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In questo numero

 

 

Il ponte della Lombardia  - febbraio 1998 n. 2

Numero speciale "Il tempo sostenibile"

 

 

RELAZIONI

 

Peter KAMMERER

Mario AGOSTINELLI

Wolfgang SACHS

 

INTERVENTI

 

Fiorella GHILARDOTTI

Vincenzo VOLPI

Marina SALAMON

Giancarlo CERRUTI

Andrea POGGIO

Lidia MENAPACE

 

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Il ponte 

della Lombardia

periodico di commento

critica progetto

 

Editore

Comedit 2000

 

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Paolo Pinardi

 

Direttore resp.

Luigi Lusenti

 

Redazione

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Reg. Trib. MI

n. 304 maggio 1992

 

 

 

  WOLFGANG SACHS

Mi sembra che Agostinelli non abbia tralasciato nessuna tematica nella sua introduzione, che mette un po' in alto mare un relatore che segue dopo. Io vorrei cominciare con una storiella, quella mia preferita quando si parla del tempo, storiella che e' presa da un racconto di Henrich Boll che parla di un turista che fa una passeggiata alla spiaggia e incontra un pescatore che e' li' sdraiato accanto alla sua barca e dorme. Il turista tira fuori la sua macchina fotografica, scatta una foto, il pescatore si sveglia, e il turista gli chiede: "Ah! Perche' sei sdraiato li'? Il tempo e' bellissimo, c'e' tanto pesce, perche' non vai a pescare?" "Sai, questa mattina ho gia' pescato abbastanza". "Vedi, tu potresti adesso pescare tre-quattro volte al giorno, potresti fare soldi, dopo un anno potresti comprarti una barca a motore, poi due barche e forse dopo tre-quattro anni tutta una flotta e poi forse un elicottero per seguire meglio i pesci, poi forse un camion per portare tutto questo pesce per la distribuzione alla capitale. E poi... " "E poi?" chiede il pescatore, "potresti prendere tutto il tempo per andare in spiaggia a prendere il sole, l'oceano e' bellissimo". "Ah!", dice il pescatore, "e' proprio quello che stavo facendo quando tu mi hai svegliato scattando la fotografia!". Io lascio cosi' questa storiella, mi sembra che pure nel tempo della compressione del tempo e dello spazio questa storiella abbia ancora qualcosa da dire. Vorrei parlare di cinque aree di discussione e di battaglia negli anni a venire, perche' giustamente Mario ha fatto cenno al fatto che questa compressione dello spazio e del tempo e' un'altra parola per questo grande processo in atto della globalizzazione, che e' molto di piu' di una globalizzazione solo economica. Infatti, come lui ha detto, il tempo perde la sua durata e lo spazio perde la distanza. Posso farvi un esempio. Stento a crederlo, pero' due fonti mi hanno riportato che, dopo le diciotto di sera, gli annunci che vengono fatti dalla Lufhtansa all'altoparlante dell'aeroporto di Taeghel a Berlino vengono pronunciati in California. Vuol dire che l'annunciatore verso sera non e' nell'edificio, neanche a Berlino, e' in California e segue tutti i processi, l'andamento dell'aeroporto attraverso il piccolo schermo e fa gli annunci, per sfruttare cosi' 24 ore su 24. Non devi pagare il compenso di chi lavora di notte per Berlino. Quindi li' c'e' la contemporaneita' e c'e' la sparizione della distanza e la sparizione della durata. Nell'ombra di questa nuova era, che puo' solo essere comparata a quella di quando siamo andati dalle economie locali alle economie nazionali, adesso si va dalle economie nazionali a un'economia transnazionale, quindi l'idea che la societa' sia un contenitore mi sembra stia scomparendo, la societa' non e' il contenitore, che e' ben delimitato. In questo contesto vorrei utilizzare alcune delle tematiche sviluppate nel mio libro, dando un po' il filo conduttore, chiedendomi quali sarebbero le arene di discussione, quali sarebbero anche i lati deboli della globalizzazione, della