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In questo numero

 

 

Il ponte della Lombardia  - aprile 1999 n. 52 

 

 

Il NO del 18 aprile - Appello del Comitato promotore

 

Voto anch'io? No, tu no! 

La redazione

 

Dopo Davos la mondializzazione irresponsabile

Intervento di Riccardo Petrella

 

Tobin tax: una campagna per la tassazione delle transazioni finanziarie

Marina Ponti  Mani Tese

 

Metalmeccanici: contro il primato indiscusso dell'impresa

Maurizio Zipponi

 

Patto sociale in discussione

Carlo Gnetti

 

INSERTO SPECIALE: Una legge per il telelavoro: quali prospettive e tutele?

Milano, 15 febbraio 1999 - Camera del Lavoro

Interventi e relazioni di:

Ermes Riva, Antonio De Luca, Antonio Duva, Nadir Tedeschi,

Mauro Boracchia e Franco Scarpelli,

Marika Guiducci, Giovanni Talpone, Antonio Pizzinato

Il caso Necchi: i difficili rapporti tra grande impresa e sviluppo locale

Gioacchino Garofoli

 

PRC: da Rimini una proposta alla sinistra alternativa

Edgardo Bonalumi

 

Chi raccoglie l'eredità del partito di Turati e Matteotti

Gian Luigi Falabrino

 

Milano ovvero il laboratorio della 'nuova destra'

Guido Caldiron

 

Diritto all'identità - Cgil Lombardia e i rappresentanti del popolo curdo: politica, musica e 

 kebab

PS... Dal Kurdistan al Kosovo

Lella Bellina

 

L'Europa delle città: I Blues a Napoli non sono tutti tristi (seconda parte)

Eugenio Lucrezi

 

Altri links: voci in rete su razzismo e immigrazione

Luciana Mella

 

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Il ponte 

della Lombardia

periodico di commento

critica progetto

 

Editore

Comedit 2000

 

Presidente

Paolo Pinardi

 

Direttore resp.

Luigi Lusenti

 

Redazione

L. Bellina, E. Cavicchini

A. Celadin, A. Corbeletti

G. Falabrino, L. Miani

A. Ripamonti, F. Rancati

 

 

Direzione e Amministr.

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Reg. Trib. MI

n. 304 maggio 1992

 

 

 

 

Il NO del 18 aprile - Appello del Comitato Promotore

Il referendum del 18 aprile - se approvato dagli elettori - crea un sistema elettorale non accettabile. - Elimina la quota proporzionale e così costringe tanti cittadini a non essere più rappresentati, impedisce di conoscere la vera consistenza delle forze politiche, aumenta il potere di ricatto, in ogni collegio, di gruppi e gruppetti; - Elegge casualmente un quarto dei deputati, con il rischio, addirittura, di ribaltare il risultato elettorale; - Non offre alcuna garanzia di stabilità, come già oggi non la assicura la legge elettorale maggioritaria vigente; - Vuole consapevolmente, lo dicono tanti dei promotori, eliminare i partiti, per favorire una indeterminata politica diretta e dei cittadini.

La politica italiana ha bisogno di un grande rinnovamento di idee, di programmi, di gruppi dirigenti, nel senso della responsabilità e della trasparenza. Occorre quindi valorizzare le tante forme di partecipazione organizzata, da quelle più nuove a quelle più tradizionali, a cominciare dai partiti, come in tutte le grandi democrazie europee. Per questo le leggi elettorali sono importanti, anche se l'esperienza insegna che non sono l'unico strumento. Una buona legge elettorale deve:

- Riconoscere la rappresentanza come espressa dal voto, pur con le limitazioni all'eccesso di frammentazione: già oggi vi è una soglia del 4%; - Garantire stabilità politica e di governo: nemmeno il doppio turno di collegio, da solo, offre questa garanzia; - Assicurare utilità al voto del cittadino, garantendo che non venga "fatto scomparire"; - Rendere difficile il trasformismo, tipico di chi, eletto in un collegio e privo di autentica rappresentatività e radicamento, non risponde di fatto a nessuno; questo rischio aumenta proprio con l'enfasi sul "cittadino" e con il superamento delle organizzazioni e dei partiti.

Il sistema elettorale attuale ha messo in luce difetti rilevanti: la scelta dei candidati nei collegi è oligarchica e non trasparente, l'elettore non sceglie il governo, perché non vi è garanzia di stabilità, cresce - collegio per collegio - la rendita di posizione, largamente presunta, di aggregazioni locali, casuali, personalistiche. Il referendum è, rispetto a tutti questi problemi, deviante e sbagliato. Sorprende il fatto che tanti partiti, sufficienti per cambiare la legge attuale, sostengano il referendum: oltre a essere una vera e propria rinuncia al proprio ruolo, rende difficile approvare una nuova e positiva legge anche dopo il referendum, come dimostra la vicenda della proposta Amato. Su questi argomenti, per contribuire alla chiarezza, vogliamo ragionare, far discutere, far crescere anche a Milano una più alta consapevolezza della posta in gioco.

