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MOVIMENTI, AUTONOMIA 

E RAPPORTO CON LA POLITICA

L’incontro organizzato attorno a questo tavolo, è una novità anche per noi redattori del “il ponte della Lombardia”.

Lo abbiamo convocato perché sentiamo alcune esigenze: l’uscire dalla generica richiesta di contributi che facciamo spesso a persone rappresentative di associazioni e movimenti; sottolineare la sempre maggiore importanza della società civile organizzata; far dialogare fra loro queste persone; inserire anche i compagni che, con fatica, danno forma al ponte in questo confronto. Introduco questo forum con una brevissima osservazione e con una domanda che spero stimolino i nostri ospiti.

 

Sono presenti: Luigi Lusenti, Lella Bellina, Luciano Guardigli della redazione del Ponte, Iole Garuti dell'associazione "Libera", Edda Boletti delle Girandole, Flavio Mongelli dell'Arci, Emilio Molinari di Attac.

 

* i testi degli interventi di Boletti, Mongelli e Molinari non sono stati rivisti dagli autori.

 

 

Luigi Lusenti

 

Dal 6 luglio 2001, giorno del primo sciopero della sola Fiom, una serie di eventi (Genova, la marcia Perugia-Assisi, il Forum di Porto Alegre, il Congresso della Cgil, il Palavobis) segnano una ripresa della partecipazione e della militanza.

Questa partecipazione e questa militanza che si sono espresse nelle diverse occasioni, sono sovrapponibili, sommabili, diverse, c’è un filo conduttore che le lega?

 

Edda Boletti

 

L’Associazione delle Girandole, di cui faccio parte, è nata grazie al governo Berlusconi: i falsi in bilancio, la sospensione delle scorte ai magistrati a rischio, le rogatorie sono temi su cui abbiamo deciso di mobilitarci.

Dopo la legge sulle rogatorie abbiamo fondato l’associazione e organizzato una prima manifestazione davanti al Palazzo di Giustizia.

L’ambito in cui ci muoviamo è quello della giustizia, tema sul quale già da prima, a Milano,  ci eravamo mosse. Noi abbiamo rotto il ghiaccio, poi sono venuti i girotondi (con i quali spesso ci confondono).

Il due febbraio eravamo in Piazza Navona, dove Moretti ha un po’ oscurato il professore di Firenze Pancho e  Lidia Ravera che avevano già espresso molte delle cose che lui ha poi platealmente detto. Se Fassino e Rutelli, dopo quello che avevano sentito, invece di leggere i discorsi che si erano preparati, avessero mediato un po’, il “caso Moretti”, probabilmente non sarebbe esploso.

Tornando indietro: nel mese di dicembre avevamo interpellato i partiti di sinistra di Milano per coinvolgerli, senza ottenere alcuna risposta positiva; a gennaio c’è stato  il Palavobis e allora tutti si sono accodati, tanto che sabato scorso all’iniziativa organizzata dall’Ulivo a Sesto San Giovanni, non c’era nessuno che non avesse pensato e promosso l’incontro del Palavobis.

In realtà la maggior parte del lavoro lo abbiamo fatto noi, poi sono arrivati Flores d'Arcais e gli altri.

Adesso è cambiato l’atteggiamento dei partiti nei nostri confronti: ci cercano, ci parlano.

Vogliamo collegarci ai girotondi,  a Libera e ad altre associazioni, ma non vogliamo essere strumentalizzati e non vogliamo capi.

 

Flavio Mongelli

 

I movimenti nati nell’ultimo periodo hanno per matrice comune non tanto i contenuti quanto la speranza nella possibilità di un cambiamento.

E’ stato sostanzialmente il movimento internazionale contro la globalizzazione neoliberista a dare l’avvio, a segnare la svolta dalla rassegnazione alla fiducia.

Dopo l’89, la fine dell’Unione Sovietica e la caduta del muro di Berlino, si era spenta un po’ anche la speranza del cambiamento, non perché stesse da quella parte, ma perché le idee neoliberiste acquistavano ancora più forza e c’è stato come un tunnel in cui tutti sono entrati. Il movimento internazionale contro il liberismo ha rappresentato una novità ed ha restituito la fiducia nella possibilità di cambiare.

Una fiducia più laica rispetto a prima (infatti lo slogan di Porto Alegre è “un altro mondo è possibile”, non “il sol dell’avvenire”). Dal giudizio negativo sulle condizioni di vita nel mondo e su tante situazioni insopportabili (la povertà, ogni tipo di attacco alla democrazia e così via)  nasce la reazione e un nuovo scatto di cittadinanza attiva.

Questo mi pare il primo  elemento che collega situazioni diverse.

Ce ne è poi un secondo: i movimenti nascono quando si registra un gap tra la sensibilità, le idee che cominciano a percorrere un numero sempre maggiore di persone e la rappresentazione politica di queste idee. Ed i partiti, il sistema di rappresentanza delle idee sul terreno politico, si sono dimostrati arretrati rispetto a quello che stava succedendo nella realtà.

I movimenti nascono perché c’è una critica su diversi aspetti del funzionamento della società e una domanda di politica diversa, di rappresentazione diversa, di lettura, di categorie di interpretazione diverse della realtà.

 

 

Iole Garuti

 

Per rispondere alla domanda se questi movimenti sono collegabili sarebbe bene vedere come sono nati e soprattutto di quali problematiche si occupano.

A me sembra che i grandi temi su cui le persone si sono attivate siano tre: la giustizia (l’uguaglianza dei diritti e dei doveri), il lavoro (l’art. 18), la pace (e dentro la pace i rapporti internazionali e la globalizzazione).

I movimenti possono collegarsi, e quindi unirsi, se comprendono che pur nel rispetto delle rispettive specificità c’è un filo rosso che li unisce, cioè l’idea di un modello di vita basato sul bene collettivo e non sull’arricchimento individuale. L’uguaglianza dei diritti è importante tanto per la giustizia quanto per il lavoro e per chi vuole la pace. Bisogna lavorare perché i diversi movimenti riescano a collaborare.

Io vorrei discutere un problema, già citato, che sta a monte, quello dei rapporti fra i movimenti e i partiti, naturalmente i partiti vicini a queste tematiche: perché i partiti della sinistra, soprattutto il più rappresentativo della sinistra, i DS, sono stati così cauti, timidi, incerti nel capire l’importanza dei movimenti? La mancata partecipazione ufficiale alla manifestazione di Genova contro il G8 è stata significativa. E questa astensione dalle manifestazioni non è capitata soltanto di recente. Per quanto riguarda la giustizia ad esempio, mentre nel ’92-‘93 i partiti della sinistra e la Camera del Lavoro erano in piazza a favore di Mani Pulite, negli anni successivi non c’erano più e io non ho ancora capito il perché. E’ più facile invece capire le esitazioni rispetto a cortei per la pace: avendo detto sì alla guerra ‘per motivi umanitari’, fare contemporaneamente una manifestazione per la pace veniva male.

Per quanto riguarda i problemi del mondo del lavoro poi è da chiarire il rapporto con il sindacato: se si accusa Cofferati di essere un conservatore si lascia infatti supporre che ci sia una divergenza  netta tra partiti della sinistra ‘innovatori’ e movimento sindacale.

Accennavo prima a un modello di vita proprio della sinistra, che richiede una strategia e un metodo politico diverso: diversità che dovrebbe essere costante e sempre visibile, anche nell’azione politica quotidiana. Mirare solo a ottenere qualche voto in più porta a una politica di piccolo cabotaggio; bisogna invece proporre un’idea alta della politica, perseguire obiettivi fondamentali per l’esistenza delle persone, fare una politica di valori, se si vogliono ottenere o recuperare ampi consensi. E qui i movimenti danno indicazioni chiare, hanno proposto temi altissimi, questioni di principio,

I movimenti hanno funzioni diverse dai partiti e sono diversi i temi sui quali si mobilitano, ma questi temi sono perfettamente compatibili, quindi i movimenti si possono unire, anzi bisogna trovare il modo perché succeda (anche se sinceramente non vedo facilmente Flores d'Arcais con Agnoletto…)

Quanto alla globalizzazione, è prevedibile che l’ideologia marxista prima o poi tornerà in certi paesi, dove lo sfruttamento dei lavoratori è la regola (anche in Italia, se continuiamo così). Credo che i partiti della sinistra debbano tornare ad avere valori indiscutibilmente e apertamente di sinistra: uguali diritti per tutti e un  miglioramento delle condizioni di vita che non veda alcuni favoriti rispetto ad altri: se si va avanti, si va avanti tutti insieme.

 

 

Flavio Mongelli

 

C’è un altro elemento che accomuna i movimenti: il protagonismo dei giovani. I giovani,  che hanno categorie di interpretazione della realtà meno inquinate dalle esperienze, sono capaci di indignarsi naturalmente per le ingiustizie, la povertà nel mondo. Una indignazione vera, come reazione disincantata rispetto ai soprusi. La stessa che aveva portato noi ad essere cittadini attivi, la stessa che noi stiamo recuperando oggi.

