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Alla (ri)scoperta dei sensi

 

MartesanaDue - febbraio 2007

 

La Sardegna, le sue uve, i suoi vini

Eccoci di nuovo insieme, a camminare nei territori del vino. Eravamo rimasti in Sardegna, con il fiato sospeso per l’immensità delle sue bellezze e delle sue ricchezze, che a tratti ci sembra di non poter contenere e affrontare. Difficile parlare dei suoi vini e cercare di tracciare una mappa che renda almeno un po’ giustizia della complessità e varietà che li distingue rispetto ai vitigni, alle aree di produzione, ai terreni, ai climi, agli interventi umani. Ho pensato a lungo da quale crinale intraprendere la scalata e ho verificato una volta di più che sulla Sardegna e i suoi vini si possono scrivere tante storie e illustrare tanti paesaggi ognuno in se compiuto e assoluto, così come aperto e non concluso. Si potrebbe raccontare la sua antichissima grandezza, la sua caduta e la sua rinascita che la sta portando di nuovo alle più ardite altezze del mondo enologico; si potrebbe raccontare dei suoi vitigni di origine sconosciuta, come il Nasco e il Nieddera, bianco l’uno, rosso l’altro; dei vitigni lascito delle dominazioni, come il Bovale, il Cannonau, il Cagnulari, il Girò, tutti a bacca rossa; dei vitigni di fama e diffusione internazionale, come il Cabernet Sauvignon o il Sauvignon blanc. Si potrebbe parlare dei terreni caldi e sabbiosi del litorale o di quelli aspri e rocciosi dell’interno montuoso, delle argille e dei calcari, dei graniti e delle arenarie; degli autunni soleggiati e delle estati ardenti, dei venti che sferzano e insieme danno sollievo a questa terra; delle rovine di Tharros, quasi adagiate sul mare, che custodiscono un vino senza tempo come la Vernaccia di Oristano o delle abbaglianti dune di Porto Pino, alle cui spalle si stende il territorio del Sulcis e dell’Iglesiente, dove alberga l’affascinante Carignano. Si potrebbe parlare della salsedine che brucia i vigneti e delle brezze marine evocate dal Vermentino oppure delle note fruttate condensate nel Torbato, vitigno che ha attraversato il Mediterraneo per giungere fin qui dall’Egeo. O ancora della tenace resistenza e della generosa produttività del Nuragus, la cui origine si perde nella notte dei tempi; o dell’onnipresente Monica, del defilato Pascale di Cagliari, che, a dispetto del nome, si coltiva nel sassarese e del fragile Semidano. Si potrebbe parlare delle rare e preziose Malvasie e dei suadenti Moscati. Ogni vino racchiude una storia e narra, da una particolare visuale, la storia e il carattere sardi. L’apertura e la chiusura, la ritrosia e la cordialità, la fierezza e la modestia, la vulnerabilità e l’impenetrabilità, la fugacità e la durevolezza, la spigolosità e la rotondità.

Varrebbe la pena di assaggiarli tutti i vini sardi: il sontuoso Terre Brune ovvero il Carignano del Sulcis, con qualche aggiunta di Bovale, secondo l’interpretazione della Cantina sociale di Santadi, un’immersione nelle spezie e nel sottobosco, nei sentori balsamici, minerali, animali; l’elegante e ricercato Turriga, intenso e longevo Cannonau in uvaggio, prodotto da Antonio Argiolas; dello stesso produttore, l’Angialis, avvolgente vino ottenuto da uve nasco appassite, con piccole quote di malvasia; il Luzzana di Giovanni Cherchi, da uve cagnulari e cannonau, armonia di frutta e di spezie; il raffinato Anghelu Ruju di Sella e Mosca, altra interpretazione delle uve cannonau, questa volta lasciate ad appassire al sole su stuoie di canne, una sorta di prestigioso porto italiano; il Vermentino di Gallura dell’azienda Capichera, sapido e ammandorlato, una delle migliori espressioni della tipologia.

Ma se c’è un vino d’arte questo è la Vernaccia di Oristano. Sicuramente un vino dal difficile approccio, un vino antico, che matura con calma incrollabile. Nelle annate più felici l’uva vernaccia dà vita a un vino quasi immortale. Esistono ancora Vernacce dell’inizio del 1900, che riposano in piccole e pregiate botti di rovere e di castagno. Di tempo in tempo, quando nascono Vernacce di eccellenza, queste, secondo il metodo di invecchiamento “solera” - utilizzato per produrre anche il Marsala e lo Sherry – vanno a rabboccare le botti che accolgono le Vernacce più antiche per dare loro nuova freschezza e nuovo vigore. Così passato e presente si fondono e creano un’armonia gusto-olfattiva che non finisce mai di emozionare e stupire. Il profumo è quello del mandorlo in fiore, il sapore è caldo e vellutato, il colore ricorda l’ambra e il topazio. Per chi volesse fare questa esperienza straordinaria consiglio la Vernaccia Antico Gregori di Attilio Contini. È un vino di grande caratura, esigente, che rifugge le smanie e la superficialità; quando lo si accosta non bisogna avere fretta, ma lasciarsi rapire, lentamente, dal respiro intenso e profondo della storia e della vita.

 

Paola D'Alessandro