www.ilponte.it

 

In questo numero

 

Il ponte della Lombardia  - dicembre 2000 n. 59 

 

Dario Fo: un patrimonio per la sinistra e la citta'

coordinamento

miracoloamilano

 

Il sindaco nasce dal progetto

Bruno Casati

 

Manifesto per una Milano metropolitana

Valentino Ballabio

 

Milano e la casa in affitto

Alberto Cazzulani

 

Milano salute

Fulvio Aurora

 

Un cantiere sociale per Milano

Lia Bandera

 

Sulla devolution e altre cose

Riccardo Terzi

 

La lega va alle crociate

Guido Caldiron

 

I due viaggi - storie della lotta degli immigrati bresciani

Dino Greco

 

Ci siamo!

a cura di Lella Bellina

 

Sul Danubio

Predrag Matvejevic

 

Lo Stato, la chiesa e il silenzio dei laici

Gian Luigi Falabrino

 

Pio XII e i nazisti

G.L.F.

 

Societa' democratica antiliberista a Cologno Monzese

Donato Salzarulo

 

Trezzo: un’anomala coalizione di sinistra

Luca Rodda 

Fausto Ortelli

 

Jazz & terremoto

Costanzo Ioni

******************

 

Il ponte 

della Lombardia

 

periodico di commento

critica progetto

 

Editore

Comedit 2000

 

Presidente

Paolo Pinardi

 

Direttore resp.

Luigi Lusenti

 

Redazione

L. Bellina, E. Cavicchini

A. Celadin, A. Corbeletti

G. Falabrino, L. Miani

A. Ripamonti, F. Rancati

 

 

Direzione e Amministr.

Via delle Leghe, 5

20127 Milano

Tel. 02/28.22.415

Fax 02/28.22.423

ilponte@galactica.it

 

Reg. Trib. MI

n. 304 maggio 1992

 

 

Dario Fo: un patrimonio per la sinistra e la citta'

La disponibilita' di Dario Fo a candidarsi a  Sindaco di Milano rappresenta  un fatto nuovo che puo' avere effetti positivi  nel dibattito in corso per il governo della citta', in particolar modo per le forze della sinistra e del centro-sinistra.

Nel giugno scorso ci siamo espressi contro la candidatura  a sindaco di Massimo Moratti, sia perche' rappresentava un possibile progetto legato ai poteri forti, sia per sfatare l'ormai diffusa convinzione che solo una figura imprenditoriale, capace di conquistare voti moderati, possa competere per Palazzo Marino. Ed allo stesso tempo abbiamo criticato  la personalizzazione  della politica che quella vicenda esprimeva.

La candidatura di Dario Fo, sebbene emersa al di fuori di un percorso politico condiviso, si caratterizza diversamente, sia per la storia personale dell'uomo,  che per l'impegno politico costante e per le tante battaglie sostenute nei molti anni che lo legano a Milano.

Il nome di Dario Fo, assieme ad altri che noi abbiamo gia' fatto, rappresenta un patrimonio per la sinistra e per tutta la citta'.

Su questioni per noi fondamentali come il ripudio della guerra, la denuncia dei danni della globalizzazione liberista, la difesa dei diritti civili, la lotta contro le devastazioni ambientali, la chiusura del centro di via Corelli, la gestione collettiva dei beni pubblici, abbiamo sempre trovato Dario Fo dalla nostra parte.  Cosi' come ci troviamo a condividere le sue ultime iniziative: il referendum sul traffico a Milano e l'impegno, come Nobel, a fianco dei portatori di handicap.

Non ultima, la statura culturale di Dario Fo, riconosciuta in tutto il mondo e che si e' espressa concretamente nella nostra citta', puo' rappresentare la possibilita' di un grande rilancio culturale per Milano e la sua area metropolitana.

Riteniamo quindi che la candidatura di Dario Fo potrebbe mettere in moto energie e risorse che da molti anni in questa citta' si sono spente.

Noi, comunque, continueremo il nostro rapporto con altre forze e movimenti che in questi mesi si sono impegnati alla ricerca di un programma e di un candidato sindaco all'altezza del bisogno di cambiamento necessario a questa citta'.

Milano, 18 novembre 2000

 

coordinamento miracoloamilano

c/o il ponte della Lombardia

via delle Leghe, 5 - MI

Per adesioni:

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Vittorio Agnoletto, Lia Bandera, Piero Basso, Vittorio Bellavite, Edgardo Bonalumi, Bruno Carchedi, Alberto Dambrogio, Jose' Luiz Del Roio, Milvia Dotti, Giovanna Giorgetti, Teresa Isenburg, Martin Lutero, Luigi Lusenti, Roberto Mapelli, Gianni Meazza, Emilio Molinari, Giovanni Occhi, Paolo Pinardi, Giorgio Riolo, Jose' Luis Tagliaferro, Emanuele Tortoreto, Maurizio Zipponi.

 

 

Il sindaco nasce dal progetto

Ba

Alla Milano di sinistra, antagonista o moderata, che vota o si astiene, non mancano i nomi cui guardare per un candidato/candidata Sindaco per le Amministrative del 2001. E, in effetti, nomi se ne sono fatti tanti. L’ultimo e' quello di Dario Fo. Quel che manca e' un progetto e una politica conseguente. Quella milanese resta tuttora una sinistra “frastornata” che, da un decennio e piu', si manifesta con comportamenti autistici. Ed e' con la ricerca ossessiva del nome che essa prova ad aggirare la crisi delle idee. In verita' anche i nomi possono essere metafora di progetto. Il nome di un candidato industriale -lo si verifico' nel ’97, a sinistra come a destra- puo' annunciare una linea di condotta conseguente, da tenersi sia in campagna elettorale (come fece Fumagalli), come nell’amministrazione (come fa Albertini). Quello di un grande attore come Fo oggi, o di un grande regista come Giorgio Strehler nel 97, annunciano un’apertura laica alla citta'.

Ma, aldila' del nome, esistono donne e uomini - nelle Universita' come nel mondo del lavoro e delle professioni, nella Magistratura come nel campo dell’arte, nelle Associazioni come nei Partiti- che sono portatori di cultura, laica e socialista, cattolica e progressista, abbandonata in questo decennio e piu'. e' questo abbandono che declina la crisi delle idee che i nomi non risolvono. Ma sono, queste donne e questi uomini, i depositari dei valori della Milano della crescita economica e, insieme, delle grandi tensioni civili, della Milano che va dall’antico Sindaco Caldara alla “citta' alta” che reagi' alla strategia della tensione e al terrorismo. Poi vennero gli orrendi traffici del craxismo e Tangentopoli, e fu la Lega ad impadronirsi di Palazzo Marino e poi arrivo' il Polo. Incontrastati. Ma e' a quella cultura abbandonata che bisogna guardare per riscuotersi e riprogettare (con quelle donne e quegli uomini) la citta' del lavoro e del sapere, la citta' aperta e solidale, la Milano antifascista. E ridare voce e cuore alla sinistra, moderata o antagonista che sia, e ai cittadini. Se poi un grande nome si colloca con la grande idea, questa Milano fa un salto in avanti.