 

 

...Voto anch'io? No, tu no!- La redazione

Si torna a votare: ciclicamente si ripete il rito di depositare la scheda nell'urna. Per tutti, anche per gli astensionisti. E come per tutti i gesti d'abitudine non vi si crede più ma si continua a farlo. L'insistente ricorso al voto, accentuato dal sistema maggioritario e dagli innumerevoli referendum, al contrario di quanto sostengono alcuni leader del polo, svilisce il momento elettorale, deprimendo la stessa democrazia. La partecipazione della gente è ridotta da anni a un innocuo segno accanto a un simbolo di partito o sul nome di un candidato. Da ultimo atto di registrazione della volontà popolare, esso è diventato l'unico "atto" in mano al cittadino per esprimere un parere, ossessivamente sempre più richiesto, ma nei fatti ridotto a un semplice sondaggio interpretabile liberamente e liberamente manipolabile. Non vi sono differenze sostanziali, su questo argomento, fra destra e sinistra, se è vero come è vero che in testa alle agende politiche dei partiti sta la riforma della legge elettorale, cioè come trasformare i voti in seggi e che ognuno pare più interessato alla propria sopravvivenza che ad un consenso esteso, consapevole, rinnovabile e controllabile. Quattro tornate politiche elettorali in dieci anni, alcune elezioni suppletive nei collegi uninominali, parecchie decine di referendum, le abituali scadenze per le amministrative (compresi i consigli di zona nelle grandi città) e le elezioni europee hanno reso i numeri (i risultati elettorali) non "semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente più", come diceva Gramsci, ma l'unico metro di valutazione del consenso. Che dire poi dei candidati inadeguati, delle parole d'ordine alla tenace ricerca del consenso, qualsiasi e costi quel che costi, dei programmi fotocopia (non solo metaforicamente se è vero, come è vero, che il candidato del polo a sindaco di Monza, nelle ultime comunali, ha ripreso quasi integralmente il programma del candidato dell'Ulivo - Fumagalli - a sindaco di Milano? Il consenso stesso viene cercato e costruito ben fuori dai luoghi deputati alla sua formazione. Ciò anche in questo una trasformazione: se per buona parte degli anni ottanta attorno agli affari, e al malaffare, si è cercata l'adesione al proprio potere, oggi l'adesione si costruisce più incisivamente attraverso una politica d'immagine. E si riempiono i talk show, le soap opere, i salotti televisivi col politico di turno di cui si conosce, a volte, perfino i compagni di scuola ma poco o niente delle idee che lo muovono. Certo, non solo e non tanto questo, mette in crisi politica e partecipazione. Il quadro disegnato nelle righe precedenti ha sicuramente cause più profonde e di difficile soluzione. Questo però non può diventare un alibi. Se invece il voto degli elettori venisse rispettato e diventasse "utile" e non pura merce di scambio? Se invece cominciassimo a parlare con la gente, se i partiti proponessero al confronto proposte chiare, schieramenti precisi, alleanze certe che rispettassero il risultato dell'urna? Se invece di riaprire le sezioni per il "totocandidati" delle primarie provassimo a riempirle di persone per parlare, giudicare e condividere i programmi? Può essere un'idea. Ammesso che ci sia ancora qualcuno che ha delle idee.

 

 

Tobin tax: una campagna per la tassazione

delle transazioni finanziarie

Milano, Camera del Lavoro, 15 marzo 1999

Gli obiettivi del mio intervento sono due. Innanzitutto riassumere brevemente i contenuti di questa campagna e il significato che ha per noi questa imposta e cioè la Tobin tax. Il secondo obiettivo consiste nel lanciare un'iniziativa, una raccolta firme in calce ad una petizione che al termine del mio intervento vi presenterò.

Dunque: perché una campagna sulla tassazione delle transazioni finanziarie? La risposta è immediata, perché questa campagna parte da un principio semplice e spero molto condivisibile. Il principio è quello di permettere ai cittadini, alle associazioni e ai sindacati che li rappresentano di riappropriarsi delle loro economie e soprattutto delle scelte di sviluppo economico che vengono prese all'interno dei loro paesi.

Perché questo processo di "riappropriazione" deve iniziare proprio dalla finanza? Domanda lecita. La risposta lo è anche di più. Perché oggi la finanza governa il resto dell'economia oltre alla stessa politica.

Nei passati tre decenni abbiamo assistito a profondi cambiamenti nell'economia mondiale. Cos'è avvenuto? E' avvenuto un progressivo allontanamento dell'economia finanziaria da quella reale. Dove per economia reale si intende la produzione e la distribuzione di beni e servizi e per economia finanziaria la gestione dei soldi e dei valori mobiliari. Questo "divorzio", come molti lo chiamano, ha trasformato profondamente la struttura dell'economia mondiale. Inizialmente la finanza doveva essere al servizio dell'economia reale. Il suo obiettivo primario era quello di reperire all'interno del mercato risorse da risparmiatori, banche e imprese per investimenti produttivi di lungo periodo (la costruzione di nuovi stabilimenti, nuove infrastrutture, etc). Oggi tutto questo non è più vero. Più del 95% di tutte le transazioni finanziarie sono di natura speculativa (cioè avvengono nell'arco di una giornata). Nell'attuale contesto la finanza governa l'economia visto che mobilita una quantità di risorse di 72 volte superiori al commercio mondiale di merci e servizi.

Una delle conseguenze di questa discrepanza in termini di risorse è che oggi i mercati finanziari seguono dei loro parametri, imponendo poi all'economia reale di adeguarsi. Un esempio di questo nuovo paradigma è stata la reazione dei mercati finanziari ad una diminuzione del tasso di disoccupazione nei primi mesi del 1997 negli Stati Uniti. Diminuisce la disoccupazione: "cosa può significare per l'economia reale? Senz'altro qualcosa di molto positivo: più gente lavora, un aumento della produzione e dei consumi". Però se vediamo la reazione di Wall Street restiamo perplessi: la Borsa è crollata! Un altro esempio che ci mostra questo "divorzio" è che quando un'impresa annuncia una ristrutturazione (e tutti noi sappiamo che una ristruttura implica pesanti licenziamenti) i suoi titoli in Borsa aumentano di valore.