 

 

Emilio Molinari

 

Sono d’accordo con Mongelli sul fatto che la ripresa di un interesse politico, di un protagonismo, nasce perché c’è stato un movimento che ha affrontato i temi del pianeta ed ha detto a tutti: non va bene una politica  che si poggia su relazioni interpartitiche, interpersonali, in una dimensione ristretta che non parla del mondo, e non parlando del mondo non parla neppure del nostro paese.

Si possono discutere i modi, le forme, ma questa attenzione al pianeta è stato un segnale per tutti  della necessità di cambiare.

Vorrei indicare alcuni elementi che distinguono i movimenti in atto nel nostro paese, che potrebbero anche diventare dati su cui ragionare insieme.

Il cosiddetto “movimento no global” è l’unica forma della politica che include il mondo.

E’ drammatico, ma se pensiamo a uomini politici capaci di ragionare oltre i confini. purtroppo, dobbiamo ritornare a Mitterand, a Khol, e in Italia, ad Andreotti e a Craxi, dopo di loro la caduta è stata spaventosa.

Allora, ci sono un movimento che ragiona in una dimensione internazionale e un altro che possiamo individuare nell’area Palavobis, girotondi, ecc.: i primi si domandano se è possibile costruire un mondo diverso da questo, i secondi se è possibile avere un governo meno indecente di questo. Non sono solo temi, sono orizzonti diversi che rischiano di non trovare convergenza, mentre, da una parte e dall’altra, bisogna compiere uno sforzo al dialogo: i grandi temi di cosa succede nel mondo devono essere posti, ma ignorare i temi  posti degli altri è un errore.

Credo che il movimento no global soffra di una forma maggioritaria di rifiuto per la politica; tra l’altro, sembra paradossale, ma questo atteggiamento è esasperato nella componente cattolica: la politica faccia ciò che vuole, noi facciamo le cose concrete.

Anche chi vuole cambiare il mondo deve porsi il problema di una relazione con le istituzioni e la politica, con chi governa.

Sto nel movimento no global e a loro lo dico tutti i giorni, vorrei dirlo anche agli altri, al movimento operaio, così come al movimento sulla giustizia. Ci sono problemi di giustizia o di diritti che oggi vanno ampliati.

Allora dico a chi era al Palavobis che è una questione di giustizia, sicuramente, pretendere che Berlusconi sia trattato come un altro cittadino, ma è un problema di diritto e giustizia anche quello posto dall’art.18; e dico al movimento operaio che è una questione di diritto e di giustizia la questione dell’ acqua e della sua privatizzazione, che viene posta solo dal movimento no global.

In Sicilia l’acqua oggi non c’è, ma dopo la finanziaria di Berlusconi, l’acqua verrà privatizzata in tutto il paese e, nel giro di due anni, diventerà proprietà di tre o quattro multinazionali.

E’ un problema di diritto e di giustizia spaventoso, ma non ne parla nessuno.

Può essere questo un terreno su cui i diversi movimenti si possono confrontare?

Non c’è ideologismo, c’è una visione del mondo,  dei diritti e della giustizia che va rivista, riconsiderata, che non può essere legata solo alle questioni del lavoro, solo alle questioni di un governante che fa ciò che vuole.

Terza considerazione: Berlusconi

Berlusconi rappresenta una anomalia oppure il suo aspetto di anomalia personale fa parte di un disegno che comincia ad essere globale?

Gli Stati Uniti hanno un presidente che oltre a subordinare le sue scelte ali desideri dell’apparato industriale militare e dei petrolieri (altro che conflitto di interessi) è un pericolo spaventoso per l’umanità; in Europa, dopo le elezioni in Francia, Danimarca, Olanda, alcune tendenze vengono avanti; nel nostro paese, i fatti di Napoli e Genova ci parlano di una modifica dello stato di diritto nel rapporto tra il cittadino e lo stato.

C’è una eguaglianza di diritti dei ricchi che non rispettano le regole della giustizia ma c’è una eguaglianza dei poveri che vengono sempre più esclusi da ogni forma di diritto.

Ormai siamo in un mondo un cui i paesi democratici e civili stanno mandando al diavolo cento anni di storia del diritto, nei processi, con le leggi anti-terrorismo, con i centri di detenzione.

La convenzione di Ginevra e tutte le convenzioni sui diritti umani sono state stracciate.

Berlusconi si colloca in questa tendenza generale, di cui anche noi dobbiamo discutere, sapendo che partiamo da bisogni e sensibilità diverse ma che dobbiamo individuare tre o quattro temi che insieme dobbiamo approfondire.

 

 

Lella Bellina

 

Mi collego all’ultima parte del ragionamento di Molinari per fare un’affermazione un po’ provocatoria: auguro lunga vita a Berlusconi (fino alla fine della legislatura).

Gli auguro lunga vita perché è il soggetto che in Italia, per la sua arroganza, per i sui modi, per la sua incapacità di porre le questioni in modo meno violento, ha fatto scattare la reazione. Nella scorsa legislatura a guida sono “passate” cose devastanti presentate in modo "migliore", meno fastidioso: Berlusconi ci indigna perché propone cose terribili e, in più, lo fa in modo fastidioso e plateale.

Gli auguro lunga vita perché la sua presenza mi dà la speranza che i movimenti di opposizione oggi presenti riescano in un prossimo futuro a trasformarsi in qualcosa di solido, che abbia una sponda politica. Gli auguro lunga vita perché una caduta del suo  governo domani ed elezioni politiche dopo domani porterebbe probabilmente ad una finta unità della sinistra “contro il pericolo di destra” , che non solo non avrebbe in sé un’idea di società diversa, ma potrebbe produrre l’effetto (movimento no global a parte perché, vista la sua dimensione internazionale è meno direttamente collegabile al colore della compagine governativa) di pacificare il movimento sociale.

Se a Genova le forze dell’ordine non avessero massacrato i manifestanti, probabilmente il 21 luglio non saremmo stati trecentomila e se non avessero insistito, sicuramente nei giorni successivi le piazze d’Italia non si sarebbero riempite.

Se la questione dell’art. 18 non fosse stata posta in modo così violento, probabilmente  la manifestazione del 23 marzo a Roma non ci sarebbe stata.

Se non ci fosse stata tanta arroganza sulle questioni della giustizia al Palavobis, probabilmente, non sarebbe successo nulla (a proposito di giustizia: considero l’esistenza del centro di via Corelli un cosa incivile almeno tanto quanto quella per cui quarantamila persone sono andate al Palavobis…)

Insomma, Berlusconi ci sta paradossalmente  dando una mano…..

Ho fatto questa lunga premessa per tornare al tema dell’autonomia dei movimenti rispetto al sistema politico e, soprattutto, al Governo.

Il Governo D’Alema ha orgogliosamente partecipati alla guerra nel Kosovo, agghiacciante tanto quanto la guerra in Afghanistan del governo Berlusconi.

Ma alla marcia Perugia Assisi, nell’anno della guerra nella ex Jugoslavia eravamo, forse, in diecimila. Alla Perugia Assisi del 14 ottobre dello scorso anno hanno partecipato  trecentomila persone compreso D’Alema, compreso Fassino, compreso Rutelli, compresi i Ds, compreso Sergio Cofferati.

La Cgil, che considerò la guerra in Kosovo una “contingente necessità", nel febbraio di quest’anno ha concluso il suo congresso sostenendo che bombardare l’Alghanistan è stato un errore.

Guerra orrenda era la prima, guerra orrenda è stata questa, orrende sono tutte le guerre.

Eppure una differenza, evidentemente, c’era….

Sulle questioni del lavoro il governo di centro sinistra ha aperto la strada ai provvedimenti peggiori che adesso si stanno concretizzando: flessibilità, contratti a termine, il manifesto D’Alema-Blair identico al manifesto Berlusconi-Blair.

Ma allora perché, con il governo di centro sinistra,  il sindacato non è sceso in piazza, il Palavobis non si è riempito, non ci sono state manifestazioni di indignazione spontanea?

Ecco la mia domanda.

Sono davvero autonomi questi movimenti dalla politica e dalla coalizione che governa il paese, o sono in qualche modo influenzabili, oppure sono talmente spontanei da essere vittime di come le cose vengono presentate piuttosto che coscienti della sostanza delle cose?

 

 

Edda Boletti

 

Quando c’era il governo di centro sinistra abbiamo tentato di mobilitarci, ma la gente non partecipava.

Per me, ad esempio, era stato uno scandalo la bicamerale di D’Alema, così come il 513 sulle questioni di mafia,  ma ricordo che alle iniziative  fatte davanti al Palazzo di Giustizia eravamo in pochissimi.Allora veniva spenta qualsiasi cosa su muovesse nella società civile (penso che per Iole Garuti sarà stato lo stesso con Libera).