globalizzazione economica in primo luogo e anche di quella culturale. Mi focalizzo sui lati deboli perche' non dimentichiate mai che, oggi come oggi, coloro che sono piu' nervosi dei sindacalisti sono i capitalisti. Quindi attenzione, la globalizzazione e' un'avventura ad altissimo rischio per qualsiasi imprenditore, per qualsiasi investitore; esistono incertezze, lati deboli o, se volete, questi lati deboli possono essere trasformati in zone contestate, in territori di conflitti: per questo voglio focalizzare cinque domande che i capitalisti devono porsi, domande sulle quali noi poi, se volete, potremo intervenire facendo presente una concezione diversa della societa' e del progresso. Faccio queste cinque domande delle quali la prima e': per ciascun imprenditore, come vincere? La seconda domanda: cosa fare con i perdenti? La terza domanda: come entrare nel territorio? La quarta: come mantenere accelerata la gente? La quinta: come assicurare un volume crescente di domanda? Io vorrei parlare di queste cinque "zone contestate". La prima: come vincere? In questa era di globalizzazione, visto che ci sono molti piu' competitori, la domanda "con quale ricetta puoi vincere sul mercato" e' una domanda molto grande. Tutto diventa piu' flessibile sotto l'imperativo di cambiamento; qual e' la prospettiva di innovazione in un mondo di incertezza? Su quale cavallo scommettere? E li' c'e' oggi, piu' che nel passato, un discorso su cosa fare anche nell'azienda, quali prodotti, quali innovazioni per quali bisogni proporre. E li', come voi sapete, quello che e' importante per me che sono ambientalista - e forse anche per un dibattito e una controversia - e' che i vari limiti della biosfera saranno sempre piu' condizione-guida dei processi di domani. Quindi un punto di entrata e' come sara' possibile premere, fare dell'ecologia una dimensione integrale della produzione. Per fare questo pero' certo bisogna abbandonare questa utopia del diciannovesimo secolo, che diceva che la produzione puo' sempre contare sulla generosita' della natura, sull'abbondanza quasi infinita della natura. E cosi' si e' messo in moto negli ultimi cento anni un progresso tecnico che ha messo tutta l'enfasi sull'aumento della produttivita' del lavoro, dimenticando il fatto che tanta di questa produttivita' si e' guadagnata dal danneggiamento della natura, quindi alle spese della stessa. Questa utopia dell'abbondanza della natura oggi e' crollata con la famosa situazione econologica, cosi' l'utopia cambia colore e la domanda, quando si discute del futuro dei prodotti e dei processi, e': "e' possibile dare un indirizzo diverso al progresso tecnologico"? Certo che e' possibile, bisogna cambiare questa logica della produttivita', mettere meno enfasi sull'aumento della produttivita' di lavoro, e metterne molta di piu' sull'aumento della produttivita' della natura, su una maggiore efficienza, che vuol dire in modo molto piu' convenzionale disegnare tecnologie che utilizzino meno energia e meno materiali per unita' di output. Come si puo' ricavare piu' benessere da un litro di petrolio, da una tonnellata di rame? In altri termini, non sarebbe meglio avere un progresso tecnologico che licenzia migliaia di tonnellate di acqua, migliaia di tonnellate di rame invece che migliaia di persone? Un progresso tecnologico che punta molto piu' sulla ecoefficienza? Per questo ci vuole certo anche una nuova visione imprenditoriale, ci vogliono anche dei parametri come ecotasse, pero' di questo adesso non ne parlo. Volevo scendere maggiormente nei dettagli ed evidenziare tre linee sulle quali si puo' andare avanti in questa ricerca di una maggiore ecoefficienza. - La prima linea e' la produzione di materiali che siano biodegradabili. Alcuni istituti di ricerca oggi sostengono che e' fattibile la