www.ilponte.it

milano multietnica

 

 

Intolleranza, xenofobia o emergenza razzismo? Cosa ci dicono i soci di DAR 

MartesanaDue - novembre 2008

 

A proposito di razzismo e intolleranza 

MartesanaDue - ottobre 2008

 

Celebrato il 40° anniversario dell'indipendenza del popolo algerino 

MartesanaDue - settembre 2002

 

Casa della cultura islamica di via Padova

intervista al direttore e all'imam

MartesanaDue - novembre 2001

 

I “Cittadini dal Mondo” per il diritto di voto agli immigrati

MartesanaDue - luglio/agosto 2001

 

Le comunita' immigrate stanno diventando un popolo di famiglie"

MartesanaDue - maggio 2001

 

Alla Centrale una piazza di rumeni di tre diverse cittadinanze*

MartesanaDue - marzo 2001

 

Un flusso migratorio recente e disperato senza  riferimenti, 

tranne questa piazza*

MartesanaDue - marzo 2001

 

Le ragazze peruviane di Milano vogliono lavorare e studiare*

MartesanaDue - febbraio 2001

 

Con i peruviani la messa e' cantata, 

ma con chitarre,tamburo e maracas*

MartesanaDue - febbraio 2001

 

Quando diversita' e pluralismo diventano una risorsa

MartesanaDue - febbraio 2001

 

Shan Shan fabbrica borse di tela 

e i suoi fratellini studiano al Trotter*

MartesanaDue - dicembre 200 

 

I filippini; un pacifico esercito di asiatici cristiani e americanizzati*

MartesanaDue - novembre 2000

 

Le donne e i bambini Kurdi del centro di via Sammartini*

MartesanaDue - ottobre 2000

 

e' straniero piu' di un abitante su dieci in Zona 2*

MartesanaDue - ottobre 2000

 

* articoli di Gianni Bazzan - redazione del mensile MartesanaDue

 

°°°°

 

E' straniero piu' di un abitante su dieci in Zona 2*

La comunita' straniera piu' numerosa della nostra zona

 

Forse non e'  cosi' poco chic, come molti sembrano pensare, avere un elevato numero di residenti stranieri nella zona in cui si abita, visto che il primato in percentuale e' del Centro di Milano. Nell’intera citta' la percentuale di residenti stranieri iscritti all’anagrafe comunale e' del 7,9%, mentre nella zona 2 e' del 10,2%.. Siamo superati solo dal 10,4% della Zona 1 (il centro compreso nella cerchia dei navigli) comunque molto rispetto al 2,2% della percentuale nazionale (questo dato e' riportato dal Corriere della Sera, mentre altre fonti parlano del 3,4%e comunque irrisorio rispetto alle percentuali superiori al 20 di alcune metropoli europee e di alcuni interi paesi dell’Unione Europea. Ma in cifra assoluta la nostra zona e' in testa alla “top nine” delle zone di Milano, con 14.077 residenti stranieri su 137.491 abitanti.

Sono dati puramente indicativi e riferiti soltanto agli immigrati “regolari”. Le statistiche del Comune, peraltro precise e accurate, possono registrare solo quanti hanno chiesto e ottenuto la residenza, ed accusano quindi un “fisiologico” ritardo. Non censiscono quelli che sono qui e non hanno ancora ottenuto la residenza (ma gli irregolari di oggi saranno i regolari di domani). Tutto questo - ci spiegano al Settore Statistico del Comune - e' pero' compensato da un analogo ritardo della registrazione della “uscita”. Se un nativo del Capo Verde torna nella sua terra d’origine, o se un egiziano si trasferisce a Cinisello Balsamo per aprire una pizzeria, finché non chiede il cambio di residenza continua a figurare come residente a Milano.

Ma da che parte del mondo vengono questi quasi 15 mila residenti stranieri della nostra  zona? Ben 1.462 arrivano dai paesi dell’Unione Europea e rappresentano il 10,4% degli stranieri della zona (nell’intera Milano sono 14.799, pari al 14, 1%). Nella nostra zona i piu' numerosi tra i cittadini dei paesi UE sono del Regno Unito (381), seguiti dai tedeschi (312), dai francesi (232) e dai greci (132).

Provengono dagli “altri paesi europei” 1.391 residenti nella zona 2, e rappresentano il 9,9% del totale degli stranieri della zona, mentre nell’intera citta' sono solo l’8,6%. Le nazioni di origine piu' rappresentate sono la Jugoslavia, con 379 presenze, l’Albania con 232, la Romania con 165 e la Svizzera con 148. Hanno un solo residente in zona 2, dicono le statistiche comunali, Malta, la Slovacchia e la Slovenia..

90 residenti della zona 2 vengono dai paesi dell’Ex Urss e rappresentano solo lo 0,64% dei nostri stranieri. Sono quasi tutti russi (63) e ucraini (19).

Gli stranieri provenienti dalle Americhe sono 2.294 nella zona 2 (una percentuale del 16,30% sul totale, appena piu' alta del 15,16% dell’intera citta'. La comunita' nettamente piu' forte e' quella dei peruviani, che sono 1.151, seguiti dai 245 brasiliani, dai 205 nativi di El Salvador, dai 153  statunitensi e dai 147 ecuadoriani. Da tutta l’area americana e' netta la prevalenza femminile (il 62%). Quante saranno le colf e quante le aspiranti top model?

Gli africani sono, dopo gli asiatici, l’area geografica piu' rappresentata in zona 2. Sono 3.131 e rappresentano una percentuale piu' bassa che nell’insieme della citta' (il 22,24% contro il 25,79% dell’intera Milano). I gruppi piu' rappresentati sono gli egiziani, 1491 (una comunita' molto maschile: le donne sono solo il 23%), i 543 marocchini (anche qui le donne sono solo il 23%), i 342 senegalesi (solo il 5% di donne), i 132 tunisini (17% di femmine). Le  comunita' a prevalenza femminile sono invece l’eritrea (77% su 86 presenti), l’etiope (il 57% dei 99 presenti in zona), e la Sierra Leone (69% di 134 residenti).

Se la percentuale  dei “nostri” africani e' minore di quella dell’intera citta', il contrario avviene  per i residenti asiatici (5.680 in zona 2)  che rappresentano una percentuale sul totale degli stranieri ben piu' elevata del resto della citta' (il 40,35% contro il 35,50% dell’intera Milano). Ci sono in zona 2, tra le comunita' numericamente significative, 2.539 filippini (dei quali il 58% sono donne), 1.548 cinesi (con il 47% di femmine), 645 nativi dello Sri Lanka, 252 giapponesi, 110 coreani del Sud e 103 pakistani.

Solo 19 residenti della zona provengono da Australia e Nuova Zelanda e 14 sono di sesso femminile.

Dai dati comunali, che ci ripromettiamo di approfondire nei prossimi numeri, esce un quadro della presenza straniera, a Milano e nella nostra zona, ben lontana dagli stereotipi e dai pregiudizi spesso alimentate dagli organi di informazione e da campagne politiche strumentali. Dice gia' molto che la piu' alta percentuale di "immigrati" sia nel centro di Milano. Quanti sono i manager globalizzati e quante le colf filippine o del Capo Verde? Un altro esempio che fa riflettere e' nel fatto che una zona con una notevole presenza di stranieri sia quella dei Navigli. Ma e' davvero difficile pensare che i residenti italiani si preoccupino degli architetti e dei pittori norvegesi e svizzeri (cioe' rigorosamente "extracomunitari") o che abbiano paura delle svariate centinaia di giovani modelle americane, neozelandesi e australiane che frequentano la zona, bionde, altissime esili e estremamente graziose. Andare a vedere queste "extracomunitarie", per credere.

Un doveroso ringraziamento di MartesanaDue, per questi dati, al Settore Statistica del Comune di Milano, in particolare alla dottoressa Ornella Boggi.

 

MartesanaDue - ottobre 2000

 

 

Le donne e i bambini Kurdi del centro di via Sammartini*

 

Ha suscitato vivaci polemiche nel quartiere e nella Zona quando il Comune di Milano ha deciso di realizzarlo. E’ il Centro di Transito per migranti di via Sammartini 75, collocato sull’area dell’ex autoparco comunale.

E’ stato aperto il 20 marzo.  Lo abbiamo visitato dopo quasi quattro mesi di attivita', per verificare se erano fondati i timori dei residenti, dei comitati e del Consiglio di Zona. Le statistiche erano aggiornate solo al 10 luglio, ma esaurienti e puntigliose, come se chi gestisce il centro avesse “qualcosa da dire” al quartiere. Il centro aveva ospitato, nei primi 113 giorni, 147 persone (53 famiglie, composte da 70 femmine e 77 maschi). I bambini sono stati 74 (il 50%). E ci sono stati 13 mariti e 13 mogli, 14 madri e 23 donne sole. La permanenza massima e' stata di 90 giorni.

Ripartiti per nazionalita' ci sono stati, nei primi 113 giorni, 73 turchi del Kurdistan (il 50%), 12 iracheni (anche in Iraq ci sono kurdi), 6 cittadini del Camerun, 5 della Colombia e del Togo, 3 ospiti da Bosnia, Congo, Egitto e Eritrea. Dei 147 ospiti, 123 hanno richiesto asilo politico. E’ l’84%.

Il Centro, che occupa 200 metri quadri coperti dell’ex officina e 200 dell’ex mensa e cucina, e' di proprieta' del Comune di Milano (Settore servizi sociosanitari) ed e' gestito dalla cooperativa sociale “Farsi Prossimo”, promossa dalla Caritas Ambrosiana. Sono presenti  un coordinatore, tre educatori, cinque custodi di cui quattro stranieri (le statistiche sono politically correct e non li definiscono “extracomunitari”) e una suora-infermiera.

C’e' uno stanzone-dormitorio con 24 posti letto, piu' quattro camere  per 4 posti ciascuna. In tutto fanno 40 posti letto, che e' il numero massimo delle persone che possono stare qui. Ci sono una mensa, servizi igienici, docce e una sala giochi per i bambini.

I “clienti” del Centro  vengono inviati dall’Ufficio Stranieri del Comune di Milano, dalla Polizia municipale (i vigili urbani), dalle polizie di Stato e Ferroviaria, dal centro di aiuto della Stazione Centrale, sempre previo controllo dei documenti.

Se i “clienti” arrivano in orario d’ufficio - spiega Roberto Guaglianone, il giovane coordinatore del Centro  -  vengono “presi in carico” dall’Ufficio Stranieri del Comune, che li manda qui. Quelli che arrivano di notte o la domenica (perché non conoscono gli orari d’ufficio o non ne tengono adeguatamente conto) vengono in genere recapitati dalle forze dell’ordine.