Nei mercati finanziari (e più in generale nell'economia finanziaria) si possono ottenere i più alti guadagni e questo fa sì che sempre più risorse siano trasferite dall'economia reale a quella finanziaria. Risorse che un tempo venivano investite in settori produttivi oggi vengono investite in speculazione finanziaria, e questo è un altro dato che spaventa!

L'affluire nella sfera finanziaria di continue risorse ha portato ad una sua crescita rapidissima, che oggi tocca proporzioni incomprensibili. Ogni giorno 1,8 trilioni di dollari vengono scambiati sui mercati valutari e cioè passano da una valuta all'altra: sono dollari che diventano euro, che poi diventano franchi svizzeri e prima della fine della mattinata sono già yen giapponesi. Il 95% di queste transazioni sono di natura speculativa: e cioè non compro dollari perché devo acquistare beni negli Stati Uniti, quanto perché penso, credo o meglio scommetto che il valore del dollaro aumenti. Così si guadagna e alcune volte si perde basandosi su semplici aspettative, di svalutazioni di alcune valute e di apprezzamenti di altre.

Il settore finanziario si è ampliato ad un tasso di velocità piuttosto inverosimile: dal 1992 la quantità di transazioni sui tassi di cambio è aumentata del 50%, o del 30% se viene presa in considerazione la diminuzione del valore del dollaro. Qualsiasi siano i valori considerati non vi è alcun dubbio che in questo settore dell'economia la quantità di capitali presenti sia immensa.

Per comprendere meglio l'entità di queste cifre può essere utile fare un paragone con altri fattori dell'economia. Per esempio il totale annuale dei valori scambiati nei mercati azionari è pari a 21 trilioni di dollari, l'equivalente di 17 giorni di transazioni valutari. Inoltre il totale annuo del commercio mondiale di beni e servizi è un mero 4,3 trilioni di dollari, pari a 3 giorni e mezzo di transazioni nel mercato dei cambi.

In che mondo è avvenuta questa straordinaria crescita dell'economia finanziaria? Ci sono stati nella nostra storia economica concreti avvenimenti che hanno concorso. Vediamoli insieme:

Il primo elemento è senz'altro la fine del sistema di Bretton Woods. Nel 1944, quindici governi si riunirono a Bretton Woods, una cittadina del New Hampshire (USA), per delineare il nuovo ordine economico internazionale, mentre la seconda guerra mondiale stava per terminare. In due parole, perché in realtà ci sarebbe molto da dire, questo nuovo sistema aveva due obiettivi: la crescita economica e la stabilità. Uno dei requisiti imposti ai governi che volevano entrare a far parte di questo sistema era quello di fissare la propria valuta al dollaro. Quando una valuta veniva fissata, solo piccole oscillazioni erano consentite. Questo sistema si basava sul principio che il dollaro fosse convertibile in oro. Questo significava che chiunque in possesso di dollari avrebbe potuto bussare alle porte della Banca Federale Americana per richiederne l'equivalente in oro.

Alla fine degli anni '60 questo principio cominciò ad essere messo in discussione. La guerra del Viet Nam impose immensi costi al bilancio statunitense, e soprattutto cominciò ad essere chiaro che gli Stati Uniti stavano attuando una politica monetaria troppo espansiva a cui non si bilanciava un aumento delle riserve auree. Ben presto (e questo è stato anche causato dallo shock petrolifero degli inizi degli anni '70) fu chiaro a tutti che la quantità di dollari in mano ad investitori stranieri era di gran lunga superiore alle riserve di oro. Così, nel 1971 Nixon dichiarò che il dollaro non era più convertibile in oro e con questa affermazione il sistema di Bretton Woods giunse alla sua fine. Da allora, le valute hanno iniziato a fluttuare liberamente e l'economia mondiale è entrata in una nuova fase caratterizzata da forti apprezzamenti e deprezzamenti. Una conseguenza di questo nuovo sistema è stata l'opportunità di scommettere sui movimenti incessanti delle valute.

Il secondo elemento che ha contribuito al "successo" dei mercati finanziari è stato il cambiamento di rotta registrato nelle politiche macroeconomiche dei paesi occidentali. Negli anni '70 piena occupazione e crescita erano considerate le priorità delle politiche macroeconomiche. Dieci anni dopo le priorità sono cambiate e la lotta l'inflazione è stata posta quasi universalmente come l'obiettivo principale della politica monetaria, anche a spese dell'occupazione e della crescita. Questa inversione di tendenza è stata seguita in tutti i paesi da un declino dei tassi di crescita economica e da un aumento dei tassi di disoccupazione.

