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filodiretto dal Parlamento

NO ALLA DECONTRIBUZIONE E DESTRUTTURAZIONE DELLE PENSIONI


Per tutta l’estate i vari Ministri, a partire da Berlusconi, non hanno fatto che parlare di come cambiare le pensioni, il sistema previdenziale italiano, facendo finta di non sapere che la riforma previdenziale in Italia è già stata, per tanta parte, realizzata in tre tappe con le leggi del 1992 (Amato), 1995 (Dini), 1997 (Prodi).

Riforma che progressivamente, nell’attuazione, tende a rendere uniforme (fatto salvo alcuni Fondi) il sistema previdenziale pubblico, garantendo gli equilibri finanziari se si separa l’assistenza dalla previdenza e si completa la riforma.

Invece che affrontare questi aspetti, ogni Ministro ha fatto le sue “sparate” chi proponendo l’elevamento dell’età pensionabile, chi di bloccare le pensioni di anzianità benché dal 2004, ormai per tutti, bisogna avere come minimo 35 anni di contributi e 57 anni di età, oppure superare 40 anni di contributi.

Quando si parla di elevare l’età pensionabile si dimentica, o comunque non si tiene conto, che sono le aziende ad espellere dal lavoro i lavoratori appena raggiungono i 35 anni di contributi, basta pensare, per fare degli esempi recenti, alla FIAT, alla Telecom, alle banche e via elencando. Per non parlare e ricordare gli oltre 700mila/1 milione di lavoratori, fra i 45 e i 60 anni, espulsi dal lavoro, ormai disoccupati di lunga durata, che non hanno diritto alla pensione, ne riescono a trovare una nuova occupazione (vengono considerati troppo giovani per la pensione, troppo vecchi per il lavoro).

Proprio per favorire il reinserimento al lavoro di queste centinaia di migliaia di lavoratori (nella maggior parte dei casi impiegati, tecnici, quadri, dirigenti ecc.), abbiamo presentato una apposita proposta di legge in Senato, ed una delegazione di disoccupati, nello scorso luglio, ha consegnato una petizione al Presidente Pera, con migliaia di firme, con la quale si sollecita l’esame e l’approvazione di detta legge.

Ma contemporaneamente, con tutto questo sfavillare televisivo e fiume di proposte, si nasconde il vero contenuto della “delega governativa”. Essa, fra l’altro, prevede la riduzione del 5% (dal 33 al 28%) dei contributi previdenziali che le aziende versano all’INPS, per i nuovi assunti.

Se passasse questa norma, ora all’esame del Senato, ma già approvata dalla Camera dei Deputati, le future pensioni sarebbero drasticamente ridotte. Infatti, con il calcolo contributivo, le future pensioni di questi lavoratori sarebbero inferiori al 40% del salario e, fra qualche anno, mancherebbero i soldi per pagare le pensioni (perché, secondo l’Istat, ogni anno i nuovi assunti sono l’8%, in 5 anni sono il 40% dei lavoratori).

Per questo è necessario – come chiedono unitariamente anche Cgil – Cisl – Uil – eliminare la decontribuzione previdenziale, e attraverso un vero confronto del Governo con i Sindacati, ed in Parlamento, non destrutturare le pensioni, ma completare la riforma.

 

COMPLETARE LA RIFORMA PREVIDENZIALE

Rispetto agli altri paesi europei, compresi quelli della Comunità Europea, l’Italia è, già ora, quella più avanti nella definizione di un sistema previdenziale pubblico sostenibile, come è emerso dall’indagine svolta dalla Commissione Parlamentare di Controllo degli Enti previdenziali – della quale sono componente-.

Dopo le tre tappe della riforma previdenziale realizzate nel 1992-95-97, se si separa – come è previsto – l’assistenza dalla previdenza, si è assicurato l’equilibrio finanziario per i prossimi decenni.

Mentre il deficit attuale – per il 57,5%, nel 2002 – è determinato dai “Fondi speciali” e degli ex dirigenti industriali che complessivamente riguarda il 3,8% dei pensionati (meno di 350 mila su oltre 15 milioni di pensionati INPS), l’altro 42,5% di deficit è dato dai Fondi dei lavoratori autonomi (agricoltori, artigiani, commercianti, ecc.).

Per questo abbiamo detto e diciamo no alla destrutturazione della previdenza, col taglio dei contributi sostenute dal Governo e dal centrodestra.

Proponiamo invece, come abbiamo fatto sia nella Commissione Controllo Enti previdenziali  che intervenendo in Parlamento, il completamento, per tappe, della riforma previdenziale.

Cioè nell’arco di 5 – 10 anni:

1)     Realizzare l’unificazione della previdenza e assicurazione antinfortunistica in due soli Istituti: INPS (previdenza) INAIL (assicurazioni contro gli infortuni e malattie professionali);

2)     Realizzare, per tutti (lavoratori pubblici, privati, autonomi), la parificazione della normativa: stessi contributi, eguali criteri di calcolo della pensione e dell’età pensionabile;

3)     Due pilastri previdenziali: a) quello pubblico e universale per tutti (INPS); b) i Fondi integrativi (sia contrattuali nazionali che, eventualmente, regionali misti – lavoratori e datori di lavoro – per le piccole aziende con meno di 15 dipendenti) utilizzando anche in modo volontario – con il “silenzio assenso” – il T.F.R.

I prossimi mesi – durante il confronto sulla legge delega e la Finanziaria 2004 – si giocherà, in Parlamento e nel Paese, una grande partita sulla previdenza italiana: è necessario sconfiggere chi intende destrutturare il sistema pensionistico, e conquistare il completamento della riforma pensionistica che garantisca equità ed uguaglianza normativa.

Antonio Pizzinato 

MartesanaDue - settembre  2003