Certo, Milano nel frattempo e' cambiata. Le fabbriche, dentro e fuori le mura, se ne sono andate, cosi' i lavoratori che hanno abbandonato la citta', si sono spente le luci dei quartieri e accesi i terminali della enfatizzata new-economy.

Milano oggi e' questo: innovazione spinta e fila per la minestra alla mensa dei frati; citta' mercato immense e luccicanti e il vecchio pensionato che non sa come arrivarci attraversando vie deserte. E Berlusconi che vigila inquietante occhieggiando da enormi manifesti murali.

Bisogna allora guardare a questa citta' cambiata, ma non per lucidarne le contraddizioni con qualche arredo urbano o qualche demagogia pre-elettorale (“adotta un nonno, adotta una via”), ma per dotarla di un progetto strategico di grande spessore, che porti a ripopolare Milano di valori e risorse, un progetto che faccia sognare e inorgoglire i milanesi di tutte le eta' e di tutte le razze, e cancelli la frustrazione che rende cosi' confusa la sinistra.

Si ridia luce alla citta' spenta ed inospitale, la si ripopoli di valori, a partire dal lavoro. La citta' non e' il privilegio di pochi, torni ad essere il patrimonio di tutti.

Perche' invece, mi domando, una parte tuttora importante di questa sinistra si arrovella a ricercare, in qualche mese, l’attraversamento del guado della sua decennale crisi di idee, saltando di volta in volta sulle spalle (in una pericolosa coazione a ripetere) di portatori di idee altrui, figli di un’altra cultura, espressione di un’altra classe e solo perche' sono  ricchi e famosi?

Quel progetto, questo e' il punto, esige che si volti pagina, vuole che la sinistra esca dalla propria crisi culturale, egemonica e anche psicologica, e ricerchi soprattutto in se' stessa.

e' in questo contesto che si collocava la nostra critica alla candidatura Moratti.

 

Lo strumento: con le “Stelline” oltre Moratti

 

Massimo Moratti (il traghettatore) esce di scena, dopo avere bloccato per qualche mese quella sinistra. Ma, mi domando, con Moratti e' uscita di scena anche l’ipotesi della competizione mimata, della fiction politica, che, con lui candidato, si sarebbe determinata con le destre e che era alla base del dissenso, ad esempio, di Rifondazione e non solo di Rifondazione?

La prova e' alle prossime settimane. Dovesse ripresentarsi la politica, che gia' quella candidatura annunciava, si potrebbero determinare elementi di ulteriore demotivazione e rottura. Questo sia chiarissimo.

Ci si riallinei invece ai nastri per l’altra corsa. Perche' oggi, dopo anni di investimenti su nomi (e politiche) sbagliati, si investa sull’ipotesi di un progetto di grande respiro posto a base della corsa per la conquista vera di Palazzo Marino di cui, il voto del 2001, sia la prima tappa. Ma importante e' che, 2001 o 2006, vincano per davvero una sinistra plurale in accezione ampia, la sua cultura e i suoi uomini e donne e non la cultura di un miracolistico traghettatore che dividerebbe la sinistra e aumenterebbe il disagio.

Lanciamo questa ricerca che, oggi, non ha esito predeterminato. Io confido molto nel luogo della ricerca: la novita' delle Stelline e la sua riproposizione. A una condizione: la ricerca e' fattibile se questo contenitore e' capace di assumere le istanze dei diversi appelli apparsi in questi mesi; se e' capace di acquisire, quindi, le idee delle associazioni e parlare alla sinistra che non vota piu'; se rida' ruolo ai partiti, che restano la forma piu' alta della democrazia partecipata. Se, infine, sa cogliere la novita', che non era presente nel ’97: che Rifondazione non e' isolata, che esiste un’altra sinistra che piu' non tollera candidati e politiche pescati in tutt’altra cultura, e che avrebbe costituito nell’insieme (questa Sinistra, da Rifondazione oltre Rifondazione), una possibile alternativa al riproporsi di quella politica con quel candidato. Se Dario Fo resta in campo deve tenere conto del nuovo contesto.

Si elabori allora un progetto e ogni forza misuri la compatibilita' del “suo” progetto (Rifondazione e' pronta) con quello complessivo. E si costruisca una coalizione sul progetto. E si individui una rosa di candidature in cui scegliere il candidato/la candidata - erede o espressione, non importa l’eta', della citta' del fare e del sapere, della citta' aperta e solidale - che guidi la corsa al traguardo della prima tappa, il 2001, e poi guidi l’opposizione, o la Giunta, al traguardo del 2006. Questa e', per noi, la prova della sinistra plurale. Ancora, se Dario Fo resta in campo, assuma questo percorso.

Poi dipende dal progetto. E per progetto intendiamo, dotare di una strategia la citta' metropolitana, pensare alle sue infrastrutture, e nel progetto, ritagliare le cose da fare subito.

Programmando, in ipotesi: 15 anni per la strategia, 10 per le infrastrutture, 5 per le cose da fare subito. Un progetto, un programma, un patto con i cittadini, una sinistra plurale, un Sindaco espressione del tutto. Proviamo? Avanti tutta allora!

 

I tre punti del nostro Progetto

 

La strategia: 15 anni

A Milano manca una strategia. Essa e' citta'-sistema, ma incompiuta, che avanza senza un piano-direttore sorretto da una forte idea pubblica. Se la sinistra non programma ci sara' sempre un Tronchetti Provera o un Romiti che lo faranno. Ma, Milano, e' gia' metropoli delle 6 Universita' attorno alle quali, - questa e' la dichiarazione dell’ipotesi strategica, la mission - puo' crescere la citta' delle scienze, della ricerca e, soprattutto, del lavoro conseguente. Una Milano “software d’Italia”, che si proponga non come consumatrice di prodotti attraverso la new economy, ma come produttrice di qualita', investendo su scienza, ricerca e lavoro: nei trasporti (Arese puo' essere la cittadella dei trasporti); nelle telecomunicazioni (le aree Falck di Sesto possono essere fulcro); nella sanita', come nei nuovi materiali.

Incalzando il credito perche' attragga le imprese che siano interessate al progetto.