 

 

Lella Bellina

 

Quindi quel che fa muovere la gente è la repulsione per Silvio Berlusconi?

 

 

Luciano Guardigli

 

Non solo per Silvio Berlusconi. Credo che più in generale sia emerso un errore di strategia del capitalismo. Fino alla fine degli anni Ottanta i blocchi tenevano fermo il mondo. Finita quella situazione c'è stato il lento impugnare la situazione da parte del pensiero unico americano, ma adesso il mondo intero ha fatto irruzione dentro la politica. Si è aperta una fase di forte partecipazione, perché s'era chiusa la speranza, pur gestita malissimo in URSS, di un'alternativa possibile. Per parlare del mio mestiere, per esempio, erano anni che non uscivano libri che parlassero in termini globali, che parlassero del mondo. Di recente il dibattito si è ampliato. In Africa moriva più gente di oggi e pochi da noi si interrogavano sulla soluzione possibile di quei problemi, sembravano lontani.

L'idea di questo capitalismo è di un unico terzo di umanità che vive decentemente in un mondo in sfacelo. Questa è la scelta per cui si cercano complici nelle società cosiddette evolute. Neanche le materie prime africane erano considerate più di qualche massacro di persone che valgono ancora meno. L'Africa sembrava affondare. Ma è scattato un rifiuto etico più che politico, soprattutto in Europa. Oggi si ha la sensazione che la gente, in particolare i giovani, si rifiuti di pensare che l'Africa sia ormai un esotico relitto dove andare ben vaccinati a vedere com'era il mondo.

Proprio in questi giorni, per esempio, ci sono stati incontri politici tra l'Europa e il Sud America, cosa che non era immaginabile prima, ma che dà qualche speranza. Se l'Europa si deciderà a rappresentare un'alternativa politica e culturale agli Stati uniti potrebbe riaprirsi uno spiraglio, ma devono subentrare problemi economici di sviluppo per il nostro continente, gli USA devono arrivare alla minaccia per fermarci.

Il nostro orizzonte oggi è l'Europa. Per noi è stata una iniezione di torpore il governo di centro sinistra: sono andate deluse molte aspettative, ma l¹obiettivo dell'Europa ha tenuto. Sul piano del lavoro, quindi dei rapporti tra le persone, invece, non si è avuto il coraggio (del resto ce ne vuole molto) per progettare un'alternativa di politica sociale al pensiero unico statunitense. Basta leggere Bukowskji per capire quale futuro spetta ai lavoratori subordinati nel modello americano. Su questo piano, tuttora, né l'Europa, né, nel suo piccolo, l'Ulivo ci rassicurano.

Sarà vero anche che i lavori pubblici che inaugura Berlusconi li ha fatti il governo di centro sinistra, ma è anche vero che sulla repressione a Napoli, per  il G8,  vede responsabilità gravi del governo di allora, che sulla giustizia i primi cedimenti sono stati lì, che D'Alema  avrebbe forse concesso ai radicali  l¹articolo 18.

C'era una sorta di stant by del movimento di fronte a tutto questo. L'irruzione del mondo nella politica, i movimenti, in qualche modo ci ha aperto un po'gli occhi.

Il vero problema  è  questa teoria dei due terzi, perché poi non sai dove è il limite.

La mattina alle 6 Milano è piena di extracomunitari che vanno a fare le pulizie negli uffici, questo esercito silenzioso è l'unico che rimarrà fuori?

Se è l'unico che rimarrà fuori il centro destra continuerà ad avere voti.

Ma se cominci ad attaccare i diritti non solo dei metalmeccanici, ma dei bancari, dei giornalisti, l'attacco allo stato sociale si rivela in tutta la sua asprezza anche perché la caduta delle socialdemocrazie toglie l'alibi a questo sistema.

C'è una offensiva culturale dell'Occidente, e Prodi e gli altri sono dentro questa cultura.

 

 

Flavio Mongelli

 

Credo sia ingiusto pensare che il governo Berlusconi sia in qualche modo la continuità del governo D’Alema. Ci sono differenze profonde.

Anche se la bicamerale ci ha indignato, l’intervento massiccio del governo Berlusconi sulla giustizia è come un carro armato rispetto ad un colpo di pistola: il falso in bilancio; la questione dei capitali all’estero; il tentativo di condizionare la magistratura; l’obiettivo di ridurre il potere nelle sole mani del governo, rispetto alla magistratura ma anche al ruolo del parlamento. Dietro  a tutto questo c’è un disegno di modifica del patto costituzionale, delle regole fondanti la nostra democrazia.

Nel governo precedente questo progetto non c'era, così come non c’era un attacco così forte ai diritti dei lavoratori; in più, in un encefalogramma piuttosto piatto e poco coraggioso, ci sono stati anche elementi positivi come la riforma del welfare,

Oggi siamo in presenza di un disegno eversivo forte. La prima repubblica è finita, la seconda non è ancora nata. Mentre alla base della prima repubblica c'erano  i valori nati dalla resistenza antifascista, non c’è una convergenza di tutti rispetto a quelli che dovrebbero essere i pilastri della seconda repubblica.

Berlusconi sta costruendo la seconda repubblica non con un progetto istituzionale di ampio respiro da discutere con le persone, ma un pezzo alla volta, sta modificando l’assetto costituzionale del nostro paese. Per questo non si possono fare paragoni tra quello che sta facendo questo governo e quel che ha fatto il precedente.

In questo quadro, l’aspetto di rottura vera è stato l’emergere del mondo.

Nessuno si aspettava trecentomila persone a Genova, così come i milioni di persone nelle piazze nei giorni successivi (centomila a Milano, cinquantamila a Genova, centomila a Roma, ecc.)

C’è stata una ribellione molto forte alle violenze di Genova ed è emersa una nuova sensibilità, una nuova consapevolezza, percepita grazie alla capacità di vedere il fallimento di una politica della quale il governo di centro sinistra rappresentava la fine del percorso. Il fallimento dell' ipotesi neoliberista  si evidenzia proprio adesso: l’economia americana che non tira, l’Argentina, che doveva essere un modello, che crolla, i problemi che restano irrisolti.

Sono d’accordo con Molinari: Berlusconi rappresenta una grande parte della popolazione italiana che  l’ha votato perché si riconosce nel suo modello.

E allora, forse, un modo per leggere Berlusconi e l'esito delle elezioni in l’Olanda in Francia è che l’Occidente è malato di localismo.

Quando sono stato a Porto Alegre, parlando con un contadino dei Sem terra mi sono reso conto che lui vedeva se stesso, il sud del mondo, ma contemporaneamente vedeva il Nord (gli tolgono l’acqua, non ha la terra e chi interviene sulla sua vita quotidiana viene dal fuori, dall’Occidente, è la multinazionale). Noi vediamo sono noi stessi: culturalmente stiamo andando verso un sistema di apartheid e prevalgono i sentimenti egoistici, la conservazione dei privilegi acquisiti.

E questa forma di egoismo ed egocentrismo ci impedisce di vedere le conseguenze di quello che facciamo. Kyoto è un esempio: impestiamo tutto il mondo, provochiamo disastri nel pianete ed i governi non fanno niente per modificare la loro azione in modo radicale. C’è una difficoltà a vedere la globalità del nostro agire perché ci interessa  solo ciò che ci dà e mantiene ricchezze e privilegi.

Ma i Berlusconi, i partiti che nascono nell’arco di tre mesi, non possono essere etichettati soltanto come razzisti o fascisti perché sono molto lontani da quel modello: esprimono la volontà di chiudersi e mantenere i privilegi.

Lo vedete anche in società lontane da noi.

Uno dei pericoli di Israele e ciò che la porterà alla rovina è questo non vedere l’altro o vederlo soltanto come nemico o potenziale nemico: è la chiusura un se stessi che manda in crisi le società.

Viceversa, ciò che può permettere ai movimenti di crescere insieme e contaminarsi è l'acquisizione da parte di tutti di una dimensione globale, non localistica. Il localismo, che sta alla base del fenomeno della lega e dell’atteggiamento nei confronti degli immigrati è il vero male: è l’incapacità, il rifiuto di leggere una realtà che potrebbe mettere in discussione le sicurezze che ci siamo costruiti; è l'atteggiamento che ci porta ad affermare il nostro diritto a costo di negare quello degli altri.

Porre con forza la questione dell'uguaglianza dei  diritti è un modo per non essere localisti.

I temi su cui i movimenti possono dialogare sono da una parte l’universalità dei diritti, dall’altro la possibilità di vedere  globalmente il mondo ed i problemi.

 

 

Lella Bellina

 

Sono d’accordo con l’esigenza di raccordare le idee, trovare un filo conduttore che permetta ai movimenti di dialogare.

