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NO ALLA DECONTRIBUZIONE E DESTRUTTURAZIONE DELLE PENSIONI
Riforma
che progressivamente, nell’attuazione, tende a rendere uniforme (fatto
salvo alcuni Fondi) il sistema previdenziale pubblico, garantendo gli
equilibri finanziari se si separa l’assistenza dalla previdenza e si
completa la riforma. Invece
che affrontare questi aspetti, ogni Ministro ha fatto le sue “sparate”
chi proponendo l’elevamento dell’età pensionabile, chi di bloccare le
pensioni di anzianità benché dal 2004, ormai per tutti, bisogna avere
come minimo 35 anni di contributi e 57 anni di età, oppure superare 40
anni di contributi. Quando
si parla di elevare l’età pensionabile si dimentica, o comunque non si
tiene conto, che sono le aziende ad espellere dal lavoro i lavoratori
appena raggiungono i 35 anni di contributi, basta pensare, per fare degli
esempi recenti, alla FIAT, alla Telecom, alle banche e via elencando. Per
non parlare e ricordare gli oltre 700mila/1 milione di lavoratori, fra i
45 e i 60 anni, espulsi dal lavoro, ormai “disoccupati di lunga
durata”, che non hanno diritto alla pensione, ne
riescono a trovare una nuova occupazione (vengono considerati troppo
giovani per la pensione, troppo vecchi per il lavoro). Proprio
per favorire il reinserimento al lavoro di queste centinaia di migliaia di
lavoratori (nella maggior parte dei casi impiegati, tecnici, quadri,
dirigenti ecc.), abbiamo presentato una apposita proposta di legge in
Senato, ed una delegazione di disoccupati, nello scorso luglio, ha
consegnato una petizione al Presidente Pera, con migliaia di firme, con la
quale si sollecita l’esame e l’approvazione di detta legge. Ma
contemporaneamente, con tutto questo sfavillare televisivo e fiume di
proposte, si nasconde il vero contenuto della “delega governativa”.
Essa, fra l’altro, prevede la riduzione del 5% (dal 33 al
28%) dei contributi previdenziali che le aziende versano
all’INPS, per i nuovi assunti. Se
passasse questa norma, ora all’esame del Senato, ma già approvata dalla
Camera dei Deputati, le future pensioni sarebbero drasticamente ridotte.
Infatti, con il calcolo contributivo, le future pensioni di questi
lavoratori sarebbero inferiori al 40% del salario e, fra qualche anno,
mancherebbero i soldi per pagare le pensioni (perché, secondo l’Istat,
ogni anno i nuovi assunti sono l’8%, in 5 anni sono il 40% dei
lavoratori). Per
questo è necessario – come chiedono unitariamente anche Cgil – Cisl
– Uil – eliminare la decontribuzione previdenziale, e
attraverso un vero confronto del Governo con i Sindacati, ed in
Parlamento, non destrutturare le pensioni, ma completare la riforma. COMPLETARE LA RIFORMA PREVIDENZIALERispetto
agli altri paesi europei, compresi quelli della Comunità Europea,
l’Italia è, già ora, quella più avanti nella definizione di un
sistema previdenziale pubblico sostenibile, come è emerso dall’indagine
svolta dalla Commissione Parlamentare di Controllo degli Enti
previdenziali – della quale sono componente-. Dopo
le tre tappe della riforma previdenziale realizzate nel 1992-95-97, se si
separa – come è previsto – l’assistenza dalla previdenza, si è
assicurato l’equilibrio finanziario per i prossimi decenni. Mentre
il deficit attuale – per il 57,5%, nel 2002 – è determinato dai “Fondi
speciali” e degli ex dirigenti industriali che
complessivamente riguarda il 3,8% dei pensionati (meno di 350 mila su
oltre 15 milioni di pensionati INPS), l’altro 42,5% di deficit è dato
dai Fondi dei lavoratori autonomi (agricoltori, artigiani, commercianti,
ecc.). Per
questo abbiamo detto e diciamo no alla destrutturazione della previdenza,
col taglio dei contributi sostenute dal Governo e dal centrodestra. Proponiamo
invece, come abbiamo fatto sia nella Commissione Controllo Enti
previdenziali che intervenendo
in Parlamento, il completamento, per tappe, della riforma previdenziale. Cioè
nell’arco di 5 – 10 anni: 1)
Realizzare l’unificazione
della previdenza e assicurazione antinfortunistica
in due soli Istituti: INPS (previdenza) INAIL (assicurazioni contro gli
infortuni e malattie professionali); 2)
Realizzare, per
tutti (lavoratori pubblici, privati, autonomi), la parificazione
della normativa: stessi contributi, eguali criteri di calcolo
della pensione e dell’età pensionabile; 3)
Due pilastri
previdenziali: a) quello
pubblico e universale per tutti (INPS); b) i Fondi
integrativi (sia contrattuali nazionali che, eventualmente,
regionali misti – lavoratori e datori di lavoro – per le piccole
aziende con meno di 15 dipendenti) utilizzando anche in modo volontario
– con il “silenzio assenso” – il T.F.R. I
prossimi mesi – durante il confronto sulla legge delega e la Finanziaria
2004 – si giocherà, in Parlamento e nel Paese, una grande partita sulla
previdenza italiana: è necessario sconfiggere chi intende
destrutturare il sistema pensionistico, e conquistare il completamento
della riforma pensionistica che garantisca equità ed uguaglianza
normativa. Antonio Pizzinato MartesanaDue - settembre 2003
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