E dopo dove vanno? Se vogliono vivere qui, richiedendo asilo politico, vengono affidati ad altre strutture del circuito di accoglienza, in via Gorlini al Parco di Trenno, sempre affidati all’Ufficio Stranieri del Comune e alla Cooperativa Farsi Prossimo. Il centro di via Gorlini  e' destinato alle donne e ai bambini, mentre per i maschi adulti c'e' il centro di via Giorgi, sempre a Trenno. I due centri sono vicini e le famiglie si possono incontrare. Ma i kurdi, come molti sanno, non hanno l’obiettivo di fermarsi in Italia, ma invece quello di raggiungere parenti in altri paesi d’Europa, soprattutto in Germania.

L’unico ospite nato in Italia che e' stato qui era Maria A. una bambina kurda di pochi giorni. La madre ha avuto le doglie su una nave di migranti nel Mediterraneo. E’ stata presa in consegna da un elicottero militare che l’ha portata a partorire in un ospedale di Catania, mentre il padre e i fratellini sono stati mandati a Crotone, in un centro di accoglienza per migranti. Poi si e' riusciti a riunire la famiglia. Quando e' arrivata Maria aveva un mese e sei giorni, ed é ripartita sei giorni dopo. C’e' qualcuno a Greco che ha paura di Maria?

I Comitati di Greco avevano prima chiesto la sospensione dei lavori per la realizzazione del Centro, poi presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Milano, considerando illegittimo l’uso di quest’area, destinata dal PRG a “verde e servizi comunali” per i residenti, per ospitare persone che non hanno la residenza qui. E nemmeno da nessun’altra parte. Anche il Consiglio di Zona si era opposto, a larga maggioranza (i consiglieri del Polo e i consiglieri Ds presenti) al Centro di Transito.

Non e' nostro compito esprimere pareri sulla legittimita' della delibera. Ma se il problema era di tutelare i residenti di Greco dai disagi e dai rischi connessi con la presenza di immigrati, allora adesso e' chiaro che si e' gridato al lupo senza un motivo fondato, ma per una indistinta e irrazionale paura dei diversi e dei barbari.

Allora forse era piu' civile e solidale non gridare al lupo.

Forse ha ragione Hans Magnus Enzensberger, che scrive, ne La grande migrazione, che i barbari “non e' necessario aspettarli davanti alle porte della citta'. Sono qui da sempre”. Forse avevano ragione anche l’assessore alle periferie Paolo Del Debbio, Ainom Maricos, presidente della comunita' eritrea e consigliere comunale DS, e Mario Furlan, presidente dei City Angels. Degli ultimi due il nostro giornale ha pubblicato, nel numero di giugno, dichiarazioni favorevoli al Centro di Transito. E forse anche i consiglieri della Zona 2 devono fare una severa autocritica, a larga maggioranza.

MartesanaDue - ottobre  2000

 

 

I filippini; un pacifico esercito di asiatici 

cristiani e americanizzati*

In maggioranza donne, vedono ancora l’Italia come tappa di transito

 

Nella zona 2 c’e' un villaggio filippino della provincia di Metro Manila e dintorni, isola di Luzon. I 2.539 filippini (il 58% sono donne) sono la comunita' straniera piu' numerosa nella nostra zona, seguiti dai 1.548 cinesi, dai 1.481 egiziani  e dai 1.151 peruviani, tutti con una percentuale elevatissima rispetto a quella italiana. Se alle cifre ufficiali del Settore Statistica del comune si applicano le stime della Caritas sugli immigrati non ancora regolarizzati, i filippini in Zona 2 dovrebbero essere piu' di tremila.

L’ideal-tipo piu' frequente dell’immigrato nella zona e' un cittadino filippino, “regolare”, di sesso femminile, di eta' giovanile o media, con un titolo di studio elevato e un’ottima conoscenza dell’inglese. I filippini sono anche la comunita' in piu' rapida crescita: sono quasi triplicati a Milano dal 64 ad oggi. 

Certamente qualcuno e' qui e non e' ancora iscritto all’anagrafe comunale. “Ma anche qualcuno dei censiti non e' piu' qui”, avverte Bruno Murer, dell’Ufficio Stranieri del Comune, considerato uno dei maggiori esperti cittadini. “Spesso i figli piccoli tornano nel paese d’origine, per la difficolta' a mantenere in Italia famiglie numerose”.

Tra i filippini sono state le donne le piu' intraprendenti e le prime ad arrivare, a mettere in moto la “catena di richiamo”.

La seconda diversita' dei filippini e' un canale di reclutamento del tutto particolare: la chiesa cattolica e le sue organizzazioni.

A Milano alcune congregazioni di suore sono state particolarmente attive nell’accoglienza, fin dai tempi dei primi flussi. L’aiuto di varie strutture della chiesa cattolica sia nella partenza, sia nell’inserimento a Milano e' stato sempre decisivo.

II “nostri” filippini sono venuti quasi tutti, soprattutto all’inizio, dalla provincia di Metro Manila, nell’isola di Luzon, e dalle province confinanti.

Le prime ad arrivare sono state, contrariamente a quasi tutti gli altri flussi, le ragazze nubili, spesso sacrificando titoli di studio e lavori qualificati - impiegate statali, insegnanti, infermiere - alla possibilita' di ottenere in Italia margini di reddito e di risparmio tali da migliorare sensibilmente le condizioni della famiglia.

L’Italia rappresenta ancora oggi la tappa intermedia di un percorso che ha come mete finali Usa e Canada. Solo dall’inizio degli anni ‘80, insieme a una forte crescita del flusso nascono percorsi migratori familiari e si creano nuclei domestici indipendenti di donne, collegati al passaggio dal lavoro a tempo pieno a quello ad ore. Molte donne, dopo una prima fase migratoria, tornano al paese, si sposano e rientrano ancora sole in Italia, per contribuire al mantenimento della famiglia. Poi cominciarono ad arrivare gli uomini e i flussi diretti in Italia provenivano da localita' diverse, come la Spagna o il Medio Oriente.

Piu' che integrarsi  nella societa' italiana i filippini di Milano partecipano a forme di socializzazione di carattere etnico. Sono soprattutto iniziative di carattere confessionale (cattoliche ma anche pentecostali e dell’Iglesia Ni Kristo, che aderiscono a confessioni religiose nate nelle Filippine e negli Stati Uniti). “I gruppi cattolici della Chiesa del Carmine  e di San Lorenzo - afferma l’esperta Chiara Lainati -  rappresentano le occasioni collettive maggiormente riconosciute e connotate”, con eventi che coinvolgono anche reticoli fuori della comunita'”.

MartesanaDue ringrazia per la cortese collaborazione l’Ufficio Stranieri del Comune e la dottoressa Chiara Lainati.

MartesanaDue - novembre  2000

 

 

 

 

Shan Shan fabbrica borse di tela

e i suoi fratellini studiano al Trotter*

Qui i cinesi sono aumentati del 106% in 4 anni, in via Canonica solo del 51%

 

Ha solo quindici anni Shan Shan Luo, e la incontriamo in un tipico laboratorio-abitazione dei cinesi di Milano, in via Termopili. Ce l’avevano detto che saremmo riusciti a intervistare solo i giovani, quelli in parte scolarizzati in Italia, gli unici cinesi che parlano bene l’italiano.

e' il laboratorio classico dei conto-terzisti cinesi. La prima stanza, entrando dal cortile interno, e' cucina e sala da pranzo, con la luce spenta perché il padre di Shan Shan e' malato e sta riposando. Il laboratorio (circa 8 metri per 4) ha un soppalco che funge da zona-notte, e da' sulla strada. E’ disposto secondo uno schema illustrato dai classici della sociologia sui cinesi in Europa: ci sono due macchine da cucire, una tagliatrice (Shan Shan la chiama “taglia e cuci”) e una rivettatrice. La materia prima e il prodotto finito sono ammassati per terra. Chi lavora qui? “Io e mia madre”. E quella ragazza chi e'? Sua madre, che ha 34 anni, ma ne dimostra meno.

Shan Shan e' esile e molto graziosa, vestita casual come le ragazzine italiane della sua eta', pantaloni kaki multitasca e un golfino fatto in casa, sembra sveglia e competente nel muoversi tra gli italiani. La sua e' per molti aspetti una storia esemplare, paradigmatica; il primo ad arrivare e' stato il padre, nel ‘90, dopo cinque anni in Olanda, cuoco in un ristorante cinese. Anche qui ha prima lavorato in un ristorante, poi ha messo in piedi il laboratorio di borse di tela, all’interno di relazioni commerciali fra cinesi, visto che lui e la moglie non sanno una parola d’italiano. Shan Shan e' arrivata nel ‘92 (nel primo periodo hanno abitato a Lambrate) e qui ha finito la scuola dell’obbligo. Completano la famiglia una sorellina di 8 anni e un fratellino di 7, entrambi alunni del Trotter.

Abitano nel laboratorio perché non e' stata loro assegnata una casa popolare, nonostante l’invalidita' del padre. Se i suoi genitori decidessero di tornare in Cina, Shan Shan non li seguirebbe.

Vengono dalla provincia meridionale (relativamente ricca) di Zhejiang, luogo d’origine storico dei cinesi di Milano. Ma Luigi Sun, giovane esponente della piu' antica e influente associazione di cinesi a Milano, dice che il flusso di cinesi a Milano e' ininterrotto, e che sono arrivate molte famiglie anche da citta' del Nord, comeTian Sin e Shen Yang.

Sing Xiang, che ha 8 anni, viene chiamata anche Veronica. Frequenta la terza elementare nella scuola di via Venini. Nella sua classe ci sono anche Valentina, spagnola, Loriana, egiziana e la filippina Kara. Hanno un insegnante “facilitatore” per gli alunni stranieri. Il padre Keng Chong Yap, proprietario del take-away “Fiume Giallo” di viale Monza, e' un cinese di Singapore e di Singapore ha la cittadinanza. E’ arrrivato a Milano nel 1978, quando i residenti cinesi erano poco piu' di 150. Ha sempre lavorato nella ristorazione, come cameriere, cuoco, barista ed ha iniziato l’attuale attivita' 13 anni fa. Nel 1991 ha sposato in Cina una ragazza di Shanghai, Xiao Xia (chiamata anche Alba) che lavora con lui. La bambina e' nata in Cina e la famiglia si e' ricongiunta qui nel 1994. I confronti con il passato si possono fare solo con le vecchie venti zone e il dato piu' interessante e' che la vecchia Zona 6 (Magenta, Sempione) e' in testa con gli attuali 1.415 residenti cinesi, ma dal 1995 ha avuto un incremento del 51%, mentre i 1.171 della ex zona 10 (Monza, Padova) sono il risultato di un incremento del 106% in 4 anni. La terza zona di Milano per presenza cinese e' la ex 2 (Centro direzionale, Greco, Zara), con 863 unita' attuali e un incremento del 117%.