produzione di tanti prodotti del nostro uso quotidiano sulla base di materiali biodegradabili. E' proprio necessario che nelle suole delle scarpe ci siano materiali pesanti? O per le fibre tessili; mi ricordo che una volta sono stato a una presentazione dove in una discussione del genere il relatore aveva un pezzo di stoffa per il divano e ha cominciato a mangiare questo pezzo di stoffa per dimostrare che il materiale proveniva da risorse biologiche. Per dare un altro esempio sei mesi fa Greenpeace in Inghilterra ha fatto un contratto con una grande banca inglese per l'introduzione della carta di credito biodegradabile fatta di un materiale plastico ottenuto dalla biomassa e che quindi puo' ritornare alla terra. Cosi' vale per tanti prodotti, forse non in un immediato futuro, ma la strada e' senz'altro percorribile. - La seconda strada per procedere e' una strada un po' diversa; riguarda i prodotti durevoli, non quelli d'uso quotidiano; parliamo della macchina, della lavatrice, del computer. Qual ' e' l'imperativo centrale? Certo e' la durevolezza. Allora come e' possibile fare prodotti che durino a lungo, che siano costruiti in modo da poter essere smontati, che abbiano dei moduli interscambiabili? Cio' e' possibile attraverso l'introduzione di un nuovo principio, quello della responsabilita' sistemica. Vuol dire che il prodotto - ad esempio un frigorifero - non esce mai dalla proprieta' del producente. Quando io vado in un negozio per comprare un frigorifero, l'affitto o faccio un leasing del frigorifero e non lo compro, la proprieta' non diventa mia. Perche'? Il motivo e' chiaro? In tal modo, dopo dieci anni, quando voglio liberarmi del mio frigorifero, questo viene restituito alla casa di produzione e non viene gettato o abbandonato, come e' in uso in qualche paese. Ci sono gia' esempi di questo genere; mi sembra, questo, un principio importantissimo per cambiare a monte il disegno dei prodotti. - La terza strada da seguire e' quella che in generale si puo' mettere sotto il titolo Dal prodotto al servizio; molto spesso invece di produrre qualcosa, qualche artefatto, e' meglio chiedersi quale servizio vuole la gente. Voi conoscete questa discussione sull'energia, la gente non vuole l'energia nucleare, la gente vuole riscaldare il caffe', qual e' il metodo migliore per riscaldare il caffe'? Questo e' il problema, non vendere elettricita'. La Ranx Xerox, per fare un esempio, e' incentivata a vendere macchine fotocopiatrici che durano, perche' loro non guadagnano vendendo tante macchine, mettono un servizio che e' attento alla manutenzione delle macchine e poi sono incentivati a fare un re-engineering delle macchine dopo che sono usate. Quindi spostare l'attenzione dalla espansione dell'offerta al servizio, cambia il mondo degli artefatti, cambia il mondo della produzione. Queste sono tre grandi strade: biodegradabilita', responsabilita' sistemica, prodotti-servizi, su cui si puo' mandare avanti la discussione su quale cavallo scommettere, cosa saranno i prodotti e i processi di domani. Procedo con la mia seconda arena di discussione, e questo lo faccio in modo un po' piu' sintetico. Il lato debole per la globalizzazione riguarda senz'altro cosa fare con i perdenti. Mai dimenticare che la globalizzazione e' un gioco per individuare i vincitori, cosi' per definizione ci saranno un sacco di perdenti. E' anche chiaro che la globalizzazione significa che abbiamo bisogno di sempre meno gente per produrre la ricchezza della societa', in un certo senso crescera' il numero della gente superflua, pero' un'azienda puo' permettersi di avere gente superflua, perche' puo' licenziarla. Una societa' non puo' permetterselo, non puo' permettersi di avere gente superflua, perche' questo a medio termine creera' un sacco di problemi. Quindi da questo punto di vista