Ma ci vuole una sinistra che voli alto, dia fiducia a Milano, superi le sue frustrazioni, recuperi a Milano la filosofia che il vecchio Olivetti adotto' ad Ivrea e, soprattutto, capisca che solo ripopolando Milano di lavoratori - operai, tecnici, ingegneri, di tutte le discipline - questa sinistra puo' avere, strutturalmente e per radicamento sociale, un futuro a Milano.

 

Dotare Milano di infrastrutture. Tempo 10 anni

Le ultime grandi infrastrutture pensate a Milano (metanizzazione e cablatura) risalgono alla meta' degli anni 80. Se pensiamo alla “Milano delle scienze, della ricerca e del lavoro” ebbene la citta' metropolitana deve essere dotata di grandi infrastrutture conseguenti.

Come ad esempio:

Riprogettazione e ammodernamento delle Ferrovie Nord Milano; Prolungamento della MM1 rossa sino a Monza e suo prolungamento a Sud e a Sud Ovest; Completamento del Passante (un 2° passante?); Un progetto traffico, pensato ad Arese, inteso come sistema (tram, metropolitane leggere, parcheggi interni ed esterni, a raso o sottoterra, semaforica intelligente, veicoli ecocompatibili); Un progetto industriale per le energie vettoriate - luce, gas, acqua (e informazioni) - che faccia perno sull’AEM che mantenga il 51% del controllo pubblico e si consorzi con le grandi SpA - ex Municipalizzate del Nord in un sistema RWE italiano. Si dovesse vendere, invece, noi ci opporremmo.; Una destinazione delle aree dismesse a quartieri della “citta' della scienza, della ricerca e del lavoro” con servizi e abitazioni per i lavoratori; Coordinamento delle 6 Universita' sul progetto anche con case per gli studenti italiani e stranieri; Recupero e rilancio delle scuole civiche.

Queste, e altre, le azioni da progettare per “servire” la strategia di lungo periodo.

 

Milano subito: 5 anni

Si deve far capire dal primo passo dove si va e avere idee forti, come ad esempio (questo puo' essere una “carta delle idee” per un programma elettorale, ritagliabile dal progetto):

 

• Milano citta' della “piena occupazione a tempo indeterminato”, rovesciando, sul lavoro di qualita' e il salario di qualita', il “patto per il Lavoro” di Albertini.

• Milano citta' dell’aria pulita, investendo, sulla base del progetto trasporti, sul mezzo pubblico con il “trasporto gratuito per gli anziani”.

• Milano citta' alta della cultura e delle Universita', che coordini la rete dei teatri, ospiti la ricerca culturale oltre la commercializzazione dello spettacolo.

• Milano dei diritti di cittadinanza per tutti (la casa, la cura personale, l’istruzione) con un’agenzia dei diritti, un pronto soccorso urbano.

• Milano che esclude l’esclusione e combatte la cattiveria sociale.

• Milano che partecipa e decentra, e da' un ruolo vero alle 9 zone, costruendo con loro (e' l’idea del “budget partecipato” e della realta' condivisa) i programmi dei quartieri considerandoli citta' nella citta'.

• Milano che mette al centro le periferie sociali e non si limita ad  affidare il ridisegno delle periferie geografiche all’architetto famoso.

- Milano del volontariato.

e' un sogno?

Ebbene si' sogniamo la Milano bella di Stendhal e lottiamo per conquistarla.

 

 

 

Milano e la casa in affitto

L’Agenzia lombarda per il rilancio dell’affitto nata giusto un anno fa dalla volonta' delle centrali cooperative (Agci-LegaCoop Confcooperative) e dei sindacati inquilini (Sicet-Sunia-Uniat) plaude all’iniziativa della Diocesi ed alla profetica quotidiana sensibilita' del Cardinale su un tema, quello della casa in affitto a canoni calmierati, che sta nel Dna dell’Agenzia medesima.

Promuovere cultura dei diritti di cittadinanza memori anche dei doveri, per migliorare il quadro normativo e regolamentare; rivolgersi non solo ai soggetti istituzionali e regionali, ma anche al sistema finanziario, bancario ed assicurativo al fine di favorire ed agevolare gli operatori cooperativi nella realizzazione d’alloggi in affitto; coordinare le risposte e le modalita' d’intervento dei soggetti che concretamente realizzeranno questi alloggi.

Reperire aree a prezzi compatibili, mutui concordati e funzionali all’affitto per tasso, durata e condizioni, agevolazioni fiscali nazionali e locali sono condizioni indispensabili per immettere sul mercato quote espressive d’alloggi in affitto per la domanda sociale e sono il compito che l’Agenzia che presiedo si prefigge.

L’Agenzia candida il Movimento cooperativo, con l’azione di sostegno dei sindacati inquilini, ad assumere questo impegno operativo nella logica di un soggetto giuridico ed economico di natura privatistica quale e' appunto la cooperativa, ma il cui oggetto e scopo sociale persegue finalita' assimilabili a quelle pubbliche nonostante le difficolta' di comprensione da parte di qualche autorevole esponente parlamentare di maggioranza e di opposizione.

La fotografia, gia' peraltro emersa, della domanda di alloggi per l’affitto calmierato aumenta per i seguenti motivi che elenco per slogan:

• Il privato tende a vendere

• Dismissioni massicce del patrimonio pubblico e degli enti previdenziali

• Diminuisce l’offerta aumenta la domanda- aumentano i canoni (7/8% dati Borsa Immobiliare CCIAA - Osmi)

• Piu' di 15.000 famiglie in graduatoria per ottenere un alloggio pubblico a fronte di una disponibilita' annua di circa 2000 alloggi.

• Circa 13.000 sfratti da eseguire.

• Il non decollo dei canoni concordati della Zagatti (si contano sulle dita delle mani) ed il progressivo venir meno degli effetti calmieratori dei contratti equo canone che vanno in scadenza.

Se la sensibilita' a parole e l’incoraggiamento dalle realta' istituzionali ci giungono quotidianamente, va detto che pochi segnali reali di traduzione e riposta a tali problematiche giungono dai livelli istituzionali.

Mi preme, in questa occasione, insistere su  uno degli aspetti del  problema inerente, in modo particolare, il tema delle aree e dei costi relativi  nell’area metropolitana milanese.

Il costo dell’area incide sulla realizzazione di alloggi in Milano per circa il 40% del costo del costruito.

Le grosse volumetrie messe in gioco dopo i Pru  con i programmi Integrati di Intervento (legge 9/99) finalizzate al recupero di aree industriali dismesse non hanno visto, nonostante l’invito ed il sollecito intervento, quel colpo di reni che solo poteva (e puo') contribuire in poco tempo (due/tre anni) ad immettere sul mercato un nuovo stock di alloggi per l’affitto permanente.