L’immigrazione cinese e' qui la storia di un quartiere popolare di periferia con numerosi spazi per l’imprenditoria etnica, di affitti bassi e di tolleranza civile, ma anche di interi stabili destinati alla demolizione o al recupero da parte di grandi immobiliari, che nell’attesa vengono affittati a immigrati, di condizioni precarie di molti appartamenti (spesso privi di bagno) fuori dal regolare mercato dell’affitto degli italiani. e' anche una storia di singole stanze affittate a dieci persone, di una feroce speculazione da parte dei locatari italiani che sfruttano lo stato di estremo bisogno degli immigrati.

MartesanaDue - dicembre 2000

 

 

Quando diversita' e pluralismo diventano una risorsa

I percorsi di scambio interculturale nella scuola media di via Cesalpino

 

Da quest’anno ci sono anche corsi di lingua cinese, spagnola e araba

 

La Scuola media di via Cesalpino da anni accoglie nelle sue classi ragazzi e ragazze che provengono dalla Cina, dalle Filippine, dal Peru', Ecuador, Brasile, dal Marocco, dall’Albania, dal Cile e altri ancora; agazzi che portano in classe la loro storia e raccontano la loro cultura. Insieme ai compagni italiani e agli insegnanti imparano a conoscersi, a farsi conoscere, imparano a stare insieme.

Nella nostra Scuola e'

 in svolgimento un Progetto, ormai decennale, per l’inserimento di questi alunni con momenti di accoglienza all’inizio dell’anno scolastico, mentre durante tutto l’anno vengono seguiti da due insegnanti “facilitatrici”, le quali, lavorando in piccolo gruppo, insegnano loro a parlare, leggere e scrivere italiano per comunicare e studiare.

Comunicare e conoscersi sono dunque le prime tappe di un cammino insieme. Tuttavia l’esperienza di questi anni ci ha spinto a fare di piu'. Sono stati progettati percorsi didattici interculturali in grado di rendere capaci i  ragazzi, ma anche noi insegnanti e i genitori, di decentrare la propria cultura di appartenenza e di riconoscere al pluralismo, alla diversita' una valenza di risorsa. Le differenze culturali presenti nella nostra Scuola sono state un arricchimento del proprio orizzonte culturale per tutti coloro, alunni, insegnanti, genitori, che in questi anni hanno partecipato alla vita scolastica.

E cosi' nel Laboratorio di alimentazione sono stati preparati e cucinati i piatti etnici cinesi, africani, del Sud America; gli alunni hanno imparato dai compagni cinesi l’arte dell’origami; sono stati costruiti strumenti musicali etnici con materiali naturali e di recupero. Nell’aula video si possono vedere interessanti film, alcuni in lingua originale, che propongono agli alunni di guarda

re con occhi diversi e non attraverso immagini stereotipate, storie del Sud del mondo, di tutte quelle culture che spesso vengono definite primitive o arretrate. La produzione di materiale interculturale e' stata tanta e dispiace di non poter elencare tutto il lavoro fatto in questi anni.

Ma integrazione significa anche che molti ragazzi stranieri dimenticano la lingua d’origine, la lingua materna, quella destinata alla comunicazione affettiva, legata alla casa, ai ricordi.

Nel corso dell’esperienza vissuta con questi alunni, si sono presentati alcuni problemi legati a questo fenomeno: da forme di momentanee amnesie della lingua materna, da periodi di silenzio e di confusione, dal non riconoscimento dei segni grafici della propria lingua ad un possesso povero della nuova lingua. Ecco perche' da quest’anno la Scuola di via Cesalpino intende valorizzare la lingua d’origine per far si' che la lingua materna di questi alunni resti viva e che sappia convivere, senza entrare in conflitto, con la lingua italiana. Verranno organizzati corsi di lingua cinese, spagnola e araba tenuti da mediatori linguistici: le adesioni sono state entusiastiche! Questo conferma ancora una volta come la Scuola, intervenendo consapevolmente, sia in grado di rispondere ai bisogni della propria utenza e del territorio promuovendo reali momenti di incontro e di scambio interculturale.

 

Maria Salzano - da MartesanaDue gennaio 2001

 

 

Con i peruviani la messa e' cantata, ma con chitarre, 

tamburo e maracas*

Una fede che chiede a Dio la liberazione degli oppressi “in questa vita”

 

e' proprio nella Zona 2, all’inizio di via Copernico, il principale luogo di ritrovo della comunita' peruviana di Milano, la seconda al mondo dopo quella di New York, secondo il Ministero degli Esteri peruviano.

Ci sono anche ecuadoriani e salvadoregni (non vediamo brasiliani), ma l’atmosfera e' inequivocabilmente andina. La messa delle 11 e' un’esperienza molto coinvolgente e, in gran parte, inaspettata. Si respira un’altra cultura e, forse, un’altra religiosita'. Per averne un’idea, i lettori ci scusino la banalizzazione, bisogna pensare a una messa nella quale, durante l’elevazione, suonano e cantano gli Inti Illimani.

Piu' lunga della normale messa italiana, e' una messa “cantata”, che i cattolici italiani spesso associano alla noia, ma al posto dell’organo c’e' un’orchestrina con chitarre, un tamburo, tamburelli e maracas. Alla prima canzone ci colpisce il ricorrere della parola “liberta'” e Suor Alice ci regala il libretto con i testi, che tutti hanno in mano, dei Cantos para nuestro camino. Questa funzione e' anche un evento da musicofili, nel quale il coretto (tutti molto bravi come l’orchestrina) fa fatica a tenere i piedi del tutto fermi e accenna ogni tanto un passo di danza.  Le canzoni fanno l’effetto  di un tuffo nella musicalita' e nell’anima latino americana e anche nella cultura della  “teologia della liberazione”. Le parole chiave sono hermanos, liberacion, libertad, e pueblo ma anche alegria. Questo pueblo, pero', anche se i confronti sono sempre antipatici, non e'  quello di “mira il tuo popolo, bella Signora”, ma piuttosto quello che “unido” non sara' mai “vencido”. Nella canzone “Hombres nuevos” i fedeli chiedono a Dio un cuore “grande para amar”, ma anche “fuerte para luchar” e gli uomini nuovi  sono “creadores de la historia” e “constructores de nueva humanidad”, (ma questo e' il linguaggio dell’Internazionale), una pia e allegra contaminazione tra fede cattolica e lotta per il riscatto degli oppressi della terra, “esclavos”, che conferma anche che il mondo, contaminandosi, migliora. Gesu' e' spesso chiamato libertador. O stanno parlando di Simon Bolivar? No, e' proprio Gesu', che  rompera' le catene, e non saremo piu' schiavi, e ci dara' la liberta'. Quando?  Non il Giorno nel Giudizio. Perché questo e' “Un pueblo che camina” invocando il Signore e che cerca, “en esta vida”, non  in quell’altra, la grande liberazione dalla schiavitu'. E suona per noi come una novita' anche il fatto che l’eucaristia produca anche alegria. Anche il breve discorso del prete messicano e' molto piu' familiare e informale delle nostre prediche.

Dal colloquio con Gesu'  dopo la pesca miracolosa, Pedro (ovviamente San Pietro) esce come una specie di Brontolo: “Ma non potevi farlo prima? Ci hai fatto lavorare tutta la notte senza vedere un pesce”. E’ una messa cattolica di rito non ambrosiamo, peruviano.

La chiesa di via Copernico e' il luogo storico di incontro dei peruviani di Milano. Qui si svolge da anni nel mese di ottobre la celebrazione del Señor de los Milagros (“miracoli”) con l’alzata di una grande statua di Cristo che, nell’anno del Giubileo e' arrivata nel Duomo di Milano. C’e' anche un quadro del Señor de los Milagros e una graziosa ragazza ci racconta che ha ricevuto la grazia perché, dopo mesi di inutili tentativi di partire per il Giappone, qualcuno le ha suggerito, invece, l’Italia, e in due settimane e' riuscita a salire su un aereo, proprio il giorno del Señor de los Milagros.

I peruviani sono la quarta comunita' straniera della Zona 2, dopo filippini, cinesi ed egiziani, con 1.151 residenti (il 17% dei 6.649 peruviani di tutta Milano) dei quali le donne sono piu' del 63%.  Hanno incominciato ad arrivare numerosi solo dopo il 1990, quando in Peru' la crisi economica si e' manifestata anche con un’iper-inflazione di circa il 3.000% l’anno, quando qualunque sacrificio era conveniente pur di accumulare il denaro per l’emigrazione.

Quelli arrivati prima avevano un elevato livello scolastico e professionale. E si e' sparsa la voce che in Italia, ma soprattutto a Milano, c’erano buone possibilita' di lavoro, anche grazie all’aiuto della comunita' cattolica milanese. Quella peruviana  e' una comunita' di forte coesione interna - soprattutto religiosa - e di scarsa visibiita', che non ha mai offerto argomenti ai cronisti di “nera”. Amano la loro cultura ma amano anche Milano, dove rappresentano il 6,3% degli stranieri (l’8,2% in Zona 2 e solo il 2,5% in Italia). L’accoglienza che  abbiamo ricevuto non e' stata solo fraterna, ma  commovente.

Qui alla fine seicento persone si tengono tutte per mano, poi tutti abbracciano tutti e si danno la mano, anche a noi, anche bambini molto piccoli danno la loro manina.

Alla fine della funzione suor Alice, dell’ordine delle Ancelle di Gesso', che qui e' la Madre Superiora e la principale animatrice dell’accoglienza, prende in mano il microfono per dire che ci sono un giornalista e un fotografo che vogliono fare un servizio “per parlare bene dei peruviani” e prega tutti di essere disponibili. E cominciano le nostre interviste in “itagnolo”, un’espressione che i peruviano-milanesi conoscono bene. E registriamo una carica di hermanidad profondamente aliena alla competizione individuale di tutti contro tutti del pensiero unico aziendale dominante.

Non siamo riusciti a capire il particolare feeling dei peruviani per la nostra citta'. Comunque, bienvenidos hermanos.