come voi sapete bene, sorgono queste domande che voi avete discusso sulle 35 ore e cosi' via; e' chiaro che non avremo mai piu' la piena occupazione, anzi, e' anche chiaro che non abbiamo mai avuto la piena occupazione, perche' la piena occupazione era sempre solo maschile e la meta' del mondo era sempre esclusa. Quindi oggi si sovrappongono queste due cose; la societa' non offre piu' lavoro e molte piu' persone, incluse le donne, chiedono lavoro e da qui l'insorgenza di difficolta'. Si puo' rispondere solo come voi dite sempre: certo ridurre il lavoro per ciascuno per distribuire il lavoro a tutti e' il principio importantissimo. A che scopo, pero'? Per ridefinire e ripensare le attivita' utili nella societa'. Diventa di nuovo visibile che il lavoro remunerato non e' il solo tipo di attivita' utile che c'e', ci sono almeno tre compartimenti di attivita'; da un lato c'e' il lavoro retribuito, poi c'e' l'attivita' di sussistenza, di autoproduzione, infine c'e' l'impegno civile. Nell'ambito di queste tre sfere di attivita' utile, se uno parla di una redistribuzione del lavoro remunerato, significa dare piu' spazio a questi altri tipi di lavoro,e quindi una distribuzione piu' equa del lavoro remunerato. E' anche chiaro poi che se non tutti possono avere lavoro sorge un altro problema: finora la distribuzione della ricchezza e' stata fatta mediante l'occupazione. Quindi se non tutti hanno piu' occupazione, uno deve inventarsi altre forme di ricchezza, e qui c'entra anche la discussione sul reddito di base garantito. Si apre di conseguenza la discussione su come organizzare e reinventare anche il tempo fuori dal lavoro remunerato, i discorsi sulle banche del tempo, su nuove forme di scambio e cosi' via. Io vorrei solo dire che in questa prospettiva oggi c'e' la possibilita' di congiungere l'utile al necessario; c'e' oggi la necessita' della flessibilizzazione da parte del capitale, questo e' chiaro. E' possibile raggiungere questa necessita' con l'utile, vuol dire desiderio di tanti per una maggiore sovranita' sul tempo da parte di individui. Questo mi sembra oggi l'altro grande punto di intervento. Vengo alla mia terza zona contestata: come entrare nei territori. E' vero, come ha detto Mario Agostinelli, che questa riorganizzazione del tempo e dello spazio rende vagabondo il capitale; ma questo capitale vagabondo che circola, ad un certo punto deve atterrare. Ecco, ci siamo noi sul territorio. Non c'e' dubbio che anche il capitale vagabondo deve cercare un porto, deve insediarsi, deve fare delle cose, deve fare una produzione o deve anche vendere le cose, quindi deve localizzarsi. Certo i luoghi sono posti della gente, sono posti della vita quotidiana, i territori sono i posti dove spuntano i conflitti, perche' poi certo si apre la domanda: "a quali condizioni"? Come e' possibile che il capitale vagabondo si insedi con le sue esigenze nel mio territorio? Tanti conflitti sociali che oggi ci sono dappertutto nel mondo possono essere letti in questa chiave.In questa ottica mi sembra anche interessante tutta la discussione su quanto aperta deve essere una regione per il mercato mondiale, per quanto dipendente o indipendente dal mercato mondiale. Mi sembra che oggi si sospetti sempre piu' che l'economia planetaria non e' piu' un'utopia incontestata, mostra sempre piu' i suoi lati oscuri. Questo e' chiaro per due motivi: la democrazia e l'ecologia. Per la democrazia e' tutto vero, si deve sempre dire in Padania che e' vero, la democrazia puo' essere soffocata attraverso l'auto-isolamento, attraverso la fortezza; pero' d'altro canto e' anche vero che la democrazia puo' essere soffiata via attraverso troppa autoesposizione, attraverso una societa' che diventa nuda e senza protezione verso le forze dell'esterno. La sovranita' e' democrazia e democrazia