Così come convince il ragionamento sul fatto che  una visione globale può permettere ai movimenti di parlare a interlocutori che storicamente non vengono da esperienze e forme di lotta di movimento ed anche di durare nel tempo (perché abbiamo visto movimenti nascere e spegnersi nell'arco di una stagione).

Il movimento no global, ad esempio, non è nato a Genova, non è nato a Seattle, è frutto di un percorso, si è sviluppato, ha posto delle questioni.

Il nodo però sul quale, volenti o dolenti, dovremo confrontarci, non fosse altro che perchè la democrazia nel nostro paese prevede che prima o poi si voti, è il rapporto con la politica che mi pare tutti quanti stiamo un po’ eludendo.

Le rivendicazioni sacrosante dei movimenti sulla giustizia, sull’acqua, sulla pace, prima o poi dovranno diventare domande che richiedono delle risposte che a loro volta impongono delle scelte rispetto ai partiti della sinistra e del centro sinistra.

Schematizzo: siamo in grado come società civile, come movimenti, di porre tre, quattro questioni che riteniamo fondamentali ai partiti della sinistra e, se ci saranno risposte che non ci convincono, siamo in grado di dire loro: allora non ci stiamo?

Per me il rifiuto della guerra come strumento di soluzione dei conflitti o, peggio ancora, come strumento di domino è questione fondamentale: su questo sono intransigente.

In caso di elezioni non voterò un partito, una coalizione che ha appoggiato la guerra.

Così come non voterò chi propone di rilevare le impronte digitali agli immigrati.

E se non avrò alternative non mi turerò il naso: mi asterrò.

Sui gradi temi della pace, dei diritti, sulle questioni del lavoro e dell'immigrazione, sono in grado questi movimenti in qualche modo di "imporsi" ai partiti? Ho la sensazione di no.

I movimenti pongono questioni vere, rivendicazioni sacrosante, in alcuni casi, come il movimento no global sono anche in grado di fare proposte non rivoluzionarie ma alternative come la tobin tax. E poi?

Vivo con preoccupazione lo scollamento tra un movimento di opposizione sociale che esiste, è variegato e forte, e un sistema politico che non è recettivo né corrispondente. Questo ragionamento vale anche per il sindacato.

In questi ultimi mesi la Cgil, intercettando il reale sentire di chi rappresenta, si è accreditata come il soggetto che più limpidamente e rigorosamente si oppone all'attacco ai diritti del lavoro di questo governo e mai, come ora, si è attestata su una linea "di sinistra". Peccato che il suo funzionamento interno non si sia minimamente modificato e che la costruzione dei nuovi gruppi dirigenti dopo il congresso avvenga secondo dinamiche asfittiche, autoreferenziali e assolutamente impermeabili a ciò che di nuovo è intervenuto.

C'è un altro elemento, oltre a quelli già citati, che ha accomunato finora i movimenti: l'assenza di leader onnicomprensivi, il loro non identificarsi in una singola persona.

Eppure dopo il 23 marzo, è a Sergio Cofferati (e non, ad esempio, alla Cgil come soggetto collettivo) che tutti guardano, attribuendogli virtù salvifiche.

Non credo all'uomo della provvidenza, comunque si chiami.

Per questo pongo un'altra questione. E' possibile che i movimenti in qualche modo irrompano nella sfera della politica non solo con i propri contenuti ma anche segnando la formazione dei gruppi dirigenti? 

 

 

Emilio Molinari

 

La domanda che hai posto all'inizio, cioè grado di autonomia e rapporto tra movimenti e sfera politica è un po' provocatoria, ma anch'io me la sono posta.

Ad esempio l'altra sera a Milano c'è si è tenuta una affollata assemblea con Santoro al termine della quale è bastato che Santoro nominasse Cofferati, per far scattare in piedi tutti i presenti.

Ho la netta sensazione che ci sia una sinistra ed anche una parte del movimento no global, disperatamente alla ricerca dell'uomo della provvidenza, dell'uomo che "ci fa vincere" secondo tutti i meccanismi mass mediatici. Adesso hanno deciso che quell'uomo è Sergio Cofferati.

Il problema non sono le sue personali qualità, né se alle elezioni del 2005 avremo Sergio Cofferati come leader politico. Il problema è, ancora una volta, come arriveremo a quella scadenza, su quali contenuti, con quali conti fatti col passato, attraverso quali passaggi democratici e quanto conteranno, a quel punto,  i movimenti.

Su questo dobbiamo interrogarci tutti.

Siamo a tal punto alla ricerca dell'uomo giusto da subordinare a questo anche la nostra autonomia nel muoverci, nel relazionarci? Vogliamo continuare ad etichettare gli altri movimenti oppure cerchiamo il confronto, la ricerca di contenuti comuni?

Il pensare che c'è un salvatore secondo i meccanismi mediatici è un errore, così come è un errore continuare a pensare che la destra abbia vinto perché ha condizionato con i suoi televisori il cervello della persone.

Credo che Berlusconi e la destra che ci governa, a differenza della sinistra, abbiano un progetto e dei contenuti politici e una cultura fortemente radicata in parte della popolazione del nostro paese e dell'Europa: incidono su cose concrete, reali, su immaginari collettivi materialissimi e hanno una strategia politica.

Se continuiamo a pensare che vince chi meglio si vende dal punto di vista mediatico, rischiamo di essere gli unici alla ricerca del miglior "venditore", perché non abbiamo più idee politiche, radicamento sociale, contenuti.

Sono tra quelli che pensano che una relazione con la politica vada tenuta sempre, ma vorrei si facesse uno sforzo per produrre contenuti, intrecci di cultura, contaminazioni reciproche in grado di partorire fatti concreti capaci di condizionare le scelte politiche.

Sono convinto che dovremmo avere anche la forza di formare i partiti perché quello che sta accadendo in Europa è il segnale che si stanno dissolvendo le forme politiche del novecento.

In Europa stanno sparendo le socialdemocrazie e i comunisti, mentre i verdi non sono stati una alternativa. Non possiamo fare finta che questo non succeda e continuare a riproporre tentativi che stanno dentro questa logica. Dobbiamo ricostruire sul serio, a partire dai contenuti che stanno dentro i vari movimenti, una nuova forma di ragionamento moderno valido per gli anni duemila.

I movimenti, nel confronto e nel conflitto tra loro, servono a conquistare cose concrete, materialissime ma anche a riscrivere la cultura, a partorire espressioni politiche.

Lamento l'assenza di relazioni orizzontali frequenti tra no global, movimenti sulla giustizia, Palavobis, movimento operaio. Bisogna andarle a ricercare bypassando anche le direzioni politiche tradizionali.

Anch'io sono convinto che si debbano individuare quattro o cinque temi che diano un segno di cambiamento, che marchino l'agenda politica e rappresentino una alternativa alla destra.

Ci sono già cose concrete su cui confrontarsi: tobin tax, art.18, e poi una questione delicata che bisogna però cominciare ad affrontare, la questione della pace e della guerra.

Non parliamone in astratto: se bombardano l'Iraq, cosa facciamo? Facciamo in modo che i movimenti ne parlino tra loro e condizionino il dibattito politico.

Altrimenti, lo dico brutalmente, Cofferati e Prodi saranno in difficoltà a dire "no" alle bombe che cadranno.

Se c'è un problema di autonomia dei movimenti dalla sfera della politica, c'è una autonomia della sfera della politica dalle esigenze globali dell'impero e degli organismi internazionali come il Wto? Non so fino a che punto. La guerra è quindi uno spartiacque, incontriamoci, facciamone un oggetto di discussione.

L'altro nodo delicato è quello delle privatizzazioni, che se si possono tollerare in alcuni settori, in altri sono assolutamente da contrastare. Considero terrificante, ad esempio che nel 2004 tutta l'acqua di questo paese, assieme a tutta l'acqua del mondo, finirà nelle mani di multinazionali come la Nestlè: è contenuto nella Finanziaria, votata da tutti, tranne Rifondazione.

E', oppure no un problema di democrazia il fatto che di questioni come questa nessuno parli, neppure sui giornali?

La finanziaria stabilisce inoltre che i grandi ospedali, gli istituti di ricerca di carattere scientifico come il S.Matteo di Pavia vengano messi sul mercato: si vende la ricerca scientifica. Così come la scuola: mentre in America tornano a finanziare la scuola pubblica, noi insistiamo sulla strada della privatizzazione del sapere.

Su queste cose sarebbe bene che i movimenti iniziassero a discutere: così si misura anche l'autonomia di ciascuno rispetto ai fenomeni della globalizzazione,  si contengono le spinta estremiste,  ci si può confrontare con i lavoratori.

Un altro nodo di fondo, sul quale si riaggrega nel mondo la forza della destra, è quello dell'immigrazione. Certo, non è il più semplice da trattare, probabilmente, però, aggredire la destra su altre cose che contaminano trasversalmente può produrre dei risultati anche su terreni spinosi.