Al mutamento nelle politiche si è affiancata una forte deregolamentazione dei mercati finanziari. Nella maggior parte dei paesi occidentali negli anni '80, ogni controllo sui capitali è stato progressivamente ridotto, come ogni controllo e limitazione alle attività delle banche commerciali e di investimento. Quest'ondata di liberalizzazione ha fatto sì che , negli anni '90, molti paesi in via di sviluppo abbandonassero i controlli sui capitali. E anche dove questi controlli esistono ancora, la loro applicazione avviene in maniera molto più blanda. L'eliminazione dei controlli finanziari ha lentamente eroso il ruolo dei governi nella pianificazione economica. Oggi infatti i governi sono relativamente senza potere di fronte ai mercati finanziari globali. In contemporanea, il volume delle transazioni finanziarie ha eroso la capacità delle Banche Centrali di intervenire in caso di crisi, in quanto le loro riserve monetarie sono troppo modeste rispetto all'entità dei capitali privati. L'equivalente di un giorno di transazioni valutarie nei mercati dei cambi supera la quantità di riserve monetarie di una banca centrale come quella dell'Inghilterra.

Una delle più devastanti conseguenze del processo di liberalizzazione dei mercati finanziari è stata l'opportunità per i capitali di uscire e così "fuggire" in maniera rapida e incontrollata da un paese provocando crisi finanziarie molto profonde.

Un esempio di crisi finanziaria avvenuta in questo nuovo sistema economico internazionale è quella del sud est Asiatico. Nell'analisi della crisi in Tailandia, crisi velocemente dilagata in altri paesi nel luglio 1997, si verifica che l'economia tailandese stava attraversando un momento difficile: le esportazioni erano diminuite drasticamente e la bilancia dei pagamenti era in rosso. Si può perciò affermare che il baht, la valuta tailandese, era sopravvalutato. Però, anche se esistevano oggettivi problemi, non c'era bisogno di arrivare ad una crisi di tale portata. Il baht aveva bisogno di una correzione, non di una crisi profonda. In pochi giorni il rapporto dollaro del baht crollò da 25 a 1, a 50 a 1. Come numerosi osservatori commentarono: l'economia tailandese ha fatto errori, ma la punizione superò di molto la gravità del "peccato" proprio come in Messico quattro anni fa. Oggi in Tailandia, come prima in Messico, le imprese e le società continuano a chiudere e milioni di persone stanno perdendo i loro posti di lavoro. Inoltre, e questo è un altro particolare importante, la crisi tailandese, proprio come quella messicana, si è diffusa a paesi che non avevano i problemi riscontrati in Messico e Tailandia. Questo è solo un esempio di crisi finanziaria. Dopo il sud est asiatico c'è stata la Russia e oggi il Brasile. Nuove crisi potrebbero ripetersi nel futuro, con perdite e danni ancora più drammatici. C'è urgente necessità che i governi intervengano nelle loro economie per prevenire le crisi e per limitare le più devastanti conseguenze. I governi devono mettere a punto misure specifiche a livello nazionale e internazionale per controllare e regolamentare i mercati finanziari. Le misure per regolamentare i mercati finanziari possono essere molto diverse: spaziano da un ritorno ai controlli dei capitali, a sistemi più innovativi di regolamentazione. E' giunto il momento che i governi controllino fenomeni negativi come la speculazione finanziaria. E' anche giunto il momento che i governi trovino modi alternativi di finanziare i problemi attuali globali, come la povertà e il degrado ambientale. Una misura che risponde a questi requisiti e cioè di ridurre la speculazione e di reperire risorse per finalità internazionali è la Tobin tax. Nel 1972 James Tobin, Premio Nobel per l'economia nel 1981, propose l'imposizione di una piccola tassa sulle transazioni valutarie (cioè ogni volta che si vende una valuta e ne si acquista un'altra) i cui obiettivi erano quelli di promuovere l'efficacia delle politiche macroeconomiche e di ridurre la speculazione. Quando la tassa fu presentata non ricevette alcuna attenzione dal mondo accademico. Oggi invece, la tassa si è conquistata la simpatia di sempre più economisti alla luce del mutato atteggiamento verso una assoluta mobilità dei capitali finanziari da una valuta all'altra. Durante l'era di Bretton Woods e per decenni dopo, le restrizioni ufficiali erano comuni, anche tra gli stati industriali con sofisticati istituzioni finanziarie nazionali. In retrospettiva quegli anni sembrano ottimi se comparati con la volatilità e le crisi degli ultimi dieci anni. In che modo questa tassa potrebbe raggiungere il suo ambizioso obiettivo di ridurre la speculazione? Questa tassa sarebbe uno strumento deterrente per gli investitori con orizzonti temporali molto brevi (e cioè per gli speculatori). Questo perché renderebbe i movimenti rapidi di grandi somme più costosi. Un esempio di questo è che il costo annuale di una piccola tassa per esempio dello 0,2% ammonterebbe al 48% del valore del capitale scambiato, se le transazioni avvengono ogni giorno, al 10% se in una settimana, e al 2,4% se in un mese. Da questo ne consegue che gli operatori economici che pianificano investimenti a lungo periodo non saranno danneggiati molto dalla tassa, mentre gli speculatori lo saranno di più. Scoraggiare le transazioni di breve periodo porta ad una maggior stabilità nei mercati finanziari e dei cambi.

Il secondo obiettivo della Tobin tax è quello di raccogliere risorse. Fino ad oggi le analisi sulla Tobin tax si sono concentrate sui suoi potenziali effetti sui mercati dei cambi, solo poca attenzione è stata data al tema del gettito. Questo aspetto sta cambiando per due motivi.

