Commento
sulla manifestazione del 20 ottobre a Roma
novembre 2007
Eravamo in tanti,
veramente tanti: ben oltre un milione
L’OR.S.A.
SEMPRE IN PRIMA FILA A DIFESA DEI DIRITTI
E
PER UNA SOCIETA’ PIU’ GIUSTA
C’E’
CHI DICE NO
Oltre
un milione di persone a Roma per manifestare contro il protocollo del 23
luglio 2007 sul Welfare. Hanno formato un corteo di dimensione imponente
che si è snodato maestoso lungo il percorso cittadino sino a sera
inoltrata. Una marcia pacifica e determinata alla quale i ferrovieri
dell’OrSA hanno partecipato con convinzione e slancio per dare il
proprio contributo contro il precariato e per un sistema previdenziale
più equo, soprattutto a favore dei giovani. Uomini e donne, senza
distinzione di appartenenza politica, giunte da tutte le parti
d’Italia per dimostrare e
dare senso al malcontento profondo e trasversale che coinvolge la stragrande maggioranza della popolazione.
Una manifestazione di profondo senso politico e sociale, che cancella e
mette in secondo piano (con tutte le polemiche che lo hanno
caratterizzato) il referendum sulle pensioni fatto dalle OS firmatatrie
dell’intesa del 23 luglio. Una dimostrazione di democrazia vera e
partecipata che richiede attenzione da parte del Governo e del
Parlamento Italiano che sono chiamati a dare risposte certe con atti
concreti di discontinuità con il passato: bisogna modificare l’accordo.
Silvio
Agnello - Coord.
Naz. - OrSA
Macchinisti Uniti
***
Quando
il sole tornerà?
C’era
un’atmosfera strana, il 20 ottobre alle 6 di mattina ai binari della
stazione centrale. Chi, arrivando infreddolito si aspettava una mattinata
sonnolenta e deserta è sorpreso. Si sono radunate un sacco di persone
qui, strana specie, che si pensava estinta da un pezzo. Dicono che c’è
una manifestazione a Roma. Si parla di comunismo, lavoro, protocolli,
welfare. Comunismo? Lavoro? Ma sono parole desuete, anzi sovversive! E
welfare? cosa sarebbe? benessere sociale? Ma dov’è? Forse si va
a Roma per cercarlo. Questa è gente proprio strana, che ancora vuole
mettersi in movimento, che si sveglia la mattina alle quattro per prendere
un treno che porta nelle piazze della capitale.
Circa
due ore di attesa, e all’eco di vecchie canzoni dimenticate il treno
strano parte.
Da
questo treno i palazzi della politica si vedono avvolti nella nebbia, qui
la gente è sfiduciosa, che niente cambierà, … eppur bisogna andare.
Per dire che ci siamo.
Alcuni
dicono che si sentono svenduti, proprio da chi avrebbe dovuto difenderli.
Dicono che sono lavoratori. Hanno il coraggio di chiamarsi ancora così?
Ma
perché, in Italia ci sono ancora dei lavoratori? No! Ormai siamo tutti
imprenditori, non fatevi ingannare, questi non sono lavoratori. Forse sono
dei sovversivi. Dove s’erano nascosti? Non li vediamo più, non li
sentiamo più. Pensavamo non esistessero più. Quel che conta ora sono i
numeri, la finanza. C’è forse dell’altro? Ma questi consumano? Allora
esistono. Però non devono rompere le palle, a noi che lavoriamo
seriamente per far funzionare l’Italia. Sentite il ritmo, il tintinnio:
soldi/borsa, soldi/borsa. Il lavoro che c’entra? Non hanno più nemmeno
un nome. Questo è un treno pieno di gente senza nome, senza voce, senza
volto.
Ci
sono anche giovani, ragazzi, tantissimi, che fremono, con gli occhi
ardenti pieni di speranza e di attese per il futuro. E invece sospettano
di essere stati diseredati da una classe politica alla deriva:
“compagni, ci lasciano col culo al freddo” dicono. Certo, alcune
ragazze espongono già per moda vasti lembi di pelle alle intemperie, ma
hanno paura che i politici vogliano completare l’opera.
Questo
treno pieno di passioni, di cuori e pensieri, seppure lentamente, fermato
di stazione in stazione, va. Alla fine arriva. Il corteo che giunge da
ogni parte d’Italia attende paziente. È un serpentone lunghissimo. Non
si sa dove comincia nè dove finisce. Solo quegli elicotteri che
volteggiano nell’aria possono saperlo. Le strade sono strapiene, bisogna
trovare dei buchi per piazzarsi.
E
il vento freddo della sera spirava per le vie e le piazze romane e le
bandiere sventolavano veloci, e la gente si teneva per mano, coi visi
arrossati, intonando una canzone … internazionale.
I
vari pezzettini d’Italia che si sono qui riuniti per prendersi per mano,
senza individualismi come una cosa sola stridono amaramente con le
contraddizioni nei palazzi della politica dove regnano i personalismi e le
frammentazioni.
Dopo
questa festa di mani di canti di colori, a tarda sera ritornano. Con le
bandiere in spalla, stanchissimi ma felici di essersi ritrovati in tanti.
Il
treno si riempie di nuovo per riportare tutti a casa, dopo aver assaporato
il primo freddo autunnale della capitale, per riportare la quiete nelle
piazze e nei palazzi. E inizia di nuovo la corsa nella notte, che per ora
è solo cominciata. E allora non ci resta che cantare… “Quando il sole
tornerà/ e nel sole io verrò da te/ amore, amore corri incontro a me/ e
la notte non verrà mai più”.
Antonio
Gradia