Ripeto, la questione dell'acqua, della scuola, anche della guerra (dove non è così netta la separazione tra sinistra e destra) sono temi su cui si può rompere un fronte, contaminare, e questo può permetterci di reggere anche su terreni dove più è difficile incidere.

 

 

Iole Garuti

 

Torno alla prima domanda, che mi pare interessante: perché i movimenti sono nati dopo la fine del governo di centro sinistra mentre prima non è successo quasi nulla?

Anzitutto bisogna ricordare che era la prima volta che il centro sinistra andava al governo, e quindi si era creata una grandissima aspettativa; poi che era un governo debole, con una maggioranza risicata, per cui sono scattate giustificazioni tipo "fanno quello che possono" e abbiamo mandato giù rospi incredibili.

Personalmente, come molti altri, mi sono trovata in contrasto con la linea del governo di centro sinistra soprattutto sulle questioni della giustizia, ma anche sulla partecipazione alla guerra nei Balcani, e sulla parità fra scuola pubblica e scuola privata. A volte però ci sorgeva un dubbio: non sarà che essendo al governo non si può fare diversamente?

Lo stato d’animo più diffuso tra i militanti era più o meno questo: sarebbe bello dire e fare cose di sinistra (cioè realizzare le idee di sempre) ma adesso siamo al governo e dobbiamo risolvere il problema del deficit di bilancio, curare i rapporti internazionali, ottenere se non l’appoggio almeno la neutralità della Chiesa, ecc. All’inizio c’era in tutti una grande speranza e c’è stato un lungo periodo di attesa, poi D’Alema ha fatto la bicamerale ed è successo quello cui accennava Lella: quelli che erano in disaccordo se ne sono andati, le unità di base si sono svuotate, alle elezioni si è prodotto un fortissimo astensionismo.

E tuttavia il "quello non lo voto perché dice cose che non condivido", se è una scelta comprensibile dal punto di vista della coerenza personale, dal punto di vista politico è una scelta pericolosa, anzi decisamente negativa, perché regala un vantaggio all’avversario. Sta finalmente cominciando una discussione sugli effetti del maggioritario e mi auguro che si arrivi presto a modificare il sistema elettorale, perché quello di adesso è una sciagura. L’elettore infatti non può scegliere il candidato della lista, deve votare quello che altri, i partiti, hanno scelto per lui. E le scelte sono fatte sulla base dell’orientamento del collegio alle elezioni precedenti, quindi se uno abita in un collegio tendenzialmente di centro o di destra (non è difficile, a Milano) non avrà mai la possibilità di votare un candidato davvero di sinistra, perché non glie lo presentano nemmeno, in quanto è ovvio che verrebbe bruciato. Però si può pretendere che possa votare almeno per un candidato di centro onesto e coerente. E qui gioca il modo di rapportarsi al centro, gioca l’opinione che ci si è fatta di quel mitico centro che ci si affanna ad inseguire, convinti che “le elezioni si vincono se si vince al centro”.

Si è detto, e si continua a dire, che “siccome il centro è lassista e corrotto allora bisogna accantonare la questione morale perché solo così avremo i suoi voti”. Io dico che se uno è di centro, lassista o corrotto, si sente più sicuro se vota Berlusconi. E credo anche che ci siano molte persone del cosiddetto ‘centro’ che vorrebbero vivere in un paese dove le leggi valgano allo stesso modo per tutti; per questo non riesco a capire come un politico di sinistra  possa pensare di guadagnare voti al centro accantonando la questione morale e l’antimafia e proponendo candidati trasformisti o riciclati da esperienze non immacolate.

Un altro elemento che ha condizionato i militanti negli anni del governo di centro sinistra è l'abitudine alla delega e il rispetto della gerarchia, che dentro i partiti è fortissimo. Gli iscritti sono abituati ad andare alle manifestazioni se il partito o il sindacato le organizza, non gli viene in mente di poterle organizzare autonomamente (ed è anche giusto, altrimenti a che cosa serve far parte di un partito?). In questo c’è una notevole differenza fra chi è iscritto a un partito e chi fa politica o meglio prepolitica nella società civile, nel mondo dell’associazionismo.

Dopo che è andato al governo il centro destra molte cose sono cambiate, il primo segnale è venuto proprio dal mondo dell’associazionismo, soprattutto dai giovani, che si sono attivati contro il G8 per l’indignazione che la sofferenza di milioni di poveri del mondo aveva suscitato in loro. Si è prodotta una sorta di apertura delle dighe: le manifestazioni di piazza sono state organizzate in modo autonomo da molte associazioni, e gli iscritti ai partiti di sinistra hanno partecipato a titolo personale perché, eccetto Rifondazione, i dirigenti non erano d'accordo. E’ da qui che si è prodotta una divisione dei Ds in correnti (in realtà non sono considerate correnti, ma sono comunque un modo diverso di rapportarsi alla realtà presente e di prospettare il futuro): oggi esiste una sinistra Ds che ha preso forza proprio dopo l’esperienza di Genova e che si rifà in modo più chiaro ai valori della sinistra. I movimenti possono quindi influire anche sulle strategie e sulla dialettica interna dei partiti.

Nei movimenti si possono riscontrare differenze non solo rispetto ai temi, ma rispetto alla quantità e tipologia delle persone che sono capaci di coinvolgere.

Il movimento no global, che si è mobilitato prima degli altri (se partiamo dal 13 maggio 2001), parla di pace, di problemi internazionali, e ha portato alle proprie manifestazioni centinaia di migliaia di giovani sensibili alla sofferenza dei poveri del mondo, con una grande partecipazione di cattolici; il movimento sindacale ne ha portate in piazza milioni, prevalentemente di sinistra; il movimento per i temi della giustizia, che di solito coinvolgeva solo centinaia o poche migliaia di persone, ne ha riunito al Palavobis quarantamila, con grande partecipazione di moderati.

Al Palavobis forse c'erano anche degli operai, ma la grande maggioranza erano intellettuali, insegnanti, studenti, persone che considerano il problema giustizia, cioè l’uguaglianza dei diritti e doveri di tutti, indispensabile per la collettività; i lavoratori si muovono invece prima di tutto contro la disoccupazione, per il diritto al lavoro, quindi per un problema che è al tempo stesso personale e collettivo. I no global per problemi non individuali ma addirittura planetari, che a livello nazionale trovano riscontro nel problema dell’immigrazione.

In Italia, e non solo, domina oggi il sentimento della paura. Si potrebbe avere paura, ad esempio, della mafia, invece no, si ha paura dell'immigrato. Anzi, la paura delle organizzazioni mafiose si personalizza contro il povero immigrato che vende le sigarette di contrabbando, e dei mandanti nessuno si preoccupa. Fanno più paura le mafie straniere, quella albanese in primo luogo, che le mafie di origine italiana. I mass media dal canto loro aiutano a identificare il criminale nella figura di ogni immigrato, col risultato di favorire una politica di repressione poliziesca che certamente non dispiace al governo di centrodestra.

Abbiamo un bel dire ai ragazzini nelle scuole che l'immigrazione è ricchezza, che conoscere le altre culture è importante, che per il nostro paese è un fatto positivo, quando i genitori la pensano in modo diverso, dal momento che subiscono la suggestione di frasi tipo “gli immigrati portano via il lavoro”, “gli immigrati sono ladri e spacciatori”. Non è vero, ma a furia di sentirlo dire, magari con l’aiuto di un po’ di statistiche, ci si crede. E dopo l’11 settembre la paura è diventata terrore.

A proposito dei mass media: Enzo Biagi diceva durante un dibattito qui a Milano che non crede che gli italiani abbiano votato Berlusconi perché ha il monopolio delle Tv; la libertà di informarsi c’è, se si vuole, il problema è quali informazioni si scelgono. Berlusconi è abile nel comunicare, certamente, ma ha anche una strategia abile, che mette al primo posto l’impatto delle notizie sui cittadini, sugli elettori. E’ difficile che chi segue distrattamente la politica si renda conto degli effetti di alcuni provvedimenti, se non vengono sottolineati dalla Tv. E lui lo sa. Invece di cercare di cambiare la Costituzione con una commissione parlamentare, suscitando enormi discussioni a tutti i livelli e in tutto il paese, come ha fatto D'Alema, lui svuota la Costituzione dall’interno, senza (quasi) che nessuno se ne accorga, sfruttando gli spiragli che esistono nella Costituzione. Sulla composizione del Csm, ad esempio, nella Costituzione c'è scritto tutto, tranne il numero dei componenti: basta modificare i numeri e si modifica la struttura del CSM, senza bisogno di cambiare la Costituzione. Proprio quello che Berlusconi ha fatto. Naturalmente va detto che Berlusconi non ha neppure bisogno di scendere a patti con l’opposizione, come aveva fatto D’Alema, perché ha una maggioranza enorme. Perciò questo governo e questo Parlamento sono davvero molto pericolosi.