Nello specifico, il documento di inquadramento (art 5 LR.9) predisposto dall’amministrazione comunale lo scorso giugno, pur individuando tra gli obiettivi per Milano quello di riportarvi residenza, non ha specificato quale tipo di residenza.

Sempre nel documento, pur riconoscendo all’operatore un incremento di volumetria qualora convenzioni i costi, non ha, decisamente a favore dell’affitto permanente, separato la convenzionata per la proprieta', da quella per l’affitto.

Inutile nasconderci dietro un paravento: qualora una cooperativa entrasse in gioco su un PII in partnership con altri operatori e con la proprieta' dell’area, se l’acquisto dell’area viene fatto ai prezzi di mercato (e vi assicuro che di babbo natale delle immobiliari non ve ne sono!) nessun operatore (Aler o cooperative che siano) sara' nella condizione anche solo di ipotizzare realizzazioni di alloggi per l’affitto calmierato; anche perche' l’affitto puo' essere calmierato nella misura in cui sono calmierati i costi di realizzazione.

Per affittare a canoni accessibili occorre entrare in un sistema di economicita' complessiva: sul tema delle aree va compiuto uno sforzo in piu' nella diversificazione degli indici premiali, non tanto per la convenzionata, quanto sulla cessione di aree al Comune che possa a sua volta cedere in diritto di superficie ad Aler o Cooperative per la realizzazione di alloggi da mantenere permanentemente in affitto.

Insisto sul tema del reperimento delle aree a motivo da una parte del fatto che non vi sono piu' Piani di zona nella citta' di Milano e la 167 in linea di massima non brilla per utilizzo da parte delle amministrazioni comunali; dall’altra perche' la legge lombarda sugli standard avrebbe potuto supplire al tema delle aree finalizzate a pubblica utilita', concedendo all’amministrazione di realizzare alloggi per l’affitto sociale su aree a standard e quindi con incidenza zero del costo dell’area medesima sull’operatore che deve concentrare i suoi sforzi sulla costruzione e sulla gestione, ma tale legge e' stata per la seconda volta rigettata dal Commissario di governo qualche giorno fa.

Ci sono altre considerazioni per esempio relative ai finanziamenti, sulle quali in ogni caso mi trovo totalmente in sintonia con l’intervento di Vallini. Voglio solo rimarcare il fatto che l’intervento a sostegno dei singoli per esempio del fondo per l’affitto previsto dalla Zagatti,  in primis non e' garantito nel tempo ed in secondo luogo portera' ad un incremento dei costi dei canoni a libero mercato a tutto vantaggio delle proprieta'. (aspettare per credere!, e' la semplice  logica di quel mercato che spesso sfugge, forse consapevolmente,  al legislatore!).

Per chiudere questa comunicazione occorre da subito denunciare che oltre al proverbiale serafico atteggiamento delle istituzioni non vi e', soprattutto da parte dei media la sensibilita' che su tale tema si giochi gran parte della riflessione sul welfare almeno per cio' che concerne il nord del paese. Tutto cio' e' grave, pensando anche alla campagna elettorale in corso, poiche' sono proprio i media che determinano le ragioni spesso frivole del confronto elettorale che di programmatico ha ben poco. E purtroppo abbiamo ragione di ritenere che anche il modo con cui si sia aperta questa lunga campagna elettorale non rifugga dai canoni tradizionali della soap opera.

Sara' nostra premura misurare in termini reali con le migliaia di famiglie che rappresentiamo, trasmettendo loro i risultati di tali verifiche, la reale volonta' dei programmi elettorali in particolare per le prossime amministrative della citta' di Milano.

Vorremmo gridare alle istituzioni cosi' come ai media che non puo' sempre e comunque essere il sociale a farsi carico dei problemi prima che diventino emergenze.

La casa in affitto calmierato o sociale e' gia' emergenza a Milano.

La casa potra' diventare occasione di spaventoso conflitto qualora per tempo tutti i soggetti coinvolti non facciano la loro parte smettendola di scaricarsi tra livelli istituzionali le responsabilita' per un gioco politico e di consenso che nulla ha a che fare con i problemi di coloro che si dice di voler tutelare e difendere.

Vorremmo ancora ricordare al pubblico quanto piu' costoso risulti l’intervento sulle emergenze.

Vorremmo inoltre non assistere nuovamente al fatto che di tale tema tutti si occupano solo quando la prefettura per motivi di ordine pubblico sospende gli sfratti o vi e' la tragedia o la minaccia di gesti inconsulti: con il risultato di avere tante dichiarazioni che risultano ai piu' simili al lento e rituale incedere degli sciacalli.

Lavoriamo per costruire quella Milano che forse non sara' grande (non avra' una grande biblioteca, un grande centro congressi, un grande quartiere per la moda, un grande palazzetto per lo sport), ma sicuramente sara' piu' giusta ed equa ed anche piu' europea.

Ed in ogni caso sara' quella citta' che a molti dei presenti fara' dire:

MI PIACE QUESTA MILANO.

 

 

 Un cantiere sociale per Milano

 

In questi anni di “grigiore” della sinistra e' cresciuto a Milano, cosi' come in tutta Italia, un movimento di cittadini, gruppi, associazioni all’interno della cosiddetta societa' civile che, pur muovendosi in modo frammentario, disarticolato e spesso autoreferenziale, pone al centro del suo agire i diritti umani e civili ed i valori etici. Sono quanti si sono ritrovati uniti per dire no alla guerra della Nato in Kosovo, per difendere i diritti dei migranti e dire no ai lager di Via Corelli, quanti si riconoscono nel popolo di Seattle contro le spietate politiche neo-liberiste. L’elenco potrebbe continuare con i movimenti ecologisti, quanti si muovono a difesa degli emarginati, per la difesa del diritto alla salute e alla scuola, ecc…

Principi, istanze, “utopie”, modalita' di immaginarsi una societa' civile e democratica che sono sempre meno accolte dai partiti della sinistra che nella storia degli ultimi anni hanno seguito la via del compromesso perdendo la loro identita' e l’aderenza a quel pezzo di societa' di cui dovevano essere i rappresentanti. La crescita esponenziale del dissenso, della stanchezza al voto e dell’astensionismo pongono il problema, per chi lo vuol cogliere, della crisi di democrazia e di rappresentanza. Lo strappo e' difficilmente ricucibile e non certamente con manovre dell’ultima ora: l’inserimento di un nome all’interno di una lista precostituita, l’aggiunta di un punto al programma.

Anche se minoritario e forse debole questo movimento e' sufficientemente cresciuto maturando esperienze innovative ed originali che non possono e non devono essere ridotte all’interno di logiche e metodologie che ormai hanno fatto il loro tempo.