vuol dire gestire le cose nostre, la democrazia richiede uno spazio di sovranita', altrimenti l'idea delle cose nostre perde senso. In questo senso certo la globalizzazione e' in grande contrapposizione all'idea della democrazia; visto che il pianeta non puo' diventare la polis, se vogliamo mantenerla dobbiamo inventarci qualcosa. Quello che pero' e' piu' importante secondo me e' l'ecologia. E' chiaro che maggiori interconnessioni significano trasporti, trasporti, trasporti. Se le distanze tra produttore e consumatore crescono (scarpe dal Taiwan, fiori dal Kenya), e' chiaro che i trasporti crescono; anzi si puo' dire che tanti dei guadagni della produttivita' delle nuove tecnologie vengono fatte spostando le cose dall'interno dell'azienda all'esterno di essa. Per questo anche lo spazio virtuale e il tempo reale richiedono poi un trasporto fisico delle cose, sia di persone che di beni. Quindi cosi' non e' un caso che per esempio produzioni just in time hanno portato a un aumento di traffico dappertutto in Europa, che in un certo senso il management porta al fact transportation. Quindi cosi' il guadagno di tempo e' apparente, e' una redistribuzione del tempo, in un certo senso va fatto alle spalle del territorio, alle spalle di quello che poi devono muovere. Anche il territorio e' sottoposto sempre piu' all'imperativo di diventare permeabile, transitabile. Pensate al ponte sullo Stretto, alle gallerie della Svizzera o sul Brennero, alle autostrade che devono essere prolungate, al tunnel sotto la Manica e cosi' via. E' la pressione a rendere transitabile lo spazio, lo spazio e il territorio, che e' pero' uno spazio di vita, dove la gente vive, pero' e' sempre sottoposto alla presunzione di trasformarsi in uno spazio di transizione. E' chiaro che anche dal punto di vista ecologico diventa importante far prevalere contro questa visione l'idea di un'economia piu' regionalizzata. Comunque credo che la scala geografica delle operazioni economiche diventi sempre piu' una tematica importante. Gia' oggi le imprese locali, piccole e medie, sono superiori nella creazione di lavoro, nella prestazione di qualita' di servizi, sono superiori per quanto riguarda la restituzione dei crediti e cosi' via. E aggiungerei dell'altro: a lungo termine e' chiaro che il livello regionale, per esempio, e' molto importante per creare un'economia di manutenzione e riparazione, per mantenere e riparare i beni che devono durare a lungo, pensate al principio della responsabilita' sistemica di cui ho parlato prima. Certo e' necessaria un'industria di servizio di manutenzione e di riparazione locale e regionale, perche' questa industria deve essere vicina al consumatore. In una prospettiva piu' lunga, un'economia solare potrebbe per forza essere un'economia regionalizzata. Perche'? Per un motivo semplice: i fondi dell'energia solare sono dappertutto, il sole cade in modo molto diffuso, non in modo concentrato, quindi vale la pena di raccogliere il sole in modo disperso e utilizzare questa energia in modo molto decentralizzato, per la natura intrinseca di questa fonte energetica. Lo stesso principio vale per la biomassa. La biomassa e' una delle grandi risorse del futuro, non e' concentrata come il carbone, anzi e' diffusa attraverso il territorio, quindi vale la pena di raccoglierla e poi di utilizzarla in modo diffuso, perche' non vale la pena trasportarne delle tonnellate. La prospettiva dell'utilizzo dell'energia solare nel futuro mi sembra che stia prefigurandosi come nuova forza di un'economia regionale, l'idea di un'economia confederata potrebbe guadagnare anche terreno. Questo mi porta alla quarta arena di discussione sulla globalizzazione: come mantenere la gente accelerata. Se uno vuole portare avanti una tendenza sovversiva e' importante rompere con questa utopia che