MartesanaDue - febbraio  2001

 

 

Le ragazze peruviane di Milano vogliono lavorare e studiare*

Non sono riconosciuti in Italia i titoli di studio del loro Paese

 

Amelia Linares, peruviana, a Milano dal 1997 con il marito, abita in via Mauro Macchi e ha ottenuto il ricongiungimento familiare nel 2000. I suoi tre figli sono qui dall’anno scorso. Lavora cinque ore al giorno presso le suore di Don Bosco e ci dice che come domestica ha sempre trovato “signore buone”. E’ qui con la figlia maggiore, Zayda, che frequenta la terza media alla scuola Santa Caterina da Siena, in una classe con un’altra ragazza peruviana, un’ecuadoriana e un’uruguayana. Dice Amelia che in Peru' il lavoro si trova, ma e' pagato troppo poco: “basta solo per mangiare, non per pagare l’affitto o comprare dei vestiti”. Bellina e Lupe sono due sorelle di 28 e 24 anni. Bellina assiste una persona malata del morbo di Alzheimer e il pomeriggio va a scuola, per prendere la licenza media. Si lamenta del fatto che i suoi studi universitari in Peru' non sono riconosciuti dalle autorita' scolastiche italiane, che la costringono a ricominciare da zero. La scuola peruviana insegna meglio di quella italiana la matematica, le scienze e anche la storia. Lupe invece lavora ad Arcore e quindi non ha il tempo per studiare. Non pensano di tornare in Peru', vorrebbero rimanere qui e studiare, per avere un titolo di studio riconosciuto in Italia. Dennis Adrianzen, 38 anni, fa il custode dalle parti di via Melchiorre Gioia ed e' in Italia dal 1996. Dopo essere stato negli Stati Uniti, ha lavorato per un padrone italiano, la Costa Crociere, sulle navi. Girando il mondo ha capito che c’era la possibilita' di guadagnare di piu'  e di vivere meglio, cioe' di fare una vita normale, che consenta di riposare la sera, il sabato e la domenica, non come sulle navi. E’ venuto a Milano dopo aver abitato un po’ a Crema. Perché prporio in Italia e non ad esempio in Spagna, dove si parla la sua stessa lingua? Perché gli italiani che ha incontrato sulle navi gli hanno dato informazioni e lo hanno aiutato. Ha sposato Maria Calderon, conosciuta nel coro, che ha fatto assistenza agli anziani e ora é baby sitter. Ora si trova bene, ma le manca la famiglia lontana. C’e' anche chi ha una storia avventurosa: e' arrivato clandestinamente dall’Austria, dove faceva il domestico, nascosto sotto il sedile di un treno. Ci racconta i “dieci minuti piu' lunghi della sua vita”, quando vedeva le scarpe e sentiva le voci prima della polizia austriaca e poi dei carabinieri italiani. Ora naturalmente e' “regolare” e fa un lavoro che gli piace. Pablo Salcedo, 41 anni, al suo paese faceva l’allenatore di cavalli, qui ha fatto molte cose e poi e' andato all’ippodromo e ha trovato un lavoro come artiere. E’ fidanzato con Maria Luz Gonzales, equadoriana. Ci spiega che i peruviani che emigrano non vengono da Lima, ma dalle zone rurali povere. C’é anche una signora italianache, da quando ha incontrato i peruviani, viene sempre qui a messa perché e' molto piu' convolgente.

MartesanaDue - febbraio  2001

 

 

 

Alla Centrale una piazza di rumeni di tre diverse cittadinanze*

Il salario medio in Romania equivale a 250 mila lire al mese

 

 

C’e' una piazza, sul lato orientale della Stazione Centrale, con due fontane e mille immigrati ogni sabato e domenica, che si ritrovano tra connazionali, si scambiano informazioni sulle occasioni di lavoro, bevono e cantano insieme, fanno piccoli commerci, si fatto tagliare i capelli, spediscono pacchi a casa, attraverso piccole organizzazioni etniche che forniscono questo servizio postale parallelo. Molti pacchi hanno la medesima  griffe. Sono confezionati con i sacchi neri per la raccolta dei rifiuti e strisce di scotch, generalmente anche dotati di maniglia. Se non, sono scatoloni di cartone.

Ci sono anche russi e cittadini di altri paesi dell’Est, tuttavia la grande maggioranza e' di etnia e lingua rumena. Ma solo una parte di loro ha la cittadinanza rumena, molti vengono dalla Moldavia, ex repubblica dell’Urss ora indipendente, al confine orientale della Romania che  ha una popolazione di lingua rumena. “Moldavia”, sulle carte geografiche, e' anche il nome della regione orientale della Romania. Altri sono cittadini ucraini, di una nazione con cui la Romania confina a Nord e che ha una forte minoranza rumena. I rumeni sono stati separati in stati diversi dalla spartizione del mondo in due imperi successiva ala seconda guerra mondiale.

Vengono proprio dall’Ucraina ex rumena Valentina (“Valia”), Liliana (“Lilia”) e Julia, due sorelle e una cugina di 35, 27 e 20 anni, che lavorano come domestiche a Bresso. Hanno un aspetto estremamente dignitoso, il loro abbigliamento e' curato ed elegante (Valia e' in pelliccia). Le prime due sono sposate e hanno lasciato la famiglia al paese e sperano nella benevolenza dei loro padroni per essere regolarizzate ed ottenere il ricongiungimento familiare. Il salario medio in Romania equivale 250 mila lire al mese, mentre qui si possono guadagnare dalle 8 alle 15 mila lire l’ora. La loro citta' di origine e' “Cernautzi”, a pochi chilometri dal confine rumeno, forse la stessa citta' che ritroviamo sull’atlante con il nome di Cernovcy, con un particolare accento sulla “C” iniziale.

Le differenti grafie sono forse dovute a quella che il nostro interprete e mediatore culturale definisce “kirilizzazione”, cioe' al fatto che i russi abbiano costretto per decenni un popolo a scrivere con l’alfabeto cirillico una lingua neolatina, che non ci risulta del tutto incomprensibile e, a orecchio, rivela somiglianze sia con il ladino della Val di Fassa e della Val Badia, sia con il sardo, per la frequente sostituzione della “o” con la “u”. Un rumeno che si chiama Ioan viene chiamato Nello, e anche Nelluzzu. Un suo amico si vanta con noi del fatto che la sua lingua e' “piu' latina” dell’italiano, per la persistenza di alcune forme verbali che in italiano sono praticamente sparite. E’ della stessa citta' Cernautzi-Cernovcic la piu' assidua delle quattro parrucchiere che “fanno negozio” sulle panchine del giardino, che abita a Seregno, piu' rappresentativa della tipologia di questo flusso di immigrazione, composto in prevalenza da donne di eta' meda e matura. Le piu' giovani restano perché hanno piu' probabilita' di trovare un lavoro a casa loro. Arriva il suonatore di violino vestito da Buffalo Bill, ma si capisce che i rumeni non hanno grande simpatia per gli zingari. C’e' anche un gruppo di donne  che canta canzoni ucraine (c’e' anche una bella ragazza russa) e beve vino per difendersi dal freddo polare di domenica 25 febbraio. Ma questo freddo e' proprio niente rispetto a quello che abbiamo sentito a Francoforte, alla fine degli anni sessanta, tra i recenti immigrati italiani e spagnoli che si radunavano a “Obano”. Cosi' chiamavano, con pronuncia molto approssimativa la “Hauptbanhoff”, appunto Stazione Centrale. Questi sulla piazza rappresentano i flussi migratori piu' recenti, non ancora strutturati e senza veri punti di riferimento, salvo questo appuntamento spontaneo frequentato da immigrati di tutta la provincia.

MartesanaDue - marzo 2001

 

 

 

Un flusso migratorio recente e disperato senza  riferimenti, tranne questa piazza*

Qui prevalgono le donne di mezza eta', di cittadinanza moldava e ucraina.

Per il permesso di soggiorno servono lavoro e casa, ma nessuno te li da' se non hai il permesso

 

I rumeni a Milano non sono molti. Al 31 dicembre 1999 il Comune ne censiva meno di 2.000, ma adesso questo flusso migratorio sembra un po’ rinvigorito, a causa della gravissima crisi economica che investe il loro paese. Vengono per prime donne non giovani, che hanno meno sbocchi sul mercato del lavoro del loro paese.

Il nostro accompagnatore e interprete si chiama Ioan Felician (sono due nomi). 33 anni, ha un diploma da tecnico veterinario , e' qui dal 1996, parla un italiano molto corretto, abita a Cologno Monzese e, in assenza di letteratura sociologica sui rumeni di Milano,  utilizziamo lui anche come “testimone privilegiato”. E’ di Petrila, centro minerario della Transilvania, di padre minatore, e qui il suo mestiere e' lavare le automobili. E’ intelligente, curioso, attento, si attiene ai fatti e rifugge dalle generalizzazioni arbitrarie. Ci descrive il calvario dell’immigrato clandestino e i rapporti con l’amministrazione pubblica italiana e le varie autorita' consolari. Gi imprenditori italiani preferiscono assumere in “nero” gli irregolari, piu' ricattabili e sfruttabili. La clandestinita', e' noto,  e' figlia legittima della connaturata tendenza all’illegalita' dei datori di lavoro italiani.

Ioan Felician, che adesso e' “regolare”, e' entrato in Italia da clandestino passando il confine dalla Slovenia a piedi nei pressi di Trieste e la polizia slovena gli ha sparato contro. Secondo lui, tra le 6-700 persone presenti nella piazza, il 40% e' regolare, ma quelli entrati in modo non clandestino sono a massimo il 5%. Ma, questo si sa gia', i clandestini di oggi sono i regolari di domani.

Per entrare come regolari, ci spiega, e' necessario che un imprenditore italiano chieda alla Questura un nulla osta per consentire l’arrivo in Italia di un rumeno identificato con nome e cognome: e' un invito con contratto di lavoro allegato. Con questi documenti il rumeno richiesto va al Consolato italiano. Ma in generale l’immigrazione “e' un gatto che si morde la coda”, ci dice. Per avere il permesso di soggiorno devi dimostrare di avere un lavoro e una casa, ma chi non ha il permesso di soggiorno ha grandi difficolta' a trovare casa e lavoro. Al Consolato, che apre alle 9 del mattino , Ioan Felician si e' messo in coda alle cinque per avere il numero 149, ma poi e' passato uno, che parlava italiano, a chiedere a tutti 40 mila lire per mettere un timbro sul tagliando. La polizia italiana e' normalmente incivile  (oltre che ignorante; una volta gli hanno chiesto in quale parte dell’Africa e' la Romania, a lui che e' piu' biondo che bruno). Lo hanno perquisito molte volte e quando ha chiesto perché, gli hanno detto che cercavano droga. Ha obiettato che, se fosse stato un trafficante di droga, non si sarebbe trovato li', ma in un albergo di lusso con quattro puttane. Lui dormiva da cinque mesi su un tavolo perché non aveva un letto.