Il bisogno che si avverte e' quello di un nuovo profondo che rompa con gli schemi sino ad ora utilizzati sia dal punto di vista dei contenuti che dei metodi.

L’appello lanciato da Miracolo a Milano nel mese di giugno scorso va in questo senso: creare uno spazio politico d’incontro e confronto fra le diverse realta' presenti a Milano per un nuovo progetto sulla citta'. Istituire una sorta di “cantiere sociale” per la citta' di Milano: una manifestazione politica di una esigenza, di un bisogno, di una idea per rispondere alla sfida della globalizzazione e per superare l’attuale schizofrenia di comportamenti di fronte ad essa. Un progetto che sia alternativo sia alla resistenza autoescludente di comunita' locali che difendono la propria identita' attraverso la chiusura, la mancanza di innovazione e di relazione (deriva leghista), sia alla competizione sfrenata che snatura e sfrutta senza limiti il proprio patrimonio ambientale, territoriale e umano succube delle regole del mercato mondiale.

L’appuntamento elettorale puo' rappresentare un’occasione importante nell’ottica di avviare un processo, non rappresenta certamente l’obiettivo immediato. Si tratta infatti di ricostruire, a partire dalle realta' esistenti e dalle esperienze maturate, un tessuto culturale, sociale, etico e politico che a Milano e' andato disperso senza riproporre strade precostituite e fallite.

e' fondamentale pero' che la partecipazione, se si vuole, a questo appuntamento avvenga con estrema chiarezza e senza compromessi o “pasticci”. Purtroppo la confusione, sino a rasentare il ridicolo, dal centro-sinistra in questi mesi a Milano ha dimostrato chiaramente, senza bisogno di commenti ulteriori, una “storia” di debolezze ed incapacita' di esprimere e rappresentare l’alternativa per la citta' e non lascia spazio a improvvisati percorsi comuni.

 

 

I due viaggi. Storie della lotta degli immigrati bresciani

 

 

 

Presentato a Brescia, il 10 ottobre,il libro di Massimo Todeschini e Christian Penocchio

La ragione di questo "instant book" e' intuitiva. Abbiamo voluto fissare subito una vicenda di cui coglievamo tutta l'importanza, nella consapevolezza di vivere, di partecipare, di contribuire a produrre un evento, un fatto sociale e politico non transitorio, non riducibile alla storia minore o alla storia locale, ma simbolicamente rivolto e capace di parlare al Paese intero.

L'evento di cui parlo e' l'irruzione, sulla scena sociale, di un soggetto collettivo nuovo, straordinariamente dinamico e vitale, mai prima d'ora organizzato in forma autonoma: il movimento degli immigrati o degli "extracomunitari", come e' diffuso chiamarli quasi per marcare un'estraneita', una lontananza.

Gli immigrati, fino a quel momento nell'ombra, entrano in campo. Sulla scena, in primo piano, vi sono i pakistani, i piu' disperati perche' privi, in massa, di un permesso di soggiorno rivendicato da oltre due anni. A loro si uniscono altri: gli indiani, poi i senegalesi, i marocchini, i tunisini ed altri ancora. Si uniscono, appunto, senza distinzioni di etnia, di colore della pelle, di idioma. E questa volta non  tirano la giacca a nessuno, non mendicano favori, non delegano rappresentanza. La rappresentanza se la danno da se'.  E, soprattutto, rivendicano quelli che ritengono - a loro ragione - essere loro diritti.

Gli immigrati  entrano  in scena con la forza della disperazione, adottando forme di lotta spinte sino all'autolesionismo, lo sciopero della fame, la minaccia concreta di autoannientamento.

Ma presto approdano a forme piu' mature di azione politica. Viene agito un vero conflitto sociale, nel quale si conquistano identita' e visibilita', individuano interlocutori, tessono alleanze, confliggono, mediano con i poteri istituzionali, dalle autorita' municipali alla questura, dai partiti politici e dalle loro rappresentanze parlamentari sino al  Ministero degli interni, al Governo centrale.

Il libro racconta  questa storia, ma anche molto altro. Nelle testimonianze e nelle biografie, nella cronaca di quei primi 45 giorni si trovano gia'  squadernati tutti i temi, non solo le emozioni, che oggi sono al centro della nostra riflessione e della nostra azione politica.

Quello di oggi e' un incontro importante e anche gioioso, ma si sbaglierebbe a pensare che siamo qui per fare una rievocazione festosa, anche se la conquista del permesso di soggiorno per quanti hanno avanzato domanda di regolarizzazione e' ben piu' che una speranza e si apre per loro, finalmente, la possibilita' di una vita non da fantasmi, di uscire da quella condizione di "moderni schiavi", soggetti ad ogni ricatto, cui condanna la vita da clandestini.

L'incontro di oggi pero' e' altro e di piu'.

Noi, oggi, forti di questa esperienza, abbiamo -credo- gli strumenti per aprire fra di noi e con gli immigrati una discussione sul grande tema dell'immigrazione, che e'  poi una discussione su di noi, sul mondo nel quale viviamo e su quello nel quale vogliamo vivere nel futuro.

Apriamo una discussione, nel gruppo dirigente allargato del sindacato e la porteremo  nelle prossime settimane fra i delegati, dentro le fabbriche, dentro gli uffici, in tutti i luoghi di lavoro, nella citta', nei suoi quartieri, nei comuni della provincia.

Lo faremo, innanzitutto, informando e argomentando, con  pazienza, la dove c'e' disinformazione e spopolano i giudizi sommari, ove necessario polemizzando e rintuzzando- con la forza della ragione ma con estrema determinazione - pregiudizi, luoghi comuni, chiusure nel proprio gretto ed egoistico "particulare" che sono ben presenti fra tutti gli strati sociali. Toglieremo ossigeno alla sub-cultura razzista che emana dalla difesa cieca del privilegio, dal rifiuto dell'altro, che si alimenta dalla paura per la diversita' per cio' e per colui che non si conosce e si ritiene ostile e minaccioso. Proveremo a scavare nelle ragioni del senso oscuro di insicurezza che corrompe i legami solidali e spinge verso la paranoia sociale rivolta verso il contiguo piu' debole. Assumiamo questo compito perche' ne cogliamo la portata culturale e il significato decisivi per il futuro della nostra societa' e della nostra democrazia.

Siamo consapevoli dell'arretratezza preoccupante del dibattito culturale in Italia e della presenza di veri e propri elementi di regressione che pesano e condizionano gli atti della politica, sino a paralizzarla, a renderla prigioniera di equivoci, di timori e, talvolta, a renderla protagonista di piccole e grandi vigliaccherie, la' dove occorrerebbero convinzione e coraggio.