La prima ragione per questa evoluzione dell'attitudine verso le risorse, è che i governi nazionali si stanno rendendo conto che l'internazionalizzazione della produzione e della ricchezza sta erodendo in maniera drammatica il loro potere di tassazione, creando una diminuzione del gettito che riescono a raccogliere. I fattori che sono mobili internazionalmente sono in grado di aggirare la tassazione. Di conseguenza ai fattori meno mobili viene chiesto di recuperare il cosiddetto "gettito perduto". Ecco perché, anche se la Tobin Tax, non necessariamente farebbe diminuire il fardello delle tasse a livello nazionale, certamente renderebbe la distribuzione di tale fardello più equa tra i diversi settori della società. La seconda ragione per questa rinnovata attenzione verso il potenziale di ricavo è perché sempre più problemi stanno diventando globali - l'ambiente, la povertà la sicurezza - E nonostante ciò, la comunità internazionale ha sempre meno risorse per affrontarli. I paesi raccolgono il 30% del loro PIL (del loro prodotto nazionale lordo) attraverso le tasse, ma solo una media del 0,3% (e solo dei paesi più ricchi) viene destinato a scopi internazionali. Ecco perché appare necessario e auspicabile pretendere che siano proprio le attività economiche internazionali a produrre fondi per la cooperazione e la lotta alla povertà.

Uno degli aspetti collegati al gettito è la determinazione della percentuale della tassa che resterebbe a livello nazionale. C'è chi suggerisce che la maggior parte delle risorse debbano rimanere a livello nazionale - per esempio dall'80% al 100% (nel caso dei paesi in via di sviluppo). Se si considera una tassa dello 0,1% e un ricavo totale annuo di 148 trilioni di dollari, e con una tale ripartizione si arriverebbe ad ottenere 27 trilioni di dollari all'anno per scopi internazionali. Visto che sarebbero i governi nazionali a raccogliere la tassa, la determinazione della percentuale andrebbe decisa a livello nazionale. Allo stesso modo, sarebbero i governi nazionali a decidere circa l'utilizzo internazionale delle risorse, come oggi sono coinvolti nella negoziazione e nel coordinamento dell'uso degli aiuti.

L'ultimo aspetto da definire è la dimensione internazionale. C'è chi suggerisce che organismi esistenti si possano utilizzare per amministrare il gettito internazionale della tassa e chi sostiene che un nuovo organismo debba essere creato, come un fondo internazionale di cooperazione. Tale fondo potrebbe meglio armonizzare gli obiettivi di politica globale e l'allocazione delle risorse. Tobin invece suggerì che se ne occupasse il Fondo Monetario Internazionale e che si modificasse il suo statuto. Rendendo cioè l'applicazione della tassa un requisito necessario per avere diritto ai prestiti. Il Fondo Monetario Internazionale potrebbe occuparsi anche di determinare la percentuale della tassa, di definire di volta in volta le transazioni da tassare, e di occuparsi delle esenzioni e del monitoraggio.

La Tobin tax, che oggi abbiamo cercato di comprendere non è senz'altro lo strumento ideale e la soluzione globale a tutti i problemi finanziari che il nostro pianeta sta affrontando. La tassa ha però, o meglio, avrebbe un forte peso simbolico in quanto dimostrerebbe la volontà politica da parte dei governi di ricominciare a regolamentare le loro economie. E' il primo passo verso un ritorno ad un primato della politica sull'economia, primato oggi sempre più distante.

La Tobin tax deve essere vista come un primo passo, non come un obiettivo finale. Ad essa dovrebbero seguire molte altre misure che riformino in maniera globale il sistema economico internazionale in cui viviamo.

Ecco perché, e questo è il punto conclusivo della mia relazione, abbiamo preparato questa petizione. Se condividete le sue richieste vi chiedo all'uscita di firmarla, e di farla firmare ad amici, colleghi e conoscenti. Petizione al Governo italiano, alle istituzioni, ai candidati alle elezioni del Parlamento Europeo.

Considerando che la mondializzazione finanziaria aumenta l'insicurezza economica e le disuguaglianze sociali, che aggira e umilia le decisioni dei popoli, delle istituzioni democratiche e degli Stati sovrani responsabili dell'interesse generale, considerando che è necessario e possibile, per i cittadini, far prevalere l'interesse pubblico su quello dei mercati finanziari e delle imprese multinazionali, chiediamo al Governo italiano, alle istituzioni, ai candidati alle elezioni del Parlamento europeo di sostenere e sottoscrivere le seguenti proposte: 1. che una tassa sia posta su tutte le transazioni finanziarie, in particolare sulle speculazioni valutarie (tassa Tobin) e che il gettito sia destinato alla lotta contro le disuguaglianze e la disoccupazione; 2. che questa tassa sia accompagnata da misure di trasparenza e dissuasione contro la criminalità finanziaria e i paradisi fiscali, innanzitutto quelli situati in Europa; 3. che il Governo prenda un'iniziativa esemplare in questa direzione, aprendo un dibattito su tali temi in Parlamento e nel Paese e chieda che essi siano messi all'ordine del giorno di una riunione, ordinaria o speciale, del Consiglio europeo; 4. che il Governo rinunci a firmare ogni accordo o trattato, come l'Accordo multilaterale sugli investimenti (AMI) o l'Alleanza economica transatlantica (PET), che indebolisca la sovranità democratica a favore della sfera economica e finanziaria trasnazionale; 5. che la Banca Centrale Europea sia sottoposta al controllo politico del Parlamento e dei Governi dell'Unione europea.