Quando voleva tornare a casa passando dalla Slovenia gli hanno messo un divieto sul passaporto. Se gli avesse detto che era entrato dalla Slovenia l’avrebbero arrestato.

Solo una volta, a Trieste, la polizia  lo ha trattato con umanita'. Era venerdi' sera e il Consolato sloveno riapriva il lunedi' mattina: lo hanno ospitato in un centro decoroso e gli hanno dato da mangiare per due giorni. Non e' un caso che le organizzazioni internazionali come l’Onu e l’Ue sostengano che, in presenza di flussi migratori consistenti, i primi a dover essere riprofessionalizzati e rieducati sono la polizia e gli insegnanti.

I rumeni sono di religione ortodossa, collegati non alla chiesa ortodossa russa, ma a quella greca. A Milano c’é una chiesa dove si celebra la messa, e alcuni ci vanno.  Ma non e' un punto di riferimento confessionale forte come hanno altre etnie, e rimane quasi  solo questa piazza.  Non diventeranno imprenditori, il vecchio regime comunista ha dato loro una cultura gerarchica e dipendente, una specie di bisogno di un capo da cui prendere ordini.  Ioan Felician ci descrive questa formazione culturale come un pesante condizionamento psicologico quotidiano, una specie di grande fratello che cerca di distruggere la fiducia in te stesso e nelle tue capacita'. Era un paese nel quale gli scolari portavano sul vestito un numero, che li rendeva ricponnoscibili anche fuori della scuola. Un paese dove “uno su quattro fa la spia del regime: hanno cercato di reclutare anche lui e, per non colllaborare, dice che “gli raccontava solo grandi balle”.Quando ci dice che la cosa che apprezza di piu' in Italia e' la liberta', parla proprio della liberta' da questa pressione assillante, della possibilita', magari dopo una profonda crisi psicologica (questa e' a sua autobiografia) di riacquistare fiducia e autostima.

I rumeni, gli diciamo, non godono di una buona fama e di una particolare simpatia degli italiani, che li considerano delinquenti. C’e' qualcuno che ruba, risponde Joan, e ogni tanto viene pescato a farlo nei supermercati. Quindi rubano per mangiare? In genere si', ma qualcuno ruba anche oggetti di valore per rivenderli a un terzo del loro prezzo, ma e' una minoranza di disperati, tutti gli altri sono qui per lavorare e il loro sogno e' di diventare regolari. E le ragazze che si prostituiscono o sono obbligate o lo facevano gia' a casa loro. Sono piu' disperati di altri stranieri anche perché i flussi piu' recenti non godono, a differenza di quelli piu' consolidati, di forme organizzate di solidarieta' interetnica.

Il vecchio regime comunista, del tutto identificato col partito,  era corrotto, ma aveva delle regole e in qualche modo funzionava: il partito garantiva a tutti, davvero, un lavoro e una casa. E’ difficile, qui e adesso, immaginare un paese nel quale la disoccupazione e' considerata un reato. Qui dove nessuno garantisce nulla, tranne questa piazza e due medici del Naga che distribuiscono volantini anche in cirillico. Sono un’associazione di volontari, italiani e immigrati, che offrono visite mediche gratuite e attenzione sanitaria e sociale agli immigrati “senza permesso di soggiorno”.

MartesanaDue - marzo 2001

 

 

In zona 2, nel 1999, oltre il 40% di tutti i ricongiungimenti familiari di Milano

 

Le comunita' immigrate stanno diventando

un "popolo di famiglie"

 

Che la presenza straniera a Milano, e in particolare nella Zona 2, sarebbe aumentata, era una facile profezia. Quello che non sapevamo ancora, un anno fa, quando MartesanDue ha cominciato ad occuparsi in modo organico di questo problema, e' che era in corso una profonda trasformazione demografica e sociale della popolazione straniera la quale, anche se e' dura a morire l’immagine (la piu' visibile) degli immigrati come bande di giovani maschi senza donne, di “vu cumpra'” e di lavavetri, si sta progressivamente trasformando in una comunita' di famiglie, Il primo segnale importante, almeno per noi. e' stato il dato fornito dai Consigli di Zona e pubblicato sul “Dossier statistico sull’immigrazione” realizzato in collaborazione tra il nostro periodico e il Settore Zona 2: il  dato dice che, nel corso del 1999, i consigli di zona hanno “evaso”  2.030 pratiche di “idoneita' alloggiativa” per il ricongiungimento familiare di residenti stranieri. L’aspetto che piu' ci aveva colpito era che ben 819 di queste pratiche avevano riguardato la Zona 2, oltre il 40% di tutte le pratiche della citta'. Tutte le altre zone, infatti, seguono con cifre molto piu' basse  (226 casi nella Zona 4 e 214 nella 9). Suddivisi per nazionalita' i ricongiungimenti della Zona formano una classifica in parte diversa da quella delle presenze, con 160 filippini, 136  peruviani, 119 nativi dello Sri Lanka, 109 egiziani e 94 cinesi, con tutte le altre nazionalita' inferiori a quota 30.  Il dato significativo é che lo Sri Lanka, che occupa il quinto posto nella classifica delle presenze, scavalca Cina e Egitto negli arrivi piu' recenti in Zona, mentre a livello cittadino sorpassa anche il Peru', dimostrandosi una catena di richiamo molto attiva, superata solo dai filippini.

Che la tendenza del momento sia quella dei ricongiungimenti familiari e' stato confermato dal rilievo assegnato a questo tema nel corso del convegno di presentazione del “Secondo rapporto 2000 sull’integrazione degli immigrati in Italia”, tenuto a Milano il 20 aprile, su iniziativa della “Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati” del Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio (approfondiremo queste analisi nei numeri successivi).

Altrettanto significativo e' che i dati piu' recenti forniti dal Settore  Statistica del Comune di Milano al 31 dicembre 2000, sulla presenza degli stranieri nella citta', diano conto principalmente non piu' della presenza degli individui stranieri (come facevano quelli di un anno prima) bensi' delle “famiglie straniere  composte da cittadini con la medesima nazionalita'”, rilevando le variazioni tra la fine del 1999 e la fine del 2000. Questo tipo di famiglie sono passate dalle 59.521 del 31 dicembre 1999 alle 66.976di un anno dopo, con un incremento di 7.455 famiglie, in percentuale un aumento del 12,5% in un anno.

In sintesi le famiglie straniere dell’Area UE sono in citta' solo 352 di piu', con un incremento del 3,9%, mentre le famiglie degli “altri paesi europei” sono 992 di piu'  (l’incremento e' qui del 19,6 %), in buona parte dovuto ai rumeni (+ 392 famiglie) e agli albanesi (+365). Le famiglie dell’area ex Urss sono 78 in piu', con un incremento del 7,28%.

Le famiglie africane sono 1960 (l’11,8%) in piu', crescita dovuta per oltre il 50% agli egiziani (+1.047 famiglie) e in piccola parte ai senegalesi (+328). Le famiglie delle due Americhe sono 1.787 piu' d un anno prima e i contributi principali vengono dai peruviani (+686) e dagli equadoregni (+661).

Un discreto incremento (+12,8%) e' segnalato per le famiglie di origine asiatica, che in un anno sono diventate 2.304 di piu', delle quali 939 filippine e 434 dello Sri Lanka. In termini percentuali, indipendentemente dai valori assoluti. la consistenza della crescita del numero delle famiglie vede in testa il Senegal (21,2%), seguito dalla Cina (18,1%), dal Peru' (18,0%) e dall’Egitto (16,5%).

Come in molte altre rilevazioni statistiche, viene evidenziata la particolare presenza straniera nelle fasce di eta' dell’infanzia e dell’adolescenza (0-17 anni), ed e' questo l’unico dato disaggregato per  zone del decentramento, del quale ci occuperemo il prossimo numero.

 

Martesana Due, maggio 2001

 

 

Lanciata una campagna per la raccolta di firme

 

I “Cittadini dal Mondo” per il diritto

di voto agli immigrati

 

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato del “Movimento Cittadini dal Mondo”

 

I mezzi di comunicazione di massa continuano ad evidenziare episodi di devianza, sottolineandone l’origine extracomunitaria, con effetti assolutamente discriminatori presso l’opinione pubblica, e offrono un’immagine stereotipata degli immigrati che da' luogo a sindromi da invasione, mentre poca attenzione viene riservata a chi con la sua presenza contribuisce  allo sviluppo economico, sociale, politico, culturale ed umano del Paese. Ampi settori delle istituzioni italiane, per giustificare la loro incompetenza, mostrano il fenomeno migratorio come un eterno va e vieni di gommoni, mentre ormai gli operatori culturali e sociali si trovano alle prese con la seconda generazione, con pochi strumenti per rispondere alle reali esigenze dell’utenza. Mancano interlocutori in grado di dare risposte adeguate, responsabili e di lungo respiro, oltre l’emergenza, finalizzate all’integrazione. C’e' un vuoto di rappresentativita', sostituita da interpretazioni in terza persona di bisogni e desideri degli immigrati.

 

Di qui e' nata l’esigenza di dar vita a un movimento che intende promuovere la piu' ampia partecipazione di cittadini stranieri per la conquista e la difesa dei propri diritti, anziché sottomettersi a giustificare la propria presenza “in casa d’altri”.

 

Il Movimento Cittadini dal Mondo si propone di:

-          favorire le attivita' per l’assistenza, la promozione culturale e l’integrazione sociale dei cittadini stranieri e delle loro famiglie;

 

-          sensibilizzare tutti i cittadini sulle tematiche nazionali ed internazionali riguardanti l’immigrazione;

 

-          dare impulso al protagonismo responsabile dei cittadini stranieri, creando spazi di partecipazione, riflessione ed elaborazione delle proprie esperienze migratorie;

 

-          stimolare il dialogo interculturale e la convivenza tra i popoli per favorire il rispetto dell’altro e il riconoscimento delle differenze;

 

-          far progredire la consapevolezza delle forme, palesi e sottintese, di discriminazione, per contrastarle in ogni ambito pubblico e del vivere quotidiano:

 

-          dare voce ai cittadini stranieri sulle questioni sociali, economiche e politiche che non siano strettamente legate al fenomeno migratorio, altrimenti ghettizzato.

 

I principi su cui si basa il Movimento Cittadini dal Mondo sono la democrazia, l’autonomia, la trasversalita'. La democrazia sostanziale permette la partecipazione piu' ampia possibile ai momenti decisionali, il decentramento dei poteri, il rispetto delle diversita', l’attenzione alle opinioni di minoranza, la garanzia di trasparenza. L’autonomia garantisce l’indipendenza da ingerenze, strumentalizzazioni e subordinazioni a partiti, sindacati, rappresentanze diplomatiche, movimenti religiosi o altro. La trasversalita' consente l’adesione individuale indipendentemente da appartenenze religiose, politiche, nazionali o altro.