Da qui dobbiamo cominciare.

C'e' un aspetto nuovo, nel dibattito sull'immigrazione in Italia.

e' la scoperta- che per palesi ragioni di interesse i padroni hanno fatto per primi- che gli immigrati sono indispensabili alla nostra economia e al nostro benessere. In precedenza era capitato ad altri paesi dell'occidente fare questa scoperta: ora tocca a noi.

e' la scoperta che il nostro e' un paese in decremento demografico, che invecchia. Qui si muore piu' di quanto non si nasca e l'invecchiamento allontana l'investimento industriale, l'allocazione del capitale, come dicono gli economisti. e' - banalmente - la scoperta che molte fabbriche delle nostre valli, molte stalle della pianura non saprebbero come andare avanti senza manodopera immigrata. e' la scoperta che una parte crescente del lavoro domestico, del lavoro di cura degli anziani viene svolto dalle donne uckraine, moldave, polacche, russe che vengono assoldate sul mercato clandestino che si svolge quotidianamente, sotto gli occhi di tutti, nei giardini di via dei Mille, ribattezzati "uckrinskj park", dove le donne straniere, qui tradotte clandestinamente dai paesi d'origine, pagano i loro mediatori per poter lavorare o dove, semplicemente,  si paga l'affitto di un posto sulla panchina.

e' la scoperta che porta l'Associazione industriale bresciana a lanciare l'allarme che mancano 9.000 persone sul mercato del lavoro bresciano, o l'Unione industriale del Veneto a chiedere - non ascoltata - la revisione dei flussi di immigrazione.

Eccola qui la scoperta: gli immigrati ci servono.

Servono a noi, al nostro  benessere. E sono braccia che arrivano gia' pronte per lavorare, che non abbiamo dovuto nutrire, istruire, crescere.

Questa scoperta, se non altro, sbugiarda la leggenda leghista che gli immigrati vengono a rubarci il pane. Ma al centro c'e' sempre l'idea utilitaristica che l'immigrazione si puo' giustificare solo con il nostro interesse, con le nostre esigenze di produzione e di riproduzione sociale. Ma non con il loro diritto.

Quello no, quello non affiora mai, quello e' completamente derubricato e assente.

Parlo del loro diritto di procurarsi una possibilita' in un mondo che non si muove affatto verso la strada dello sviluppo eguale, della crescita armonica, ma dove si allarga drammaticamente, di anno in anno, la forbice fra ricchezza e poverta'; dove interi continenti sono condannati alla deriva; dove all'opulenza e allo spreco abnorme corrisponde lo sterminio di massa per fame, per sete, per malattia; dove l'investimento per aiuti umanitari - e l'esigua parte di esso che giunge effettivamente a destinazione - non supera il volume monetario che l'occidente spende per il consumo di gelati; dove masse sterminate di persone, negli stessi paesi ricchi, si concentrano a ridosso delle metropoli per vivere, letteralmente, dei rifiuti dei ricchi, quando dai rifiuti non vengono addirittura travolti e sommersi come avvenuto a Manila qualche mese fa.

Vengono da questa parte del mondo a cercare una possibilita' di vita dignitosa, un'occasione di riscatto. Hanno compreso che l'interesse dell'occidente per i loro paesi riguarda unicamente il possesso e il controllo di risorse naturali (il petrolio, l'acqua, i minerali del sottosuolo) o l'occupazione di posizioni politicamente e militarmente ritenute strategiche. E non altro. Hanno compreso che l'intermittente appello, "aiutiamoli a casa loro", che si leva dall'occidente ad ogni ondata migratoria trasuda ipocrisia e cattiva coscienza, perche' a "casa loro" si puo' morire - come nel Corno d'Africa - a centinaia di migliaia, senza che lo sguardo del mondo si posi su di loro.

Tutto cio' pone a noi problemi enormi che coinvolgono l'ordine mondiale, il ruolo della politica nell'economia, degli organismi sovranazionali.

C'e' questo all'ordine del giorno perche' la "mondializzazione" non puo' avvenire all'insegna della legge del piu' forte, non puo' pervertirsi nel dominio del mercato, degli interessi degli investitori internazionali sugli esseri umani. E la mobilita' non puo' essere una prerogativa del capitale finanziario e non  anche delle persone.

In ogni caso, ognuno deve esser certo  che il processo migratorio non si fermera'. E che gia' nei prossimi anni, e in modo piu' vistoso nei prossimi due decenni, assisteremo ad un mutamento radicale  della composizione etnica della popolazione che vive in questo nostro paese, in questa nostra citta'.

Lasciatemi poi dire che e' semplicemente grottesco che la pretesa di erigere cordoni sanitari o - peggio - che un sentimento xenofobo venga proprio da un popolo che ha promosso uno dei piu' possenti fenomeni  migratori della storia moderna, protrattosi sino agli anni '70; che ha popolato in Europa ed oltre oceano citta' e continenti, disseminando nel mondo 50 milioni di oriundi italiani, un popolo che ha vissuto e subito quella discriminazione razziale che oggi, con gli interessi, riserva ad altri che fanno l'esperienza di quello stesso destino. Di tutto questo sembra essersi smarrita la memoria, se e' vero che ai segni inquietanti di imbarbarimento, alle assemblee circoscrizionali inferocite dove la xenofobia raggiunge toni da ku-klux-klan si oppone un troppo labile contrasto.

Gli sproloqui di un Bossi, che sembrano estratti da un prontuario dell'antisemitismo nazista, contro gli immigrati che "vogliono colonizzare l'Europa", le invettive contro quello che il boss della Lega chiama il "meticciato", " l'orrida mescolanza delle razze ", " l'infiltrazione che corrompe la nostra identita' etnica, culturale e religiosa",  " l'invasione che fara' strame di ogni nostro valore quando avra' raggiunto una massa critica sufficiente", questi deliranti distillati  di odio razziale trovano ascolto e rilancio.

Pensate alla sortita, tutt'altro che estemporanea e improvvisata, del Cardinale Biffi. Il quale parla dei musulmani e dell'Islam come di culture incompatibili con i valori cristiani. Fatto paradossale e antistorico, non soltanto perche'  la "contaminazione" fra mondo islamico e occidente e' gia' avvenuta nella storia, ma perche' la critica  dell'integralismo viene condotta proprio attraverso una plateale - e quanto pericolosa - manifestazione di integralismo,  da cui emana un sinistro odore di inquisizione. Pericolosa, si, perche' porta dritta all'intolleranza.

Ma di quale minaccia mai si parla? Ma cosa e chi si teme? Ma dove mai si e' incontrato un pakistano, un indiano, un senegalese, un Iqbal, un Goldi, un Ibrahim, che nei luoghi di lavoro, nelle piazze, nelle strade abbia imposto qualcosa ad un bresciano, ad un italiano, ad un europeo?