Sul tavolino delle firme troverete anche alcune copie del libro di Alex Michalos "Un'imposta giusta: la Tobin tax", curato da Mani Tese e edito dal Gruppo Abele. Concludo con una frase di Michalos, tratta dal suo testo:

"Già da qualche anno, c'è qualcuno che ogni giorno ci ricorda che siamo entrati nell'era della globalizzazione. Sebbene ancora non sia chiaro che cosa ciò significhi, nessuno dubita che, nel XXI secolo, le persone che vivono nelle diverse parti del mondo saranno più interdipendenti di quanto lo fossero mai state nei secoli precedenti. Prima o poi, gli uomini capiranno che, alla fine, la bruta competizione darwiniana dovrà cedere il passo a una cooperazione straordinaria per conseguire l'obiettivo comune di una qualità della vita sostenibile per tutti gli abitanti del pianeta. Quando quel giorno arriverà, sarà consolante sapere che alcuni tipi di imposte sulle transazioni finanziarie possono aiutare a fornire i mezzi per finanziare molte delle iniziative e istituzioni, che saranno necessarie in quel mondo più perfetto".

 

 

Telelavoro
Per discutere con noi e tutti voi, sono intorno a questo tavolo molti dei protagonisti, di ieri e di oggi, dell'iniziativa legislativa sul telelavoro. Sono presenze importanti e significative che conferiscono a questo incontro una valenza forte, ne fanno una sede di dibattito rilevante per gli sviluppi che a breve la legge sul telelavoro avrà. E' presente il senatore De Luca, che ha lavorato, con profitto, sulle diverse proposte di legge presentate ed è arrivato alla stesura del Testo Unificato che costituirà la base della futura, e speriamo vicina, discussione in Commissione. Con lui, per suggerire proposte e/o modifiche a quel testo, abbiamo tutti i soggetti che hanno lavorato intorno al progetto poi presentato dai senatori Cortiana e Duva: gli stessi senatori, il senatore Pizzinato e "l'Associazione AI Sole", il professor Scarpelli e Mauro Boracchia per l'Ufficio Legale della C.d.L. di Milano, Giovanni Talpone per la RSU IBM ed infine l'onorevole Tedeschi, Presidente del CEIIL, un'associazione che ha lavorato e discusso intorno allo stesso tema e quindi portatore di un'analoga esperienza di riflessione e proposta. Così tanti, e diversi, interlocutori non solo qualificano con la loro presenza questa iniziativa, ma sono sicuramente in grado di rendere utile la nostra discussione per lo scopo per cui l'abbiamo promossa e cioè quello di sottoporre a verifica il Testo Unificato, suggerire emendamenti, e comunque dare al Senatore De Luca ulteriori elementi di riflessione per la successiva discussione parlamentare.

Bisogna partire da una duplice consapevolezza: da un lato sapere che il Telelavoro, inteso qui in senso lato, sta crescendo numericamente e quindi produce modifiche sempre più rilevanti nella organizzazione del lavoro e delle imprese così come nei comportamenti e nel ruolo dei lavoratori e delle lavoratrici. Dall'altro lato è necessaria una legge, ovviamente una buona legge, in tempi dati, i più brevi possibili, se vogliamo avere la possibilità di un intervento, a fianco ed a sostegno di quello strettamente sindacale, per la tutela delle condizioni di lavoro e dei diritti dei telelavoratori e delle telelavoratorici. Dobbiamo sentire anche l'urgenza dei tempi come un elemento connaturato alle cose da fare. Questa urgenza è necessaria proprio per la contraddizione evidente tra sviluppo del Telelavoro, ad opera prevalente se non esclusiva delle aziende, e situazione contrattuale. Attenzione, non manca la riflessione e l'esperienza sui problemi che l'applicazione del Telelavoro solleva ai lavoratori e alle lavoratrici: ci sono dibattiti, libri, articoli che testimoniano la profondità e vastità di queste riflessioni. Quella che invece è in ritardo è la traduzione contrattuale di quelle riflessioni, l'individuazione dei punti sindacali sui quali articolare la proposta e l'eventuale accordo. La tutela dei telelavoratori è affidata a pochi accordi aziendali (Bull, Telecom, Italtel, ecc.) e ad un numero ancora più ridotto di contratti nazionali: i metalmeccanici, che stanno rinnovando il loro CCNL, chiedono la costituzione di un'apposita commissione che, nell'arco di due anni, definisca i contenuti e il testo contrattuale. Mi pare evidente che la soluzione proposta è funzionale a far partire la discussione dopo l'approvazione, almeno in un ramo del Parlamento, della legge, Una buona legge che definisca alcuni diritti ed affermi la difesa e la tutela dei diritti individuali, collettivi e sindacali è dunque, nelle condizioni date, la strada anche per consentire la contrattazione delle condizioni di lavoro e contrattuali. Non si tratta di fare paragoni storici avventati, ma credo che se riflettiamo sul ruolo svolto dalla legge 300 agli inizi degli anni '70, possiamo pensare ad un ruolo analogo, con le debite proporzioni, per la legge sul telelavoro. Questa legge, per i suoi contenuti, non ha sollevato fino ad ora le obiezioni di principio e gli ostacoli che ha sollevato quella sulla riduzione d'orario. Occorre essere egualmente attenti, perché, come dimostra l'iter della legge sulla rappresentanza, quando si arriva a discutere di certi contenuti possono anche farsi avanti proposte di cancellazione dell'intera legge pur di non rinunciare o affermare questo o quell'altro tema.