 

Il Movimento Cittadini dal Mondo, insieme ad altre organizzazioni, ha lanciato la campagna per la raccolta di firme per il diritto di voto agli immigrati, senza il quale ogni altro diritto e' sottostimato. Firma anche tu e aderisci al Movimento Cittadini dal Mondo.

 

Per informazioni: Movimento Cittadini dal Mondo

(c/o Cooperativa Tropico)

via Montenevoso, 9

20131 – Milano

tel 02-70635472, fax 02-70634728

 

 

 

Con gli attentati in America e' stato inferto un colpo tremendo non solo all’occidente, ma all’intera umanita'. 

Per questo condanniamo anche la guerra in Afghanistan che colpisce un intero popolo

 

 L’intervista al direttore della Casa delle cultura Sante Ciccarello e all’Imam Dahmane Tchina.

 

Della Casa della cultura islamica di via Padova si parla poco. L’attenzione e' concentrata su altri centri in citta' sospettati di collegamenti con gruppi terroristici (sospetti quasi mai confermati dagli accertamenti e processi in corso). Il nome stesso “casa della cultura” induce alla riflessione e alla preghiera; se ne ha conferma visitando la Casa situata a meta' della lunga via Padova in uno spazio che una volta ospitava fredde lamiere e automobili. Oggi si vedono fedeli: gruppi di arabi, africani, asiatici sparsi nel grande spazio intenti chi a parlare, chi a pregare, chi a leggere; per non parlare della preghiera del venerdi' con centinaia di partecipanti. Ci e' sembrato un luogo che va al di la' della preghiera, un luogo che esprime un bisogno di identita' e di incontro tra diverse genti  accomunate dalla condizione di chi vive e lavora in una realta' completamente diversa da quella originaria e unite dalla stessa religione.

 

Partiamo dalla guerra. Ci interessa la vostra opinione anche alla luce di quanto sta succedendo nell’opinione pubblica italiana e soprattutto mondiale, nelle quali stanno gia' serpeggiando dubbi sull’efficacia dei bombardamenti per colpire il terrorismo, come indicano chiaramente anche alcuni sondaggi.

Come vive la vostra comunita' islamica tutto cio'?

 

Imam: in qualche modo questa guerra vogliono farla apparire come uno scontro tra civilta', tradizioni e religioni. Ci preoccupa molto questo, e invitiamo a questo proposito i mass media ad informare e orientare verso il dialogo, la convivenza e l’integrazione. Anche noi lavoriamo per integrare la comunita' musulmana in altre societa' che sono in maggioranza cristiane o altro, impegnandoci per questa convivenza interreligiosa e interculturale.

 

Direttore: L’attentato alle torri gemelle che ha mietuto vittime innocenti, ha  inferto un colpo tremendo non solo alla civilta' occidentale ma a tutta l’umanita', e chi continua a dire che in questo modo e' stato colpito solo l’occidente, a suo modo, involontariamente, da' un contributo alle azione dei terroristi, nel senso che deve essere chiaro che quando si colpiscono degli innocenti, tutta l’umanita' viene colpita. Noi come musulmani abbiamo subito condannato questi attentati, e non solo perché tra le vittime c’erano molti musulmani, ma perché fa parte della nostra fede islamica ritenere che una persona innocente non debba essere coinvolta in azioni di questo tipo e nemmeno in azioni militari. Per questo non abbiamo esitato a condannare queste azioni, cosi' come non abbiamo esitato a condannare l’intervento armato in Afghanistan: non e' accettabile che per la colpa presunta o reale di una persona o un gruppo di persone, un intero popolo debba pagare.

L’abbiamo gia' visto nella storia: le centinaia di migliaia di vittime innocenti che ci sono in Iraq. Un popolo che non ha fatto niente di male, se non quello di essersi trovato un dittatore, imposto in qualche modo anche dai paesi occidentali, viene decimato e martoriato da oltre dieci anni da un embargo imposto dalla politica di alcuni paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, dove gli interessi economici prevalgono sulla vita umana.

In Afghanistan si sta ripetendo la stessa situazione, e questo ci addolora: speriamo che nel mondo cosiddetto “occidentale” (anche se la distinzione tra orientale e occidentale non e' piu' chiara come lo era in passato), soprattutto in questa coalizione, si comincino a intravedere fratture e dubbi. Molti cominciano a dubitare – giustamente – della bonta' di questa guerra, ammesso che si possa chiamare “buona” una guerra, o comunque anche della liceita' di questa guerra, che di fatto e' assolutamente spropositata rispetto ai fini dichiarati, ammesso e non concesso che non ve ne siano altri, ma questo lo vedremo in futuro. E’ comunque inaccettabile massacrare un popolo per scovare un delinquente. Questo ci preoccupa non solo per le vittime innocenti, ma per la perdita di quel buon senso che minaccia tutti noi. In altre parole, fin che le bombe non cadono sulle nostre teste, egoisticamente qualcuno potrebbe non preoccuparsene, ma quando cominciamo a perdere delle liberta' personali in nome di una guerra che nessuno vede e pochi capiscono, dobbiamo cominciare ad allarmarci seriamente.

 

Il mondo musulmano. Bin Laden nei suoi vari proclami, insiste costantemente nell’attaccare alcuni regimi dittatoriali e corrotti - arabi e non. Qual e' il vostro atteggiamento e quale giudizio date come Casa della cultura islamica, nei confronti degli stati arabi e musulmani e del loro tasso di democraticita'?

 

Direttore: Anzitutto la casa della cultura islamica - che fa parte dell’Unione delle comunita' e organizzazioni islamiche d’Italia - ha un principio al quale ci siamo sempre attenuti: quello di essere indipendenti e considerarci musulmani italiani, sia con che senza residenza.

Cio' fa si' che non accettiamo interferenze da alcun paese arabo o musulmano.

Questo ci porta ad affrontare alcune difficolta' economiche: se accettassimo appoggi da qualche ambasciata avremmo una sede piu' grande e piu' bella, ma saremmo meno liberi. La liberta' che abbiamo ci permette di essere fedeli alle leggi italiane e poter anche esprimere critiche – proprio perché viviamo tutto sommato in un paese democratico (anche se non sempre i nostri diritti sono salvaguardati). In ogni caso mi sento comunque di dire che viviamo in un clima di liberta' di gran lunga superiore a quello di tanti paesi cosiddetti islamici, dove non vi e' nemmeno la liberta' di parlare e criticare molti governi.

Noi vogliamo essere coerenti con quanto da sempre affermato: il rispetto delle leggi democratiche non e' una scelta di convenienza o opportunistica, ma e' una scelta di fede. E’ vero che il concetto di democrazia “occidentale” non coincide con il concetto di democrazia che c’e' nell’Islam, ma differisce solo per una minima parte. Questo fa si' che non accettiamo e non tolleriamo il modo in cui vengono governati alcuni paesi islamici; lo diciamo senza paura, ma dobbiamo saper distinguere i popoli dai governi. Siamo stati spesso critici nei confronti di alcuni governi, le cui prigioni sono piene di oppositori politici, ma allo stesso modo abbiamo preso posizione verso altri paesi non musulmani che limitavano, ad esempio, la liberta' di religione.

In questo senso, e questo dovrebbero capirlo in modo particolare le autorita', siamo portatori di una cultura islamica assoluta, in quanto non facciamo riferimento né a un paese, né a una costituzione, né a un governo e questo credo sia la garanzia migliore per avere un rapporto culturale con i musulmani italiani, senza interessi di petrolio, di armi o di altra natura.

 

Imam: il nostro maggior impegno e' dentro la comunita' ed e' quello di far integrare la comunita' stessa, di proteggere culturalmente i nostri figli e i nostri concittadini, e conservare i loro principi religiosi e non solo.

Penso che per l’Occidente e l’umanita' intera, la strada giusta per combattere il terrorismo sia quella di aprire un dialogo tra stati e tra popoli e affrontare insieme le contraddizioni.

 

La vostra presenza  a Milano. Dopo gli attentati, e' cresciuta l’attenzione nei vostri confronti, verso le moschee e  i centri islamici; da parte di settori riconducibili ad una parte della maggioranza che governa il nostro paese e' partita una campagna che ha come obiettivo la chiusura di questi centri  equiparandoli certe volte a covi terroristici. 

 

Direttore: nei giorni scorsi ci sono state molte esternazioni dei politici: molte negative, alcune positive: con il passare dei giorni sta prevalendo un certo equilibrio soprattutto tra i politici, molto meno tra i mass media. Del resto anche i musulmani hanno rilasciato dichiarazioni a volte insensate.

A tutti deve essere data la possibilita' di fare un “passo indietro” (come ha fatto il presidente del Consiglio italiano), e capire che dobbiamo incontrarci e conoscerci per superare i pregiudizi, prima che si trasformino in scontri tra civilta' e culture.

 

La Casa e il territorio circostante. In passato abbiamo avuto modo di seguire le vostre vicissitudini inerenti lo sfratto e lo spostamento dall’inizio di via Padova all’attuale vostra sede. Come MartesanaDue abbiamo, con numerosi articoli, fotografato la forte presenza di comunita' extracomunitarie di fede musulmana e non, sottolineando le difficolta' di inserimento o una certa indifferenza reciproca, che si trasforma in allarmismo o in qualcosa di peggio quando succedono fatti gravissimi di criminalita' comune come ad esempio l’uccisione dell’orefice e del tabaccaio avvenuti quasi tre anni fa nella nostra zona.

Anche per questi motivi pensavamo di proporvi un incontro pubblico che permetta ai milanesi della nostra zona e alla vostra comunita' di conoscersi meglio.

 

Noi della casa della cultura forse avremmo dovuto fare di piu'. I rapporti con il territorio non sono cosi' proficui e intensi come dovrebbero essere o come noi vorremmo che fossero, e di questo non possiamo accusare gli altri. Abbiamo in progetto di incontrare – speriamo prima del ramadam - sia le autorita' che la cittadinanza di Milano, attraverso la “giornata delle moschee aperte”, in cui invitiamo tutti ad entrare liberamente in moschea (l’unica cosa che chiediamo e' quella di togliersi le scarpe), ed incontrarsi con noi. Presenteremo quello che e' il nostro modo di vivere l’Islam, lasceremo che la gente ci rivolga tutte le domande che crede e a nostra volta porremo domande: una giornata di incontro. Siamo quindi pienamente disponibili a questa vostra proposta qui nella nostra zona.