Ha ragione il sociologo Adel Jabbar: "non diamo alle culture e alle religioni quello che e' degli esseri umani, di qualsiasi cultura e  religione, tanto per tacitare chi solleva il problema della sicurezza".

A meno che non si abbia invece paura di cio' che gli immigrati - musulmani o no -  rivendicano verso un mondo che li ha sino ad ora sfruttati ed esclusi: liberta', uguaglianza, rappresentanza, una chance per il proprio avvenire.

Ma non sono questi i fondamenti della democrazia?

O la democrazia vale solo per chi ha avuto la fortuna e il privilegio di vivere su un suolo ricco?

E da ultimo, dalla sponda laica, il professor Sartori. L'avete sentito, dalla ribalta di un TG della rete pubblica che parlava placidamente, non seduto al tavolo di un'osteria davanti ad un bicchiere di vino, ma con alle spalle una nutrita biblioteca. L'avete sentito spiegare che, si, gli immigrati vanno bene perche' le loro braccia servono, ma la cittadinanza, i diritti di cittadinanza, quelli no, non possono essere loro concessi.

e' mostruoso, ma e' proprio cosi'. Il permesso deve valere solo per lavorare: lavoratori, merci che producono altre merci, non cittadini.

Ecco quel che si vorrebbe: usarli, tollerarli finche' e quando lavorano, ma non accettarne la presenza paritaria nella vita, condannarli ad un esistenza catacombale.

A questa regressione culturale rovinosa, noi rispondiamo con le sagge parole di Alioune Diop, poeta senegalese: "noi siamo qui per affermare solennemente il nostro diritto e la nostra volonta' di condividere con gli altri la responsabilita' della cultura universale. E l'universale - per sua natura - non puo' che essere la sintesi delle nostre qualita' nelle nostre diversita'".

Proprio dall'interiorizzazione di questo messaggio parte la nostra prima proposta, anzi la premessa culturale di ogni proposta.

Sono persuaso che dobbiamo abbandonare il nostro modo di vedere autocentrato, unilaterale e la concezione proprietaria che abbiamo del suolo in cui viviamo.

Dobbiamo cambiare anche il linguaggio e non piu' parlare di accoglienza, come se gli immigrati fossero ospiti sopraggiunti in casa nostra.  Dobbiamo cominciare a parlare di cittadinanza di prossimita', cioe' di uguali diritti e uguali doveri per tutti coloro che vivono su un determinato territorio.

e' il concetto che Peinda Kebe aveva cercato di spiegare,  qualche mese fa, in una stanza del Viminale, al sottosegretario agli interni Di Nando, il quale di fronte alle sacrosante richieste della delegazione degli immigrati bresciani aveva risposto che si, erano richieste giuste e che  il Governo le avrebbe considerate, ma che si doveva parimenti tenere presente e tutelare la  sicurezza degli italiani.

Peinda aveva risposto: " la correggo Signor vice ministro, la sicurezza di tutti coloro che vivono in Italia, perche' anch'io temo la delinquenza, anch'io voglio una vita sicura per me e per mia figlia".

Cittadinanza di prossimita' vuol dire appunto questo: che nessuno e' - per definizione - un problema per l'altro e che tutte le questioni aperte, ivi compresa quella della sicurezza e del diritto ad una vita serena, sono questioni aperte davanti a tutti, sono bisogni condivisi. La sicurezza non e' un capo di imputazione che i nativi devono brandire come un bastone contro diverse etnie. Cittadinanza di prossimita' significa riconoscere nell'altro, diverso da se', un proprio simile, non un nemico, o una minaccia potenziale, o un ostacolo.

Oggi noi mettiamo in fila tre questioni e altrettante proposte, da riunire in una piattaforma che non puo' rimanere la piattaforma del soli immigrati, ma che deve diventare la nostra comune proposta.

Prima di tutto,  la lotta  alla clandestinita', che si combatte, in primo luogo, con una nuova politica dell'immigrazione che - lo dico con chiarezza - non puo' reggersi sull'attuale politica dei flussi e sulle norme che la regolano.

Queste norme rendono incredibilmente complicati gli ingressi regolari, generano esse stesse clandestinita' (come indica il periodico ricorso alle sanatorie) e la clandestinita' produce illegalita', sfruttamento ed uno stato di permanente emergenza che si rincorre con improbabili ed inefficaci misure d'ordine che non fanno altro che aggiungere ingiustizia ad ingiustizia.

I flussi devono essere regolati da norme piu' larghe e flessibili: norme trasparenti e semplici,  non garbugli vessatori.

Lo Stato - come abbiamo piu' volte affermato - deve allearsi con chi vuole uscire dalla clandestinita', non rendersi complice di chi la sfrutta.

Questo comporta una cosa molto precisa: che,  quando una persona che vive in clandestinita' e' in grado di dimostrare, di provare l'esercizio di un attivita', di un lavoro, la regolarizzazione e' un atto dovuto.

Il lavoro, cardine della Costituzione repubblicana, fonte dell' identita' e viatico di ogni altro diritto, deve poter essere la strada maestra della regolarizzazione di un clandestino.

Ostinarsi a negarlo non significa affatto - come tutti sanno - eliminare il problema, rendere operativa un'impossibile espulsione che nessun organo di polizia potrebbe mai eseguire perche' giuridicamente, umanamente, materialmente inapplicabile.

Ostinarsi a negarlo significa soltanto cronicizzare la clandestinita', farla  diventare un elemento strutturale dei nostri rapporti sociali, dare un placet al lavoro nero e a chi vi lucra sopra.

Noi dobbiamo batterci - insieme - perche' siano eliminati i balzelli, gli insopportabili percorsi a ostacoli e l'incertezza del diritto che oggi opprimono queste persone.

Questa lungimiranza e' un traguardo ancora tutto da guadagnare.

La seconda linea d'azione consiste nello smettere di considerare la questione dell'immigrazione come una questione di ordine pubblico, per cui tutto nella vita di un immigrato dipende dal  Ministro degli Interni e dalle Questure.

Dobbiamo ridurre la presenza della polizia nella vita delle persone immigrate, una presenza che deve essere pari a quella che vi e' per i nativi, per le persone di nazionalita' italiana.

La stessa Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, sin dal '96, si era pronunciata in questo senso: "Bisogna superare quella falsa contrapposizione che vuole i cittadini italiani da una parte e le persone immigrate dall'altra, con la polizia in mezzo a proteggere i primi dai secondi".