le velocita' piu' elevate sono sempre preferibili alle velocita' contenute. Per cento-centocinquant'anni abbiamo cercato di avanzare il piu' possibile nel piu' breve tempo, e cosi' si e' creata una societa' irrequieta, destinata oggi a fare un nuovo salto. Vorrei offrire alcune osservazioni che potrebbero man mano diminuire questo entusiasmo per la velocita', portando avanti un certo sentimento sovversivo che anche la lentezza potrebbe avere qualche pregio, che il rallentare potrebbe avere una qualita' interna e questa qualita' del rallentare e' anche un modo per portare la protesta contro la pressione della globalizzazione nella vita quotidiana. Basta guardare le automobili, e' chiaro che le automobili sono la tecnologia quotidiana che ha cercato di incorporare l'ideale della velocita', e cosi' ci vengono offerte macchine con valori di accelerazione e velocita' di punta, come se dovessimo ogni giorno sostenere una gara sulle autostrade. Ma un'auto di fatto trascorre l'80% del suo tempo nel traffico cittadino e le velocita' medie si aggirano attorno a 15-20 km orari! Quindi mettere automobili ad alta prestazione sulle strade di citta' oggi e' altrettanto razionale come tagliare il burro con la motosega. Questa convulsione per la velocita' ci ha dato una flotta automobilistica che e' grottescamente ipermotorizzata, con tutto lo spreco di energia e materiali che ne consegue. Non c'e' bisogno di un'ecologista per capire il divario tra il mezzo e l'uso che ne viene fatto, a parte il fatto che, se l'automobile e' una cosa che deve correre, corre solo un'ora su ventiquattro e quindi diventa piu' chiara l'irrazionalita' intrinseca in queste tecnologie di velocita'. Riprendo un'altra cosa che ha detto Mario: abbiamo fatto le nostre esperienze con le macchine per il risparmio di tempo, anzi ne siamo circondati: l'automobile, il fax, l'e-mail, tutte in un certo senso sono macchine per farci risparmiare tempo; pero' dove e' finito il tempo guadagnato? Siamo alla ricerca del tempo guadagnato, cosa e' successo? Che al contrario oggi ci troviamo in situazioni di nervosismo, di stress continuo. Perche'? Vale la pena prendere ad esempio l'automobile: paradossalmente la gente che possiede una macchina non trascorre meno tempo per la mobilita' e per il trasporto, rispetto a coloro che non la possiedono. Quindi la gente che viaggia in automobile non utilizza meno tempo per gli spostamenti. Cosa e' successo? E' chiaro, quelli che acquistano una macchina viaggiano di piu'; quindi il tempo risparmiato viene tradotto in distanze piu' lunghe. Cosi' noi oggi viaggiamo molto piu' della gente di solo dieci, venti, trent'anni fa, pero' in gran parte per le stesse destinazioni, per gli stessi scopi: lavoro, scuola, medico e cosi' via. La stessa cosa avviene anche con l'e-mail. Voi sapete che l'e-mail oggi e' gia' un grande canale di intasamento e che il Times Magazine aveva una notizia sei mesi fa sull'e-mail che tutti usano, e questo e' il problema. Se uno riceve 50, 80 e-mail al giorno la cosa diventa impossibile, il sistema crolla. E questo succede gia' in California oggi, cosi' adesso la Microsoft offre Intelligent Agents, un software che permette di installare corsie preferenziali per sistemare i messaggi e-mail che arrivano, che vengono smistati su corsie lente e su corsie preferenziali. Quindi oggi si ha sulle "superstrade dell'informazione" lo stesso problema che si aveva prima sulle superstrade vere! Quello che voglio dire e' che noi trasformiamo tutti i risparmi del tempo per nuove distanze, per maggior output e per un maggior numero di attivita'; le ore risparmiate vengono tradotte in nuova crescita, se noi traducessimo le ore risparmiate in meno lavoro, in meno spostamento, in questo senso avremmo una situazione piu' liberata, pero' noi scegliamo di tradurle