Detto questo mi pare utile però che la nostra discussione si concentri sul merito del Testo Unificato che tra poco il sen. De Luca illustrerà per grandi linee. Io voglio solo sollevare, in premessa, un paio di considerazioni. La prima riguarda il fatto che per questi lavoratori e lavoratrici non è definito il cosiddetto diritto alla socialità, cioè la possibilità e il dovere di andare nella sede dell'azienda per cui lavorano, dove presumibilmente hanno un ufficio, una scrivania e dei colleghi, per comunicare, relazionarsi, informarsi di persona sui fatti aziendali e/o il lavoro. Lo strumento informatico, che indubbiamente consente collegamenti rapidi e continui, non è comunque in grado di sostituire il rapporto personale, la comunicazione che si sviluppa tra persone che si parlano, dialogano in prima persona. Il confronto con altre situazioni è un momento di crescita, non una inutile perdita di tempo, perché significa scambiarsi esperienze, crescere professionalmente e nella consapevolezza del proprio ruolo e della propria collocazione. Credo che sia sbagliato pensare che l'isolamento, che nasce dalla collocazione lavorativa, sia più produttivo; certo nell'immediato avviene che il telelavoratore lavori più tempo degli altri, e spesso anche in orari solo formalmente scelti, ma è la relazione con gli altri colleghi che consente uno sviluppo della professionalità e della qualità del lavoro che è sicuramente un indice che va perseguito. In quest'ottica penso che il diritto di partecipare alle assemblee, e non solo di poter essere messi in contatto con le informazioni via telematica, debba essere sancito.

La seconda considerazione che voglio fare riguarda il tema del controllo, controllo non solo sull'orario o sulla quantità di lavoro, ma anche sulle modalità con cui viene fatto. Conosciamo le possibilità che i programmi informatici consentono, e siamo consapevoli delle difficoltà che il movimento sindacale ha sempre avuto nel definire gli ambiti del controllo sui lavoratori. Proprio la RSU dell'IBM è stata protagonista nel passato di una iniziativa per la corretta lettura e applicazione dell'articolo 4 dello Statuto, ma proprio per questo intorno al tema del controllo occorre una legislazione precisa e puntuale che eviti gli abusi ai quali troppo spesso si fa ricorso in assenza di vincoli o limiti precisi.

Come vedete sono due temi di forte impronta sindacale, che attengono ovviamente all'esperienza che sto realizzando nella categoria dei metalmeccanici, ma credo che siano temi altrettanto significativi, nella loro valenza generale, per i lavoratori e le lavoratrici così come per le RSU ed il loro rapporto con le condizioni e l'organizzazione del lavoro. Sono convinto che il dibattito che seguirà alla relazione del senatore De Luca darà ulteriori indicazioni per il proseguimento dell'iter parlamentare della legge e mi auguro che presto si possa avere a disposizione questo strumento utile per i lavoratori, e per i nuovi lavori, che vogliamo rappresentare.

 

 

Milano ovvero il laboratorio della 'nuova destra'