Il primo passo concreto da compiere consiste allora nel trasferimento delle competenze amministrative dalle questure ai comuni di residenza, per il rilascio e per il rinnovo del permesso di soggiorno.

Il secondo passo consiste nel pervenire, finalmente,  al rilascio della Carta di soggiorno, espressamente prevista dalla legge 40/'99 ma del tutto inapplicata a Brescia, a quanti risiedono regolarmente  in Italia da almeno cinque anni.

Il terzo passo deve prevedere il diritto per l'immigrato in possesso della carta di soggiorno all'impiego nel settore pubblico.

 

La terza linea d'azione consiste nel riconoscimento - a quanti risiedono in Italia da almeno cinque anni - del fondamentale diritto civile di far parte dell'elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative.

Da fantasma, da intruso o - nella migliore delle ipotesi - da ospite, il migrante diventa visibile ed acquista dignita' di cittadino quando conquista il diritto di voto.

C'e' poi un secondo ordine di problemi: quello che riguarda la concreta affermazione del diritto alla casa, all'istruzione, di base e professionale.

A questo scopo abbiamo iniziato un proficuo confronto con le associazioni degli imprenditori - AIB e API - che possono e debbono assumersi la loro parte di responsabilita'.

I primi riscontri sono beneauguranti e lasciano prevedere che sia possibile sottoscrivere protocolli di intesa che sappiano tradurre in azioni positive le buone intenzioni dichiarate.

Sulla casa: costituendo consorzi di imprese che subaffittino ai propri dipendenti, immigrati e non, case a prezzi calmierati.

Sull'istruzione: rilanciando l'istituto delle 150 ore, caduto in desuetudine e che puo', anche per questa via, essere restituito all'ispirazione originaria.

Sul lavoro: effettuando una rapida ricognizione della domanda di lavoro disponibile entro i prossimi sei mesi e mettendola a disposizione dei neo-costituiti centri per l'impiego.

Infine, c'e' il nostro ruolo, quello che appartiene al sindacato.

Talvolta ho l'impressione che le nostre strutture, che le nostre federazioni di categoria riproducano gli stessi vizi della societa' che vorrebbero emendare.

La questione della rappresentanza e quella dell'inserimento a pieno titolo degli immigrati nelle nostre strutture e' ancora aperta e per molti aspetti irrisolta, ad ogni livello dell'esperienza sindacale, dalle  RSU, ai Comitati direttivi, fino agli apparati a tempo pieno.

Finche' il sindacato non si persuade che e' suo dovere promuovere gli immigrati a funzioni direttive al proprio interno sara' assai difficile che ne possa credibilmente rappresentare la domanda di riconoscimento e di emancipazione in un ambito sociale piu' ampio.

Eppoi c'e' la contrattazione, che si deve occupare concretamente dei problemi degli immigrati, problemi che hanno una evidente peculiarita', dai periodi feriali, che devono dilatarsi per consentire loro il ritorno nei paesi d'origine, fino ai menu' delle mense, che devono tenere conto dei vincoli che l'adesione diffusa a religioni diverse da quella cattolica prescrive loro.

Tutto cio' ed altro ancora bisogna fare se si vuole estendere la rappresentanza sindacale reale ad una platea di 40 mila persone che lavorano nelle officine, nelle fabbriche, nei cantieri, nelle stalle, nelle campagne bresciane.

Infine, c'e' un punto di tutta la lotta degli immigrati bresciani che deve essere assolutamente chiarito.

Questa lotta - che, non dimentichiamolo, e' una lotta del segmento piu' debole della popolazione - e' stata anche una lotta per la legalita'.

Per ogni immigrato, conquistare dei diritti vuol dire - appunto - entrare in un circuito legale, far parte di un mercato del lavoro legale, poter prendere legalmente una casa in affitto senza dovere sottoporsi a pratiche usuraie, sottrarsi all'oscurita' e alla tentazione di vincere l'umiliazione e l'abbrutimento  cui  costringe la clandestinita', lasciandosi andare alla deriva o - nei casi peggiori - consegnandosi ai legami malavitosi sempre in agguato e sempre pronti a  servirsi della disperazione altrui.

I nostri amici - e' bene che tutti lo sappiano - hanno lottato per non piegarsi a questo destino.

Ora, questa lotta ha avuto momenti durissimi, ma mai si e' vista l'ombra di una prevaricazione, mai un caso di interruzione di pubblico servizio, mai una violenza privata, un insulto, un oltraggio, neppure quando l'esasperazione era grande e la tensione allo spasimo.

Eppure, vi e' stato chi si e' levato  ora a condannare, ora a biasimare, ora a prendere le distanze da un presidio, dall'occupazione di una piazza, ogni volta assimilandoli a violazioni della legalita'.

Se cosi' fosse, se accedessimo a questa concezione astratta e formale della legalita', se dovessimo fare nostra questa contrapposizione fra conflitto sociale e legalita' - che e' poi la tesi dei conservatori di ogni tempo -  allora dovremmo cancellare e ripudiare gran parte della storia e del progresso sociale del '900 e dovremmo estirpare le pagine piu' belle e feconde della stessa storia sindacale.  E dovremmo considerare l'occupazione delle terre, delle fabbriche,  i presidi e i picchetti di tante lotte operaie e contadine come l'espressione di velleita' eversive e non gia' - come in effetti furono - il lievito e il sale della nostra democrazia, che imparava a coniugare  lo stato di diritto con la giustizia sociale. Cio' che ha permesso di conquistare per i lavoratori e per l'intera societa' un superiore livello di liberta' e di civilta'.

Vorremmo che nessuno - in ambito democratico e specialmente nel sindacato - se ne dimenticasse mai.

Voglio ricordarlo, ancora una volta, con le parole di Peinda Kebe: "Avete 50 mila persone che vivono nella clandestinita', vicino a voi. Svegliatevi, non lasciate che vengano sfruttate per tutte le cose della vita. Dovete svegliarvi perche' queste 50 mila fanno parte degli altri 250 mila della sanatoria del '98 e ci sono altri del '96, altri del '90, altri dell' ' 87: sono circa 1 milione gli immigrati che vivono vicino a voi in Italia e dovete provare a capire chi avete in fianco a voi. Ecco, questa lotta ha fatto svegliare le cose".

e' proprio vero: questa lotta ha fatto svegliare le cose.

Questa lotta la continueremo insieme. Non permetteremo che lo stagno si richiuda.

La piattaforma che qui comincia a germinare e che nelle prossime settimane gli immigrati con una carovana porteranno in giro per le citta' d'Italia, non e' piu' soltanto loro, e' anche nostra.

Lo diciamo con convinzione, perche' e' dalla risposta che sapremo dare, o che negheremo, che dipendera' la qualita' del nostro comune destino.