in nuova crescita. Certo questa accelerazione mostra sempre piu' il suo lato oscuro; oltre a una certa soglia l'accelerazione mostra una tendenza controproducente, si arriva sempre piu' velocemente in luoghi dove poi si resta sempre meno. Tanta energia viene investita in arrivo e in partenza, ma poca in presenza. Quindi l'incontro perde sempre piu' importanza e cio' diventa maggiormente chiaro quando uno e' alla ricerca di una migliore qualita' di vita, alla ricerca di prestare piu' attenzione alla situazione presente, e allora si comincia automaticamente a rallentare, perche' la precisione di dedicarsi a una situazione richiede di seguire i ritmi intrinseci di questa situazione, richiede di dare l'addio all'accelerazione imposta. Ebbene, tutto questo si potrebbe anche tradurre in progetto tecnologico, noi per esempio in questo libro abbiamo proposto una flotta automobilistica solo moderatamente motorizzata, perche' e' chiaro che anche tutta questa accelerazione costa un sacco di energia, con l'accelerazione cresce quasi esponenzialmente il consumo di energia e quindi se uno vuole arrivare a una societa' piu' leggera deve per forza cercare di stabilire un livello intermedio di velocita'. Io credo che l'utopia del prossimo secolo sara' di inventare tecnologie che ci permettano di vivere con eleganza all'interno dei limiti. Questo mi porta al mio ultimo punto: come assicurare un maggior volume di domanda. Anche li' si apre la questione del tempo, perche' - e questo e' il guaio della societa' consumistica - oltre a una certa quantita' gli oggetti diventano ladri di tempo. Come ha raccontato un antropologo sui Navajos, che vivono al sud-ovest negli Stati Uniti, una famiglia navajos possiede in media 236 oggetti, una famiglia tedesca in media ne possiede 10mila. Vanno benissimo 10mila oggetti piccoli e grandi, pero' bisogna scegliere, comprare, disporli, utilizzarli, pulirli, spolverarli, ripararli e cosi' via. Anche gli appuntamenti che abbiamo oggi devono essere presi, concordati, monitorizzati. Sia gli oggetti che gli eventi sono un richiamo al nostro tempo e il nostro tempo, in modo conservatore, ha sempre solo 24 ore! A forza di spingere sempre piu' oggetti e appuntamenti in questo tempo limitato diventiamo nervosi, stressati. Quindi la scarsita' del tempo e' diventata la dea vendicatrice della ricchezza; in altri termini noi si', siamo ricchi di beni, ma poveri di tempo. Questo si puo' anche dire in modo molto piu' preciso, perche' se guardate la soddisfazione che deriva dai beni essa consiste di due cose: c'e' sempre una soddisfazione esterna e una soddisfazione interna. Se voi comprate cose per la cena, poi cucinate e riempite il vostro stomaco, questa e' soddisfazione esterna; se a voi piace mangiare alla maniera turca e fare una cosa conviviale con gli amici, questa e' una soddisfazione immateriale, una soddisfazione interna. Allora cosi' e' sempre, la soddisfazione richiede sempre un'attivita' interna, uno sforzo di coltivare qualcosa, di gustare meglio, di celebrare qualcosa. Qui si apre il dilemma: i tanti beni possono entrare in conflitto con la voglia di una soddisfazione completa. In altri termini la soddisfazione esterna e quella interna non possono essere massimizzate allo stesso tempo. Se volete ottimizzare il vostro consumo, ottimizzare la vostra soddisfazione, dovete per forza limitare la soddisfazione esterna o, in altri termini, la sobrieta' deve diventare un ingrediente necessario per il benessere. Paradossalmente, la capacita' di dire di no, una certa austerita', diventano pre-condizioni per il benessere, altrimenti ci succede come a Horowat, che e' un autore austro-ungherese che ha fatto una battuta - e con questo concludo - dicendo: "Ah! In fondo io sono una persona totalmente diversa, ma non ho mai il tempo di esserlo".