Pensare, come diceva prima Lella, "Mi auguro che Berlusconi rimanga", può avere effetti drammatici. E’ la vecchia politica del ‘tanto peggio, tanto meglio’ , ma io il meglio non lo vedo. E’ vero che se questa maggioranza resterà per tutta la durata della legislatura - è difficile prevedere il contrario -  ci sarà un consolidamento dell'opposizione: i partiti stanno già cambiando, anche grazie alla sferzata di Moretti, e prima o poi daranno certamente vita a una opposizione irrobustita, organizzata e strutturata; ma altrettanto certamente, alla fine, ci troveremo con un paese a pezzi.

E’ vero anche che le leggi si possono cambiare, per cui una volta finito questo governo ci si potrà mettere d’impegno e rifare tutto da capo, ma non sarà semplice. Dal punto di vista economico, ad esempio,  rischiamo di ritrovarci col paese  in condizioni tali che il prossimo governo di centro sinistra dovrà ricominciare con la politica dei sacrifici.

Non si deve dimenticare che il governo di  centro sinistra si è trovato con un'Italia sull'orlo del baratro (questa è una attenuante per quello che non è stato fatto o per quello che è stato fatto male) e  ha dovuto imporre al paese dei sacrifici per risanarla. Quando le cose hanno iniziato a funzionare è arrivato Berlusconi con i suoi miraggi, dopo Berlusconi ci sarà un nuovo periodo grigio per la popolazione, che temo non capirà. Il rischio è forte.

 

 

Edda Boletti

 

Siccome continuo a sentir parlare di Moretti volevo precisare che la manifestazione a Piazza Navona è stata fortemente voluta da Nando Dalla Chiesa. All’inizio ha cercato dei parlamentari, ma non volevano assolutamente che facesse il comitato "La legge è uguale per tutti", hanno litigato, poi ha trovato i trenta disponibili. Quarant'otto ore prima della manifestazione Fassino e Rutelli hanno detto: allora falla con L'Ulivo. Ma piazza Navona è stata organizzata con un giro di email da Dalla Chiesa.

 

 

Luigi Lusenti

 

Mi interessa molto discutere di autonomia. Abbiamo parlato di autonomia della società civile, dei movimenti, poi le riflessioni fatte si sono sempre collocate all'interno di una area politica che è quella della sinistra.

Ma Iole Garuti parlando delle forme della militanza e di come queste forme si sono espresse negli ultimi dieci anni, ha ricordato le tante trasversalità apparse, le contaminazioni con  culture diverse. C’è oggi una società civile che ha  una sua militanza e un suo modo di essere spesso alternativi a uno e all’altro degli schieramenti politici. Il nuovo di cui diceva Emilio Molinari può trovare legittimità in queste caratteristiche,  nuove non solo nei contenuti ma anche nei di modi di essere.

C’è un’autonomia della società civile  rispetto sia i governi di destra sia i  governi di sinistra ma c'è anche una autonomia diversa: quella di un soggetto che si pone nello schieramento politico e sociale del paese con una sua forza e una sua identità.

Tanto è vero che l'associazionismo rappresenta una fetta sociale che è trasversale, sinistra, ma anche cattolici e, su alcuni punti come la giustizia, la difesa dei valori costituzionali, c’è un’area moderata che però si mobilità.

La domanda allora è questa: che autonomia esiste nella società civile, totale da qualsiasi schieramento oppure di incalzo a uno schieramento di sinistra?

La novità di una società civile protagonista ma non allineata è pensabile all’interno di un sistema maggioritario, di un sistema dell’alternanza e non dell’alternativa?

 

 

Flavio Mongelli

 

E' un argomento complicato.

Intanto bisogna partire dal fatto che i movimenti sono uno degli elementi fondanti e il sale delle democrazia e nascono quando c’è uno scarto tra paese legale e paese reale (il sistema di rappresentazione delle idee e delle volontà delle persone).

Fingiamo sempre che i movimenti siano solo di sinistra: sono anche di destra, lo abbiamo visto anche tragicamente nella storia del nostro paese e dell'Europa.

Rispetto al discorso dell'autonomia credo si debbano rispettare i differenti mestieri.

Il movimento deve fare il movimento; il partito politico, all'alleanza, un insieme di partiti si devono occupare di fare proposte di governo.

C'è il tentativo in po' troppo forte in questo momento di caricare il movimento di compiti, ruoli, mestieri che non sono suoi: il movimento si occupa della droga, e allora deve occuparsi anche della sanità in regione Lombardia, delle occuparsi della scuola, ecc. ed esprimere la nuova leadership che cambierà il mondo.

Mentre io voglio, a proposito del debito dei paesi poveri,  che il governo Berlusconi, quello che c'è, lo azzeri. E il movimento sulla giustizia vuole che la Costituzione, le leggi italiane siano di un certo tipo e parla a tutti, non solo alla sinistra, è intransigente nei suoi contenuti, si da degli obiettivi, fa delle battaglie ma cercando di parlare a tutti, di allargare l'area di consenso attorno ai suoi progetti; cerca di modificare la società perché questa acquisisca i suoi obiettivi ed i suoi valori.

Come persona che sta dentro al movimento posso anche pormi il problema di far si (come in parte è successo sui temi della giustizia) che cambi anche l'atteggiamento politico del mio partito di riferimento o del sistema dei partiti o dell'Ulivo, ma sono due cose differenti.

C'è un rapporto tra i due mestieri, quello del movimento e della rappresentanza del partito politico, ma guai se uno diventi l'altro o se la ricaduta è il fatto che abbiamo una nuova avanguardia.

Genova è nata durante il governo di centro sinistra, discutevamo con Amato in difesa del diritto di manifestare. La manifestazione è avvenuta con il centro destra al governo ma la sua preparazione, i temi, le discussioni sono stati con il governo di centro sinistra.

I movimenti già in qualche modo hanno cambiato la politica. Aprile per la sinistra è realtà più consistente di prima; i parlamentari che hanno votato per la guerra fanno autocritica; lo stesso sindacato non è più quello di prima. Si tratta di cambiamenti non ancora del tutto metabolizzati, ma c'è una nuova sensibilità, una apertura di confronto su questi temi.

Ma questo cambiamento deve vivere nel rapporto tra due autonomie.

Può darsi che dal movimento nascano leader o persone che poi si trasferiscono nella sfera politica ma sarebbe pericoloso caricare sul movimento compiti che non ha.

I movimenti nascono sui alcuni contenuti, sui valori, su sensibilità, poi da cosa nasce cosa, le contaminazioni, anche le leadership, ma restano mestieri diversi.

Sicuramente c'è il problema che dobbiamo porci singolarmente come persone e come persone che sono dentro o responsabili dei movimenti, di cambiare la politica perché abbiamo scoperto che chi ci rappresentava, chi aveva la leadership della sinistra era arretrato rispetto alla capacità di leggere la realtà.

Se vogliamo fare esempi concreti: a Porto Alegre c'era il sindacato dei lavoratori uniti del Brasile, non c'era la Cgil; c'erano i partiti riformisti di quei luoghi, non c'erano i partiti dell'Occidente.

Quindi c'è una incapacità di essere all'altezza e di assumersi la responsabilità di creare una nuova leadership. Ma non dobbiamo caricare di questo il movimento che può influenzare questo processo. E’ rischioso  quello sta succedendo a Milano dove  quello che non si legittima come Social Forum anche se si chiama così, tende a proporsi più come partito politico che come pezzo di movimento-

Lo abbiamo visto nel passato, nella storia del movimento studentesco: quando il movimento sceglie la scorciatoia farsi partito, questo ha frenato, inibito le spinte positive presenti nel movimento, le ha ridotte, perché le ha ricondotte ad una sintesi è troppo ristretta rispetto all'area con cui il movimento interloquiva.

Almeno tra di noi non cadiamo nel tranello che è del sistema informativo ma anche del sistema di potere di negare il diritto al cittadino di esprimersi, di autorganizzarsi, di fare delle proposte, di mettersi insieme per portarle avanti.

C’è una spinta positiva? E il sistema comunicativo cosa fa? La negativizza.

Dietro a questa operazione c'è l'incapacità di concepire i movimenti come fatti positivi, neppure i movimenti di destra vanno trattati in quel modo, si tratta comunque di capire i problemi che pongono e di dare risposte sul terreno politico.

Berlusconi non ha vinto certamente per il possesso delle televisioni. Ma i danni più gravi, prendiamo ad esempio la guerra, li fa l'ideologia di guerra, l'apparato di comunicazione che deve difendere la guerra. La guerra finisce, lascia qualche casa distrutta, qualche morto, ma le idee che passano attraverso l'offensiva ideologica per difendere la guerra sono molto più negative della guerra in sé, perché si sedimentano nella testa delle persone.