 

 

Albertini chiede alle comunita' islamiche  - tra le altre cose dette in una conferenza stampa - di partecipare alla manifestazione  del 10 novembre a Roma. Il Comune di Milano vi partecipera' portando il proprio gonfalone che non fu portato alla marcia per la pace Perugina – Assisi.

 

Non abbiamo ricevuto alcun invito ufficiale. Che ci sia nelle affermazioni del Sindaco un sapore di strumentalizzazione e' abbastanza evidente.

Comunque sia, abbiamo dichiariamo subito la nostra solidarieta' al popolo americano, dopo gli attentati dell’11 settembre.

Le vittime innocenti hanno la solidarieta' dei fedeli indipendentemente dalla religione a cui appartengono. Altra cosa e' esprimere solidarieta' indistinta ad un governo che sta conducendo una guerra, che noi riteniamo profondamente ingiusta perché colpisce degli innocenti. Siamo d’accordo che i colpevoli vadano individuati e puniti, e su questo siamo solidali con gli Stati Uniti, ma condanniamo il fatto tragico che un popolo intero venga attaccato facendo  numerose vittime fra i civili. Abbiamo condannato governi musulmani quando furono protagonisti di atti analoghi.

Percio' se in questa manifestazione di cui lei parla, ci fosse una condanna netta di questa guerra noi saremmo con questa iniziativa. Nell’ambiguita', preferiamo astenerci.

 

 

Celebrato il quarantesimo anniversario

dell'indipendenza del popolo algerino*

Rievocata l'eroica e sanguinosa guerra di liberazione

Non sono molti, a Milano, gli immigrati di origine algerina. La loro meta migratoria è, storicamente, la Francia. Sono solo 519 a Milano (al 31 dicembre 2000 secondo i dati Istat) contro i 13.296 egiziani, i 5.841 marocchini e i 1.314 tunisini. Solo la Libia, tra i paesi arabi nordafricani è ancor meno presente, con sole 101 unità. Gli algerini non superano le 1.000 presenze in tutta la provincia.

 

Gli algerini venivano considerati fino a pochi anni fa, dagli studiosi dell'immigrazione a Milano, il gruppo di immigrati maghrebini più marginalizzati, caratterizzato dalla prevalenza del progetto migratorio "avventuriero e consumista": giovani originari delle maggiori città della costa (Algeri, Orano, Annaba), attratti dai costumi sociali più liberi e da consumi totalmente fuori dalla loro portata in patria, cosa che vivono come una vera e propria limitazione della loro libertà. Tra le popolazioni originarie del Maghreb a Milano, gli algerini hanno la minore percentuale di donne, la minore età media e la minore propensione all'insediamento stabile. Fin qui i sociologi, ma la composizione di questa assemblea sembra smentirli: le donne sono altrettanto numerose degli uomini, e ci sono molti bambini piccoli (in Algeria la media è di 3,8 figli per donna, contro il meno dell'1,1 delle donne italiane). Forse qualcosa è cambiato negli ultimi anni, ma quello che vediamo qui è un vero  e proprio popolo di giovanissime famiglie, non particolarmente consumiste, ma dignitosamente povere.

 

Ma non hanno dimenticato, gli algerini di Milano, la loro identità nazionale e l'eroica e sanguinosa lotta per liberarsi dal colonialismo francese, e ne hanno voluto celebrare il quarantesimo anniversario domenica 7 luglio, presso l'Acei, un istituto di cultura islamica situato in viale Monza, su iniziativa dell’Alleanza degli Algerini in Italia.

 

Nel marzo 1962, infatti, fu firmato un cessate il fuoco tra il governo francese, diretto dal generale De Gaulle e il Fronte di Liberazione Nazionale (Fln). Nel luglio dello stesso anno si tenne un referendum nel quale gli algerini furono chiamati a decidere se rimanere parte integrante della Francia (cioè territorio francese d'outremer), oppure diventare uno stato indipendente. Gli algerini si espressero "con una sola voce" per l'indipendenza.

La loro battaglia era stata attivamente sostenuta dall'opinione pubblica internazionale, soprattutto europea: nella stessa Francia, ed anche in Italia, ci furono grandi e combattive manifestazioni di sostegno all'FLN e alla causa dell'indipendenza algerina.

 

Visitando la nuova Algeria a soli due anni dall'indipendenza, si leggeva spesso sui muri di Algeri la scritta "nous n'oublieron pas la Palestine", il cui significato, allora, non eravamo in grado di cogliere pienamente e che comprendemmo bene, invece, tre anni dopo, ai tempi della "guerra dei sei giorni" del 1967. Noi la Palestina non l'abbiamo dimenticata e il popolo algerino, a ben maggiori ragioni, nemmeno.

 

 

 

A proposito di razzismo e intolleranza

 

PER ABDUL. PERCHÉ NON SUCCEDA PIÙ

Gli abitanti di via Zuretti sono rimasti impressionati da ciò che è accaduto; hanno assistito con molto rispetto e partecipazione al continuo pellegrinaggio sul luogo del delitto. Perfino il consiglio di zona 2 ha approvato all’unanimità una mozione di allarme per il clima che si sta creando nella nostra città, proponendo un qualcosa che ricordi questo incredibile omicidio; in attesa (temiamo lunga) di questo gesto, ci hanno pensato i ragazzi amici, conoscenti e non di Abba a ricordarlo in tanti modi trasformando il pezzo di marciapiedi dove è stato ucciso.

Qui di seguito l’appello di alcuni intellettuali e personaggi della nostra città che ha chiamato Milano a farsi sentire per fermare odio e intolleranza con una riuscita manifestazione che si è svolta il 20 settembre scorso.

“Abdul è stato ucciso per niente o per futili motivi ... come dice  l'arido linguaggio della magistratura. Chi ha preso la spranga non  l'ha fatto per paura o per legittima difesa, ha commesso un delitto a  sfondo razzista, mosso da odio e rancore, considerandosi legittimato  dal sentire intollerante, sciaguratamente diffuso.

Questa Milano non ci appartiene. Non ci appartengono la violenza e il  razzismo che si manifestano sempre più apertamente, in uno stillicidio  di episodi quotidiani di intolleranza di cui sono vittime donne e  uomini, quasi sempre inermi. La dilagante campagna razzista e la  costruzione del nemico "altro" diventano funzionali a nascondere la  questione politica della sicurezza sociale, della coesione e della  giustizia sociale per tutti. L'altro e il diverso vengono additati  quali cause del malessere sociale ed esistenziale. Il potere e lo 

sfruttamento si alimentano anche in questo modo.Per questo, per ragioni etiche, culturali e politiche, gridiamo con  forza che non ci appartiene l'ideologia sicuritaria, incentrata sulla  repressione e sulla costruzione di alibi culturali che autorizzano le  ronde e la violenza privata.

L'omicidio di Abdul è l'ultimo segnale di un'escalation xenofoba, che  va arrestata.

La Milano democratica e antirazzista deve reagire.

Milano deve reagire.

 

La Milano dei De Corato e La Russa: sulla pelle degli immigrati ci guadagnano economicamente e politicamente

Una mattina di agosto in una laterale di viale Monza. Due negozi che hanno cambiato gestione, nulla di speciale siamo nella normalità. Vengo attirato da uno di essi, da dove mi viene incontro un ex consigliere di An impegnato nel recupero di una cascina in fondo a via Idro sulla Martesana. Mi saluta con le solite cose: il degrado, la sporcizia, gli zingari, gli extracomunitari etc…anche in questa via, ma adesso noi, io sono un ex finanziere. Poi mi fa vedere un bandierone tricolore in cima ad un palo della luce, di nuovo l’italianità perché noi siamo a casa nostra etc…Faccio notare che, a proposito di legalità, non mi sembra proprio il caso… che ognuno se la può mettere in casa dove vuole, ma non in strada. Poi arriva un suo “collega” che continua la discussione a suo modo: cosa hai contro la bandiera, io ti spacco la faccia etc...

Nulla di nuovo, non ci sarebbe bisogno neanche di queste poche righe di notizia; dimenticavo di dire sulla nuova attività che si svolge in questo negozio: sportello per l’immigrazione.

Paolo Pinardi

 

Cani e immigrati. Un posto per fare la pipì non lo si nega a nessuno.

 

Una volta, 50 anni fa, al mio paese, fuori dalla chiesa, in piazza, c’erano i vespasiani o i cessi pubblici. I nostri padri che avevano la prostata debole o che bevevano qualche bicchiere di troppo potevano farvi ricorso senza grossi problemi. Era un’esigenza riconosciuta. Per gli uomini era la loro fortuna. Peccato per le donne!

Ho 64 anni e mi capita spesso,  di trovarmi in difficoltà, specie quando sono in moto. Non sempre trovo il bar vicino e a volte provo vergogna ad entrare, dover chiedere un caffè e subito dopo il bagno.

Proprio sotto casa mia, sul lato di Via Anassagora,  ci sono degli spazi verdi: prati, alberi e alte siepi divisorie.

La mattina,  tra le sette e le otto, i proprietari di cani delle case vicine fanno quattro passi; i loro cani fanno la loro pipì e depositano i  loro escrementi sul prato, sotto casa mia. Tutti i giorni.

I cani abbaiano, si rincorrono e tu che il sabato speravi di dormire un po’ non lo puoi fare.

Pensate che i proprietari italiani di cani si preoccupino di raccogliere gli escrementi dei loro cani?

E così su ogni  metro di quei prati c’è un ricordo e tu  puoi sporcarti le scarpe e non rendertene conto quando rientri in casa.

Il sabato pomeriggio, da qualche anno, un centinaio di latino-americani, con bambini, ragazze mogli vengono a giocare a pallone in quello spazio.

Provano  ancora il piacere di ritrovarsi, gente dello stesso paese, parlare dei loro cari lontani, vincere la solitudine dell’immigrazione, uscire dalle case dove sono ammassati in otto per stanza a 200 euro a letto.

Giocano a calcio…partite che durano ore. Sfiancati. Le ragazze parlano tra loro; le mamme rincorrono i bambini e i bambini giocano tra gli escrementi dei cani dei miei vicini.

E i più grandi bevono birra. Forse un po’ troppa. E poi, è ovvio, ti viene  da fare la pipì.

E così, tu che sei al quinto piano, vedi tutto. I maschi che, a distanza di un metro dalla siepe che contorna il prato, orientano senza pudore la parabola della loro  pipì che si allunga lontano. Le femmine, più riservate, si fanno accompagnare dal loro compagno o dalla mamma, abbassano i pantaloni e guardandosi attorno, in tutta fretta, fanno i loro bisogni.