Milano capitale della destra? Dopo gli anni di Craxi e della Lega, la città sembra essersi trasformata in un laboratorio politico dove cerca di prendere corpo il progetto di una nuova destra, radicale ma di massa. L'incubazione è stata lunga, ma dagli anni della sconfitta operaia all'affermazione di Formentini prima e di Albertini poi, Milano ha progressivamente assunto questa immagine di luogo della sperimentazione per la crescita della destra italiana, che per la prima volta fa davvero i conti con la modernità. In questo quadro è di grande rilievo l'attività svolta dall'Assessorato alla Cultura della Regione Lombardia, trasformatosi rapidamente in una fucina per la ricerca di linguaggi e sperimentazioni per tutta quest'area. Il progetto dell'Assessore di Alleanza Nazionale Marzio Tremaglia è quello di offrire da un lato un pubblico crescente alla vecchie proposte culturali della destra neofascista: l'eterno ritorno dei reduci di Salò, il tradizionalismo evoliano, la dottrina del cattolicesimo più intransigente e oscurantista. Dall'altro quello di far incontrare le diverse anime del mondo politico e culturale di quella vasta area che, nella crisi italiana degli ultimi anni, può andare sotto il nome di destra. In questo Tremaglia cerca di dare una sponda di riflessione culturale allo sforzo di aggregazione svolto da Fini sul piano politico: ridare cittadinanza a una cultura politica che nel nostro paese rimane intimamente legata all'esperienza del fascismo, sia esso il regime di Mussolini che il suo tragico epilogo di Salò. Naturalmente il percorso si svolge anche attraverso un sostegno materiale, finanziario e di immagine, al circuito dell'editoria dell'estrema destra, l'ambiente che in tutti questi anni ha cercato di costruire anche una riflessione culturale per un'area politica, specie quella missina, che degli intellettuali non sapeva proprio cosa farsene. L'irruzione del progetto "finiano" di rilancio e trasformazione della presenza della destra nel nostro paese, che va letto più in una sfida interna a questo stesso ambiente per anni autoghettizzato nel limbo della nostalgia che in una vera maturazione democratica, si nutre anche di questo attivismo sul piano culturale della Regione Lombardia. Al punto che si potrebbe arrivare a mettere in relazione li caso di Milano con quello di Orange, e delle altre città del sud della Francia amministrate dal Front National, dove è stato proprio il campo della cultura quello su cui hanno speso i maggiori sforzi le nuove équipe municipali legate a Jean Marie Le Pen. Come ha spiegato Roger Martin, scrittore e militante antifascista, «il Front ha cercato di fare di queste città un vero laboratorio culturale, i cui risultati fossero poi proiettabili in prospettiva sull'intero piano nazionale, in tutta la Francia». L'esempio francese mostra quanto grande possa essere l'interesse dei gruppi politici della destra a rivendicare una propria cultura, e una forte visibilità per quest'ultima, anche fuori dagli schemi tradizionali del neofascismo testimoniale. Anzi, la costruzione di una sorta di "revisionismo storico di massa" sul fondo del quale si muove la nuova creatura "postfascista" di Alleanza Nazionale, si alimenta principalmente di questo tipo di sforzi. Rispondendo così, da destra, alla tesi di Luciano Violante sull'edificazione di una "memoria condivisa" del paese che cancelli definitivamente ogni riferimento all'antifascismo e al conflitto sociale. A Milano, il 1998 ha offerto una prova concreta di cosa significhi questo disegno. Incontri, dibattiti, convegni hanno più volte messo a confronto le diverse anime della destra radicale italiana con il supporto sostanziale dell'Assessorato Regionale alla Cultura della Lombardia. Certo, l'evento che più ha attirato l'attenzione di giornali e antifascisti è stato il convegno organizzato per celebrare il centenario della nascita di Julius Evola, il filosofo tradizionalista che più ha segnato le generazioni del neofascismo italiano perlomeno fino alla fine degli anni settanta. Vedere che una amministrazione pubblica finanziava un incontro dedicato all'uomo le cui idee sono state lungamente considerate come ispiratrici della stessa Strategia della Tensione, è sembrato assolutamente insostenibile per molti democratici milanesi. Ancora peggio, quando si è saputo che la gestione della segreteria e le pubblicazioni relative al convegno erano state affidate alla 'Libreria del Fantastico' e al gruppo milanese della rivista di estrema destra Orion. Ma, in realtà, oltre alla celebrazione evoliana, molti altri appuntamenti avevano visto convergere l'area della destra extraistituzionale e quella invece rappresentata nelle amministrazioni pubbliche. Si era trattato di incontri nostalgici dedicati alla memoria dei reduci di Salò, piuttosto che a quella che a destra viene chiamata "la questione maschile", la presunta crisi del rapporto gerarchico tra i generi nella famiglia come nella società. O ancora, della presentazione di libri, ad esempio nell'ambito del "Liber expo" svoltosi a Novegro alla fine di marzo dello scorso anno, con la partecipazione di molte case editrici legate alla destra radicale. Insomma, ben più di un singolo episodio, per quanto allarmante già in sé: una vera strategia della comunicazione, tesa a legittimare pienamente tutto l'arcipelago culturale della destra politica. Non a caso, la tappa forse più significativa di tutto questo progetto, si è raggiunta per il momento con il convegno svoltosi a Milano il 29, 30 e 31 maggio 1998. Ancora una volta su impulso dell'assessore Tremaglia, e con il titolo di "Destra/Destre-Le culture non conformiste nell'era del pensiero unico", l'incontro tendeva a mettere in relazione tutte le famiglie politiche della destra, dalle componenti più radicali fino a quelle ormai stabilmente insediatesi negli apparati istituzionali. Quale progetto fosse alla base di questo incontro "ricompositivo" dell'area ex neofascista, era chiarito in modo esemplare da una lettera inviata da uno degli organizzatori, Renato Besana - un passato in Comunione e Liberazione - a Maurizio Murelli- condannato per la morte dell'agente di polizia Antonio Marino ucciso da una bomba a mano lanciata durante un corteo missino il 12 aprile del 1973 a Milano, e fondatore della rivista Orion. Il testo della lettera è stato pubblicato sul numero dello scorso giugno della rivista dell'ultra destra milanese. Rispondendo alle critiche di Murelli, per la mancata convocazione del suo gruppo, come di altri, Besana spiegava: «Si è trattato solo del primo tempo, con qualche inevitabile lacuna, di un lavoro culturale che riveste i caratteri della necessità e dell'urgenza. Culturale, appunto: per cui, citando le realtà che tu stesso hai elencato, i rappresentanti di Forza Nuova, della Fiamma Tricolore, degli Skin, del Fronte Nazionale di Tilgher e di quello di Freda, come tali - cioè come forte politiche organizzate- non potevano esserci. Ci saranno, nei prossimi appuntamenti, coloro che ne rappresentano l'anima culturale; e ci sanno insieme ad altri, che nutrono opinioni contrastanti . L'intenzione, anzi la volontà, è infatti quella di dare vita a un "forum permanente delle culture non conformiste contro il pensiero unico" e organizzare un grande convegno annuale, preceduto e seguito da iniziative più agili, dedicate a temi specifici, e che dovrebbero di volta in volta svolgersi in città diverse. Riunire tutte le voci libere, rispettando identità e differenze, senza dimenticare nessuno». Così, per il primo incontro sono passati in rassegna i soliti giornalisti, storici e militanti legati più direttamente all'esperienza di An, dallo storico del Medioevo Franco Cardini, che può vantare un passato come dirigente missino a Firenze, a Marcello de Angelis, approdato al mensile finiano Area, dopo i trascorsi alla testa dell'organizzazione Terza Posizione per i quali è anche stato condannato a sei anni di carcere, ... ma per il futuro... come dice Besana nessuno sarà dimenticato. In attesa di altri segnali del genere, intanto a Milano può però già andare il triste primato di capitale culturale della desta italiana.