Pensate, ad esempio, al recente assedio alla Basilica della natività di Betlemme: rispetto alle duecento persone che stavano all’interno della Basilica, le persone in armi erano molto poche, alcuni erano poliziotti dell'autorità nazionale palestinese, poliziotti di un piccolo territorio sancito dalla comunità internazionale, erano persone in divisa, gli altri erano civili, c'era il governatore di Betlemme lì dentro, come dire il presidente della nostra provincia, la Colli locale: l'ho conosciuto, è una persona per bene. Se in Europa dieci criminali avessero tenuto in ostaggio persone civili non si sarebbe comunicato nello stesso modo. Ma la televisione fa in modo che si sedimenti una percezione distorta della realtà: dei terroristi stanno facendo quella cosa, ecco ciò che rimane.

Quindi c'è un uso della comunicazione che crea opinione pubblica.

Questo sistema di comunicazione è forte su due aspetti: nel difendere la guerra chiamandola "umanitaria", "etica", e nel difendere i nostri privilegi.

Ed è su queste due cose, allora, che dobbiamo cercare di rompere, di trasformare il sistema di comunicazione, perché è quello che scava e sedimenta di più nelle coscienze.

La questione dell'immigrazione è un esempio. La piccola criminalità viene percepita come molto più pericolosa della grande criminalità.

In Italia, ad esempio,  si usano termini che sono propaganda bellica contro delle persone: in Francia chi non ha i documenti in regola (perché è entrato clandestinamente, o perché non ha più il permesso di lavoro) si chiama "sans papier"; da noi è un "clandestino".

C'è una offensiva culturale dell'Occidente, e Prodi e gli altri sono dentro questa cultura.

 

 

Luciano Guardigli

 

Sono d'accordo con Mongelli su molte analisi, sono molto più pessimista sul discorso dell'autonomia  del movimento. Per questo aspetto il problema è  Cofferati. Non credo che non sia ancora quello di prima e però la CGIL rappresenta almeno una metà, e la più vicina a noi, del movimento in questo momento.

Sulla questione della comunicazione. Ho scoperto, tardi, che ci hanno raccontato un mucchio di balle: non avevo mai pensato, nella mia vita, forse per provincialismo, che esistesse ancora la schiavitù. Adesso scopro che esiste sulle nostre strade. Vedo minacciato dagli atti polizieschi a Napoli e a Genova persino quell'habeas corpus che credevo ormai radicato nella coscienza dell'Occidente. Qui sono in discussione i principi fondamentali e c'è stato uno slittamento semantico. Se dobbiamo fare una guerra senza fine al terrorimo dovremo prima fare chiarezza sul significato di terrorista, altrimenti torniamo alla 'santa alleanza' di Matternich: un'alleanza dei conservatori della Terra contro tutti i  movimenti. La guerra che scoppierà in Iraq è assurda perché tutti sanno che non verrà eliminato nessun tipo di problema. I problemi nascono dallo stato delle cose, non dagli uomini, come s'illude il potere. I leader del 68 li hanno inventati, una volta chiusa la stalla,  i mass media.

 

 

Emilio Molinari

 

Torno al problema dell'autonomia dei movimenti dalla politica. Ho la sensazione che con tutti i suoi limiti chi ha (forse più per condizione oggettiva che per vocazione) una forte autonomia è il movimento dei movimenti.

Mentre è' innegabile che il movimento operaio (che porta 3 milioni di persone in piazza, ed ha una grande importanza per il paese) è percorso da un progetto politico: Cofferati for president.

Questo potenziale,  che non è automaticamente ulivista, non è ds, è tanto pervaso da questo progetto politico che ne limita evidentemente l'autonomia, che intercetta il movimento dei girotondi, del Palavobis e addirittura una parte dello stesso movimento no global che, dopo aver risposto agli assalti di Rifondazione e dei Verdi è un po' meno preparato culturalmente a non subire l'impatto e la pressione di un Cofferati che si presenta come soluzione politica generale.

Questo ha molte ripercussioni su alcune grosse questioni.

"Meno male che è arrivato chi ci salverà": è una scorciatoia che rischia di far perdere l'autonomia ai movimenti.

Sono d’accordo con Mongelli, i movimenti devono avere una loro dinamica riferita ai contenuti che portano avanti, poi c'è la sfera della politica, però, c'è una contaminazione costante, un rapporto.

In Inghilterra, ad esempio il processo di formazione dei partiti  è iniziato dai movimenti.

Come dicevo prima, il processo di dissolvimento delle forme della politica che hanno caratterizzato il novecento attraversa principalmente la sinistra: la destra è più avanti nel riposizionamento delle proprie rappresentanze politiche.

Le socialdemocrazia che si squagliano come neve al sole in tutta l'Europa; i comunisti che stando al governo o fuori dal governo non recuperano un voto dalla crisi delle socialdemocrazia sono fenomeni inquietanti.

La seconda questione, insisto,  è l'autonomia dalle dinamiche della globalizzazione.

Come si presentano i partiti di destra, centro destra, sinistra, centro sinistra sulla scena mondiale e che margini hanno di autonomia rispetto alle dinamiche della globalizzazione che dettano le leggi degli stati e delle amministrazioni?

Le istituzioni e i partiti subiscono i poteri sovranazionali che dettano le leggi. C'è un impero che modifica le regole del gioco degli stati di diritto, della democrazia.

In questa situazione quali sono i margini di autonomia possibili?

Sono convinto che ci sia una differenza tra centro sinistra e centro destra ma nell'immaginario collettivo è tutto più confuso: Genova l'ha fatta Berlusconi, ma Napoli l'ha fatta Bianco, avevano le stesse caratteristiche; le privatizzazioni in Italia le ha fatte prima Bassanini, oggi le fa Berlusconi.

Vedi un riprodursi delle stesse dimaniche.

Così però c’è il rischio di perdere di vista il fatto che su alcuni grandi temi ci siano delle resistenze: ad esempio sull'art. 18.

Trovo però che Cofferati abbia il limite di gestire la difesa dell’art. 18 come un obiettivo locale, anziché con un respiro internazionale.

Non è un obiettivo locale: non si può parlare d’ Europa e poi non agire per generalizzare i diritti a tutta la gente che in Europa lavora e vive.

Questo è uno dei diritti su cui si è fondata la dichiarazione universale dei diritti umani del '48, difenderlo significa difendere la civiltà europea.

Allora c'è bisogno di riqualificare una sinistra che abbia il coraggio e la forza di rivendicare processi che stanno fuori dalla globalizzazione e dalle pressioni internazionali.

La preoccupazione della destra comincia ad essere concreta.  Non si risponde stando dentro al tentativo di far quadrare il cerchio delle compatibilità imposte a livello internazionale dalla globalizzazione.

Se stai culturalmente dentro  queste compatibilità, dove stai tenendo e dove invece stai indebolendo le poche resistenze che ci sono per renderti gradito all'establishment internazionale?

La questione della guerra. Nel 1914 le socialdemocrazie di tutta Europa votarono la guerra e poi pagarono. Adesso tutta l'Europa ha votato tutta la guerra.

A questo punto si legittima chi dice: per quale motivo dobbiamo parlare d'Europa, dovevamo unirci per essere più forti verso l'America, l'America ci ha imposto due guerre, allora tanto vale che ognuno vada per la sua strada.

Dietro al prevalere di una componente antieuropea in Francia, in Danimarca c’è questo ragionamento: siamo subordinati all'America, tanto vale che ognuno scopra il suo nazionalismo, i suoi interessi nazionali.

Allo stesso tempo le destre usano la propaganda americana contro gli arabi così come agli Stati Uniti sta bene questa destra che spacca l'Europa.

L'ultima guerra ha molto dello scontro di civiltà. Ma se subisci la pressione americana e partecipi alla guerra in Afghanistan contro il pericolo arabo, fomenti le destre che il pericolo arabo lo scoprono paese per paese, immigrato per immigrato.

Questa corrente di pensiero di destra si sta articolando: in Francia è rappresentata da quel vecchio arnese di Le Pen, ma in Olanda e in Danimarca ci sono ben altri personaggi. Il leader della destra olandese è con questa faccia che si presentava: difendo il meglio della civiltà europea, difendo gli omosessuali mentre gli arabi li massacrano, difendo la libertà delle donne che gli arabi rifiutano.

Ed i danesi sono andati al voto in nome della difesa di un welfare che: “se arrivano gli arabi va a rotoli”.

Noi dovemmo essere in grado di dire: la civiltà europea ha prodotto il welfare ed ha prodotto i diritti per tutti, compreso il diritto d'asilo, su quello ci qualifichiamo altrimenti non siamo la civiltà europea.

Però non siamo chiari nell'esprimere queste cose.

