  Como, Belluno, Rieti, Isernia, Lecce, Trani, Reggio Calabria, Olbia, Parma, Lucca, Latina.

conquista:  Alessandria,   Asti, Monza, Verona , Gorizia, Matera.

perde:        L’Aquila, Taranto.                                                                                                                                                                                          

In corsivo e sottolineati gli 8  comuni andati al ballottaggio.

(b) il voto nei comuni con più di 15.000 ab. (non capoluoghi)

Comuni interessati al voto: 120

(cui 47 collocati nelle regioni del nord = 40%)

 

Esito del voto dopo i ballottaggi:

(al ballottaggio hanno partecipato 61 comuni)

Centrosinistra  

Centrodestra    

civiche  

Attuali                       43

Attuali                       70

7

Precedenti                65            

Precedenti                 45            

10

 

La quasi totalità delle perdite (-22) subite dal centrosinistra si concentra nel nord e particolarmente in Lombardia -11 (di cui 7 nella cintura metropolitana milanese), seguono Veneto -4 e Piemonte -2. Fuori dalle regioni settentrionali la perdita più significativa è quella di Todi in Umbria.

(a+b) Riepilogo tutti i comuni (146) con oltre 15.000 abitanti:

(di cui 59 collocati nelle regioni del nord = 40%)

 

al ballottaggio hanno partecipato 69 Comuni

 

centrosinistra:     attuali    51 (preced. 77)    =    - 26

centrodestra :      attuali    88 (preced. 59)    =     +29

altri:                     attuali      7 (preced.  10)   =      - 3

 

 

Distribuzione geografica dei 146 Comuni:

Nord 47

Centro 20

Sud 48

Isole 5

 

Voti validi per schieramento

e aree geografiche

 

 

Nei Totali mancano i voti ottenuti dalle liste “ALTRI”

 

Il riepilogo generale dimostra, in modo più netto che alle provinciali, che la riduzione dei voti validi riguarda entrambi gli schieramenti, e conferma che il contributo più massiccio viene dal centrosinistra.

 

Dalla suddivisione per aree geografiche emerge con altrettanza nettezza che il centrosinistra subisce il colpo più grave nei comuni dell’area NORD, mentre al CENTRO E AL SUD registra degli incrementi limitati. I segni positivi di queste aree non compensano comunque le perdite del subite al nord. Significative, al SUD, le perdite del centrodestra.

 

“L’effetto astensioni” si nota con particolare rilievo nell’area Nord; qui al centrodestra sono bastati poco meno di 19mila voti per fare un balzo, nella “percentuale dei voti”, del 3,3%.

Da rilevare infine la “concentrazione” di voti validi nell’area NORD, pari al 43% del totale nazionale. Ancora una smentita per quanti hanno attribuito un “valore generale” all’esito della consultazione.

Voti validi per liste e schieramenti

 

Centrosinistra

 

Le perdite del centrosinistra sono da attribuire in gran parte all’Ulivo che riduce di oltre 150 mila i propri voti, comprimento la sua base del 18%.

In proporzione anche Rif. Com. subisce un ridimensionamento  significativo. I voti persi sono circa 43.000, quasi un terzo della sua base elettorale precedente.

Dati in positivo per Pdci e Verdi, ma non per lo Sdi. Udeur e Italia dei valori vanno ancora meglio. La loro “crescita” va valutata considerando il fatto che è cresciuto anche il numero dei comuni in cui si sono presentati. Vanno bane anche le “altre liste di centrosinistra”, si tratta di liste “miste” e a composizione “variabile” pertanto i voti non sono ripartibili automaticamente alle liste di centrosinistra più tradizionali.

 

Centrodestra

 

Seppure in misura minore perde voti anche il centrodestra.  Forza Italia subisce le perdite più significative (-10% dei voti ottenuti nelle comunali precedenti.

Le perdita dell’Udc sono in proporzione, ancora più pesanti  (-17%), e ancora di più quelle del nuovo psi uscito dal voto più che dimezzato. Per le altre liste minori le oscillazioni sono condizionate dal numero di liste presentate. Tiene AN e migliora la Lega (dentro però il limite del 3%)

Alle comunali l’astensionismo si presenta più “distribuito” tra i due schieramenti principali, anche se resta prevalente nel centrosinistra. Perciò, rispetto alle provinciali, il suo “effetto” gonfiamento delle percentuali è meno pronunciato.

Voti validi per schieramenti

(Solo comuni capoluoghi)

 

 

I voti validi espressi nei Capoluoghi rappresentano il 45%  del totale dei comuni con + di 15mila ab. In queste realtà si conferma quanto già rilevato nel riepilogo generale dei comuni e cioè la riduzione dei voti colpisce entrambi gli schieramenti, ma con una significativa differenza: lo scarto tra perdite del centrosinistra e perdite del centrodestra è molto più contenuto.

Considerando tutti i 146 comuni e confrontando i dati percentuali del 2007 con quelli del 2002 si nota che il centrodestra, già in vantaggio, aumenta il distacco dall’1,6% al 3,5%.

Nei capoluoghi invece il vantaggio, sempre del centrodestra, era nel 2002 del 4,6%; nel 2007 è pari al 6,2%.

Chiudiamo con un rapido sguardo alle elezioni amministrative siciliane, regolate da una legge molto diversa.

In due dei tre comuni capoluoghi chiamati a votare. Palermo e Trapani, il centrodestra ha confermato le giunte precedenti. Ad Agrigento invece si afferma il candidato sindaco sostenuto dal centrosinistra o meglio da una lista civica di c/s.. Ma per contare su una maggioranza solida in consiglio si dovrà ricorrere ad operazioni di segno trasformistico. Nel riepilogo generale si vede che il centrosinistra va meglio che nel resto d’Italia (+2), ma le alleanze realizzate non sono sempre all’insegna della chiarezza.

Il centrodestra perde 5 giunte prevalentemente a favore di liste civiche di segno centrista.

 Elezioni Comunali in Sicilia

Comuni capoluoghi 3 + 32 comuni sup. 10.000 ab.

 

Risultati dopo i ballottaggi:

 

Centrosinistra  

Centrodestra    

civiche  

Attuali                      12

Attuali                       19

4

Precedenti                10            

Precedenti                24            

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