E alcuni di noi? Com’è possibile che questi facciano la pipì in questo modo, così che tutti vedono?

Devo decidermi a chiedere per l’ennesima volta, tramite il giornale Martesana Due, a questa Amministrazione dell’Expo 2015 che venga installato un servizio pubblico, magari a pagamento, che permetta a tutti, immigrati e non,  di fare con piacere e in pace la loro pipì.

E’ troppo? Non credo proprio.

Carlo Bonaconsa

 

Vivere in Via Padova

Nel luglio scorso la sinistra della nostra zona ha indetto una manifestazione in via Padova sempre al centro dell’attenzione per come essa è dipinta, negativamente soprattutto dai nostri amministratori. Una via studiata da molte università e ricercatori che vedono in questa lunga arteria contraddizioni e potenzialità tipiche delle grandi metropoli e che avrebbe bisogno di veri interventi delle istituzioni pubbliche di carattere sociale, abitativo e culturale anziché la sola ostentazione securitaria.

Questo il testo dell’iniziativa promossa dal Coordinamento di Zona 2 per una Sinistra Unita, il Circolo  di Rifondazione di via Lulli, il Leoncavallo e il nostro giornale.

 

VIVERE IN VIA PADOVA - Percorso di solidarietà nei confronti degli abitanti e di protesta contro il sindaco Moratti e il vicesindaco De Corato

 

Per un quartiere più vivibile, sicuro e coeso

Cittadini! Attenti agli imbroglioni!!!

 

1.732.000 Euro stanziati dal Comune a due associazioni private per organizzare “RONDE”

 Nessun progetto concreto per migliorare le condizioni di vita degli abitanti, solo propaganda sulla sicurezza.

 

Così non va. Fatti e non parole!!! Cittadini di via Padova, attenti agli imbroglioni!

 

 

Ieri     non hanno voluto ricevere i rifiuti dalla Campania;

oggi   sono disponibili ad accogliere 6.000 tonnellate con un  costo di 500.000 euro a carico del contribuente.

 

Ieri    dicevano che avrebbero abbassato le tasse;

oggi   mettono nel documento di programmazione economica che non se ne parla    fino al 2011, anzi è previsto un aumento.

 

Ieri             dicevano che bisognava colpire la criminalità ( furti, spaccio, scippi, rapine…);

oggi   varano un decreto “sicurezza” che sospende per un anno i processi

per gli stessi reati, Tremonti taglia i fondi per la sicurezza e arrivano a decretare anche che devono essere prese le impronte ai bambini rom!!!

 

 Ieri             dicevano di voler garantire la sicurezza con il vigile, il poliziotto, il carabiniere              di quartiere (???) ;

 oggi             l’ineffabile Sindaco e il suo vice De Corato  vengono in Via Padova a dirci che ci saranno due associazioni private legate a uomini della destra a far fronte ai problemi della sicurezza con la modica cifra di 1.700.000 euro.

 

…dopo 15 anni in cui l’Amministrazione di Centro-Destra ha fatto ben poco per:

 

rendere meno degradato il quartiere ( marciapiedi sporchi, strade poco illuminate, pali segnaletici e cordoli divelti, depositi di immondizia…)

promuovere una politica di valorizzazione del grande patrimonio paesaggistico, ambientale e storico della zona;

sostenere le attività produttive e commerciali;

fornire spazi pubblici di incontro per  giovani e  famiglie (come quello di via Esterle, anziché darlo gratuitamente alla comunità di San Patrignano);

offrire servizi che favoriscano l’integrazione delle comunità migranti, sempre più stanziali;

promuovere una politica abitativa pubblica;

bloccare il consumo selvaggio del territorio e la cementificazione progressiva delle aree verdi.


Non si risolvono i problemi del degrado urbanistico e sociale del nostro quartiere solo con visite sporadiche  del Sindaco e del Vicesindaco o con gruppetti di anziani muniti di pettorale con la scritta “Milano sicura”.

 

Un’azione di prevenzione e di contrasto alla delinquenza richiede forze dell’ordine adeguate e competenti.

 

Il nostro quartiere ha bisogno:

 

di una Amministrazione Pubblica che metta in campo risorse e competenze per attivare un progetto di riqualificazione complessiva, come è stato fatto in altre periferie della città;

 

di progetti di accompagnamento e di coesione sociale, di un contratto di quartiere che affronti complessivamente il degrado urbanistico e il disagio abitativo, di un laboratorio che coinvolga esperti, associazioni, comitati, cittadini disponibili.

Basta propaganda, ma fatti!!!

 

L’EXPO del 2015 costituisca anche per la Zona 2, non solo per gli amici degli amici, una grande opportunità di riqualificazione e di sviluppo.

 

 

Intolleranza, xenofobia o emergenza razzismo? Cosa ci dicono i soci di DAR 

 

Da Parma, a Roma, a Milano, nelle ultime settimane è una vera escalation di pestaggi e insulti di stampo razzista.

Scritte minacciose sui muri, come “negri morti”, sei extracomunitari “fucilati” nel casertano, un ragazzo di colore massacrato a sprangate a Milano, fanno scendere in campo con un appello contro il razzismo sia il Papa che il Presidente della Repubblica.

Vi è chi minimizza e banalizza, si parla di montatura politica, il Ministro degli Interni dichiara che è allarmismo ingiustificato: singoli episodi isolati, bravate di gruppi di balordi, azione dimostrativa della camorra, o la conseguenza di un clima di intolleranza, di campagne xenofobe contro gli immigrati, di un razzismo emergente?

Un sondaggio curato da DEMOS ci dice che circa la metà degli italiani ritengono che gli immigrati siano una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone: è la percentuale più alta di tutti i paesi europei.

Ma come vivono questo momento i cittadini stranieri? Nei giorni scorsi ci sono state molte manifestazioni e finalmente gli extracomunitari si sono fatti sentire. Anche il gruppo di redazione di Infodar se lo è chiesto, e ha deciso così di sentire le opinioni dei nostri soci. Con un’indagine telefonica ci siamo messi in contatto con una trentina di nostri soci immigrati chiedendo loro un parere su quello che sta succedendo, su quello che sta cambiando nei rapporti sociali, di lavoro e di vicinato.

Un campione abbastanza rappresentativo della nostra comunità, immigrati che vivono da anni in Italia, che perciò possono essere definiti “integrati”, con casa e lavoro, molti con famiglia e figli nati in Italia, occupati nelle più svariate attività lavorative, con condizioni certamente migliori rispetto a molti loro connazionali.

Il risultato dei colloqui può essere sintetizzato in quattro parole: reticenza, preoccupazione, insicurezza, paura.

Vi è chi dichiara di sentirsi tranquillo, in ottimi rapporti con i vicini di casa e con i compagni di lavoro, di condividere le misure prese ultimamente in tema di sicurezza compresi i controlli, e indica nei troppi arrivi e negli episodi di delinquenza uno dei motivi del clima di intolleranza verso gli extracomunitari, con conseguenze negative per tutti. Emerge l’obiettivo di dare un’immagine positiva di se stessi, per essere catalogati nella categoria dei “buoni”, di quelli che “si comportano bene”: le frasi ricorrenti sono “Se ti comporti bene non hai problemi, se rispetti sei rispettato”.

È facile scoprire dietro a tutto questo una inquietudine e una preoccupazione per il proprio futuro, per le prospettive di lavoro, per il clima ostile verso lo straniero.

Ma vi sono quelli che si dichiarano indignati per ciò che sta accadendo, e alla domanda se il clima e i rapporti stanno peggiorando rispetto al passato, la risposta è senza tentennamenti affermativa.

Si evidenzia che l’immigrato è collocato all’ultimo posto della scala sociale, e viene individuato quale soggetto debole e ricattabile: si denunciano abusi, imbrogli, comportamenti arroganti e duri nei loro confronti. Sotto accusa anche polizia, vigili, controllori ATM, datori di lavoro.

Si denuncia un clima da “caccia al sospettato”, una vita da vigilati a vista. Molti sono gli episodi presi a esempio che vi riportiamo. Un socio palestinese: “In un mese mi hanno fermato quattro volte in macchina per controllare i documenti senza che avessi commesso nessuna infrazione, sono in Italia da anni e non mi era mai successo”. Un socio giordano: “L’atmosfera che ci circonda è brutta e va peggiorando, c’è molta cattiveria e ostilità, sui mezzi di trasporto si sentono discorsi ai limiti dell’insulto, mia moglie che veste come si usa nei paesi arabi è da molti guardata male”. E ancora, un socio angolano: “sui mezzi pubblici mi è capitato più volte che pur con la carrozza piena e la gente in piedi i sedili ai miei lati fossero vuoti, vi è chi cambia posto, io alla sera mi chiudo in casa, ho paura, per me c’è razzismo”. Un socio ruandese: “Ho chiamato la polizia dopo un’aggressione da parte di un’inquilina del piano di sotto per futili motivi, gli agenti sono arrivati e hanno controllato solo i miei documenti e il mio appartamento, e poi se ne sono andati. Ho comprato un’auto usata e sono stato imbrogliato, dopo due giorni si è fuso il motore, ho preso un avvocato che mi ha portato via la metà della metà dei soldi che mi sono stati restituiti dal venditore, non ci sono diritti, nessuno ci difende, per me c’è razzismo”. Un socio senegalese: “chiedo a Dar un appartamento in un altro quartiere dopo aver subito un’aggressione con pestaggio da parte di un gruppo di giovani del quartiere, anche dopo il fatto mi sento continuamente minacciato”.

Sono solo alcune storie fra le tante, forse le più significative, sicuramente già sufficienti per farci capire e riflettere. Certamente un immigrato senza permesso di soggiorno o con il permesso scaduto, che vive ammucchiato come una bestia in un monolocale degradato, senza lavoro, ci avrebbe raccontato storie più tristi.

Certamente non tutti gli italiani sono come quelli che ci sono stati descritti e i nostri soci lo sanno, anche perché lo possono constatare e verificare nei rapporti con Dar. Essi sanno che vi è (come dicono anche i sondaggi), un 45% di cittadini italiani che considerano gli immigrati una risorsa da difendere e valorizzare oltre che, naturalmente, delle persone da rispettare.

Cesare Moreschi

 

DAR è una cooperativa di abitazione nata nel 1991 a Milano con l'obiettivo di ricercare alloggi dignitosi a basso costo da affittare a tutti coloro, lavoratori italiani e stranieri, che non possono sostenere gli alti affitti del mercato libero. Ad oggi DAR ha risanato e assegnato 190 alloggi a oltre 200 famiglie.