 

 

Flavio Mongelli

 

Non dobbiamo sottovalutare un dato fondamentale. Siamo tutti convinti che la guerra in Afghanistan sia stata una guerra per la difesa degli interessi strategici dell'occidente.Ma quando parliamo di interessi strategici dell'Occidente non dobbiamo banalizzare e pensare che si tratti solo di alcune compagnie che guadagnano di più, perché il gasdotto passa da lì porta petrolio che serve al mantenimento delle nostre condizioni di vita.  C'è una saldatura, una identificazione tra l'opinione pubblica che accetta il messaggio secondo cui è giusto fare la guerra perché ritrova i suoi interessi e le idee della destra; per spezzare questo legame dobbiamo costruire una prospettiva diversa rendendola chiara e farcendone capire le convenienze.

Oggi la corruzione interna alle società dell'occidente comincia ad essere forte, siamo di fronte ad una crisi di civiltà perché i nostri interessi strategici mettono in discussione i diritti degli altri.

Pensate all'apartheid in Sudafrica ed a quanto era forte il suo rapporto con l'Inghilterra, con la popolazione e con i partiti inglesi. Chi ha tentato di impedire un certo tipo di evoluzione della Rodesia ed ha combattuto contro l'indipendenza? La civile Inghilterra. Così come i francesi hanno fatto con l'Algeria.

Oggi la stessa cosa rischia di crearsi con l'integrazione. E c'è una saldatura tra opinione pubblica e poteri sovranazionali il cui cemento va studiato perché si esprime attraverso un capovolgimento semantico fortissimo: come altro definire  la guerra "umanitaria" se non come un imbarbarimento del linguaggio?

 

 

Lella Bellina

 

Ha ragione Mongelli: dobbiamo apprestarci a compiere un grande lavoro culturale. Il voto in Francia è significativo del fatto che è passata in Occidente la guerra tra poveri. Nelle periferie parigine, Le Pen ha ottenuto consensi anche dagli immigrati di prima generazione che si sono inseriti nel mondo del lavoro, che dopo anni di sacrifici, magari,  sono riusciti ad acquistare un alloggio e si schierano contro i nuovi immigrati che in qualche modo mettono in discussione il misero benessere conquistato.

E' passato qualcosa di pericoloso e sottile: è passata la conservazione del nostro piccolo o grande benessere.

Torno sul discorso dell'autonomia, perché oltre al lavoro di lungo periodo ci sono cose contingenti e scadenze che ci obbligano.

Considero un po' snobistico questo parlare solo del lavoro culturale, perchè sottintende la che devono essere i partiti ad occuparsi di politica.

Considero la guerra sbagliata e contro la guerra mi batto, faccio le manifestazioni: che la proponga Berlusconi, la mia mamma, Massimo D'Alema.

E' questo che intendo per autonomia.  E, insisto, questa autonomia ha scarseggiato con il centro-sinistra al governo.

Detto questo, ci piaccia oppure no, e questo sistema si regge sui partiti. Dopo le elezioni francesi, la banalissima osservazione fatta da più parti è stata: uniti si vince, divisi si perde. Ottimo. Ma a me poco importa la vittoria di una futura colazione che vada da Cossiga a Di Pietro, fino a Bertinotti ed oltre, se da quella coalizione non mi giungerà un segnale chiaro su questioni che considero fondamentali.

L'autonomia è un valore, ma è indispensabile che i movimenti entrino in un rapporto, sia pure conflittuale, con la sfera politica.

 

Luciano Guardigli

 

Ci sono momenti storici in cui si verificano situazioni  illuminanti, intrinsecamente rivoluzionarie. I processi culturali in quei rari casi non sono graduali,  ma istantanei. Ci sono stati momenti storici che hanno visto prese di coscienza improvvise, non è l'evoluzionismo di Darwin. Dobbiamo capire quali sono i problemi.

Penso che il problema dell'acqua  potrebbe essere illuminante per la gente, ma bisogna prima conquistare spazio nell'informazione, fare controinformazione non basta. Fino a questa sera neanche io, che credo di essere mediamente informato, immaginavo che si potesse arrivare alla privatizzazione dell'acqua nel 2004.

In Inghilterra le privatizzazioni delle ferrovie hanno portato già al disastro. Tutto questo denuncia la forza del sistema di interessi privati che c'è attorno alla politica, che la rende impotente. È la rete del sistema capitalistico, delle multinazionali e degli interessi privati, degli azionisti e dei loro interessi quello che tiene insieme il mondo. Da parte nostra manca un grande progetto credibile.  Da un progetto forte di alternativa nascono le risposte da dare perché la gente prenda coscienza, altrimenti noi cerchiamo di migliorare le condizioni della gente e poi la gente cambia idea perché ha, finalmente, il suo orticello da proteggere dalla massa dei più poveri. Temo sia contraddittorio, ma automatico. Le grandi parole d'ordine che si possono trovare culturalmente filtrano subito: non ci vuole tanto a capire il problema dell'acqua anche contro i mass media se la gente lo sperimenta sulla propria pelle.

Comincerei a stringere sugli elementi che abbiamo indicato, muoversi assieme per farli filtrare nel dibattito politico. Sulla pace, per esempio, avremo dei problemi perché molti anche a sinistra pensano che l'Europa, prima o dopo, deve esserci anche militarmente.  Sull'acqua, forse, ne avremo meno. Sulla questione dei diritti credo che una battaglia si possa fare perché i movimenti si sono mossi autonomamente. Se c'era un pessimismo della politica, oggi il movimento l'ha in parte dissolta, spero.

Tra le cose che i libri ci hanno insegnato è che la lotta per migliorare la democrazia, per non tornare indietro non finisce mai.

 

 

Iole Garuti

 

Rispetto all'autonomia credo che il ruolo dei movimenti debba essere quello di incalzare i partiti, di suggerire tematiche e di controllarne l’azione, mantenendo una divisione dei ruoli. Senza questa separazione è molto probabile che a un leader del movimento che si mette in evidenza venga poi offerto un seggio in parlamento e il movimento subisca allora una battuta d'arresto: non so quanti partiti gradiscano avere a lato movimenti davvero forti e indipendenti. I movimenti sono importanti anche perché possono coinvolgere quelli che sono stanchi e delusi ma che vorrebbero comunque fare qualcosa per la società senza entrare in un partito dove ci sono regole e strategie da rispettare, decise altrove.

E' anche vero, e ce ne stiamo accorgendo, che i movimenti hanno già ottenuto un successo: l'aver fatto capire ai partiti di sinistra (io posso parlare solo di questi) che hanno fatto degli errori, che devono fare autocritica, cambiare. Dalla manifestazione di piazza Navona in poi i partiti hanno capito che se la gente grida, si arrabbia, evidentemente devono modificare qualche cosa.

E stanno prendendo in esame l'ipotesi di cambiare: c’ è un tentativo di apertura e di dialogo tra i partiti per arrivare ad una politica unitaria di sinistra, che mi sembra importante.

Ma c’è soprattutto un enorme lavoro culturale da fare, nei movimenti, con i movimenti, nella società civile.

 

 

Emilio Molinari

 

Da qualche mese si è ribaltato il rapporto tra movimenti e partiti.

I movimenti, dopo un primo grande slancio, oggi stanno un po' a guardare e vengono avanti processi politici separati dalle dinamiche dei movimenti.

Ho la sensazione che si ritorni ai partiti che tentano di condizionare i processi dei movimenti non ai movimenti che forzano, condizionano i partiti, anche perché i movimenti non hanno saputo relazionarsi tra loro.

 

 

Luigi Lusenti

 

 

Al di là della ampiezza dei movimenti  c'è un ventre molle della società in cui non si riesce a far passare idee e comportamenti non omologati, non ortodossi. E’ il ventre molle che si propone protagonista ad ogni elezione. Sono anch’io convinto anch'io che qualcuno debba porre delle domande di programma ai partiti. Attenzione, però,  se io pongo questi punti ma poi non ho la forza, la bravura, la capacità di far viaggiare le idee all'interno della gente, i partiti possono pure assumerli per una loro battaglia ma rimarranno minoritari nella società. Il mestiere delle organizzazioni della società civile è quello di far crescere il consenso attorno a questi punti fra le persone. Più crescerà il consenso e maggiore saranno le difficoltà dei partiti a non recepire richieste popolari. Oggi invece si annusa un’aria diversa, un’aria di “restaurazione” condivisa da moltissime persone. Lì vedo l’impegno maggiore di associazioni e volontariato. Se più gente sarà convinta dell’inutilità delle guerra, della necessità di una convivenza globale, di un rispetto reciproco, di valori non solo di consumo, di una difesa del territorio, por citare solo alcuni punti importanti, io credo che anche il quadro politico dovrà essere diverso. L’altra strada, rischia di diventare una testimonianza, di lasciarci, come quei personaggi di Fitzgerald “belli ma dannati”.