In questo numero

 

Il ponte della Lombardia  - maggio 2001 n. 61 

 

Il gioco nuovo che non sappiamo inventare

Lella Bellina

 

E facciamolo questo miracolo 

Luigi Lusenti

 

Si' e No

Emanuele  Tortoreto 

 

Elezioni a Milano

Franco Calamida

Laboratorio Lombardia

Mario Agostinelli

 

La destra plurale

Antonio Corbeletti

 

Sulla circolazione delle merci lungo la penisola

Eugenio Lucrezi

 

Risiko Jugoslavo

Amerigo Sallusti

 

Sul Danubio

Predrag Matvejevic

 

"Radio Clandestina"

quando il teatro difende storia e memoria

A.C.

Da Fassbinder  a Ozon

Gocce d'acqua su pietre roventi

Marcello Moriondo

 

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Il ponte 

della Lombardia

 

periodico di commento

critica progetto

 

Editore

Comedit 2000

 

Presidente

Paolo Pinardi

 

Direttore resp.

Luigi Lusenti

 

Redazione

L. Bellina, E. Cavicchini

A. Celadin, A. Corbeletti

G. Falabrino, L. Miani

A. Ripamonti, F. Rancati

 

 

Direzione e Amministr.

Via delle Leghe, 5

20127 Milano

Tel. 02/28.22.415

Fax 02/28.22.423

ilponte@galactica.it

 

Reg. Trib. MI

n. 304 maggio 1992

 

 

La destra plurale

 

In questi giorni non so quanti si saranno sorpresi per l'intesa raggiunta tra lo schieramento della destra e la Fiamma di Rauti in Sicilia. A seguire la manfrina di alcuni esponenti di FI e CCD, con le ovvie giustificazioni sul meccanismo elettorale, siamo obbligati, e' un aspetto locale, ecc...

Riflessioni a parte sulle pulsioni piu' revansciste e sulla cultura politica espressa dallo schieramento berlusconiano, messi in luce dalla vicenda richiamata, lo stupore dimostrato da alcuni esponenti politici e' decisamente fuori luogo. Perche' da tempo sono noti, leggibili e ampiamente documentabili i temi, le campagne, le parole d'ordine che uniscono FI, Lega e An con tutta la galassia della destra neofascista. Ed il “senso comune” che tendono a produrre, ad esempio, le paranoie sulla presunta invasione degli immigrati o sulla sicurezza, agitate insieme da anni ed inseguite anche da chi dovrebbe smascherare la strumentalita' di queste posizioni.

Guido Caldiron - collaboratore de "il manifesto" e "Liberazione", (oltre che della nostra rivista sulla quale ha scritto piu' volte sui diversi volti della destra lombarda) - offre ai piu' distratti e superficiali con la sua ultima fatica "La destra plurale. Dalla preferenza nazionale alla tolleranza zero" -(ed. Manifestolibri 2001 - L.29.000), l'occasione di capire la crescita elettorale e non solo, dell'estrema destra negli ultimi quindici anni.

Il quadro tracciato da Caldiron, osservatore coraggioso e attento da anni di tutto quanto si muove nella destra, vecchia e nuova, riunisce ricerche e interventi svolti negli ultimi anni.

Parte dal nostro paese - dalla vittoria polista del '94 con l'arrivo al governo di Lega e MSI, non ancora trasformato in AN, ed il segnale dato a tutte le formazioni di estrema destra europee, molto prima del caso Haider - per toccare Austria, Francia e le altre realta' del continente, compresi Est e Jugoslavia, passando per gli USA del modello Giuliani e delle varie milizie, svolgendo un'ampia disanima sui vari aspetti dell'offensiva culturale, storica e politica condotta in questi anni. Insomma una sorta di mappa dettagliata su un “mondo” spesso sottovalutato e poco analizzato a sinistra e che ha allargato la propria capacita' d'influenza ben oltre i propri rigidi confini di appartenenza. Infatti quello che oggi dovrebbe maggiormente preoccupare e' che le differenze e le distanze che separavano la vecchia destra conservatrice da quella piu' radicale, intollerante e xenofoba sembrano sfumare. Per questo l'espressione "destra plurale" sta anche ad indicare quella possibile saldatura tra diversi profili di destra presenti in Europa. “Xenofobia, razzismo, ideologia “law and order”  - scrive Caldiron - sono le risposte che la destra plurale del 2000 offre come elemento di identificazione ai perdenti, ma anche a una parte di coloro che, difendendo piccoli e grandi privilegi, credono di uscire vincitori dalle sfide della globalizzazione. Questa destra si nasconde e si nutre nei processi di modernizzazione capitalistica, e nelle contraddizioni che ne sono prodotte”.

Non a caso l'autore cita Bihr e la sua "ipotesi" sul collegamento tra crisi del movimento operaio e ricostituzione di un movimento di estrema destra di massa, all'interno dei processi di rottura del modello fordista, messa in discusssione degli stati nazionali e delle politiche di welfare richiamandolo nelle osservazioni che "la risposta allo sviluppo dell'estrema destra va di pari passo con la ricostruzione di un movimento anticapitalista".

La ricerca di Caldiron oltre che utile per l'enorme mole di informazioni che mette a disposizione, sollecita anche politiche necessarie ed urgenti per mettere in atto una iniziativa efficace, perche' - citando una riflessione di Pier Paolo Pasolini – “…occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalita', come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una societa'”.

 

 

 

 

 

 

"Sul Danubio"

 

terza puntata del diario di Predrag Matvejevic scritto durante una visita in Jugoslavia

 

Sono sempre piu' numerose le persone che si accostano agli studenti in maglietta nera sulla quale e' impresso un pugno chiuso con la scritta OTPOR, Resistenza. Vorrebbero abbattere il regime antidemocratico con i mezzi democratici, ma la cosa non e' facile – qui non c’e' democrazia, bisogna appena costruirla. In tale situazione sono forse inevitabili i paradossi e i compromessi: “Basta con i compromessi, i loro e i nostri - confessa la giovane scrittrice Biljana Srbljanović (di cui sono conosciuti in Italia i diari, pubblicati dalla “Repubblica”).:- “Anch’io per prima, io che vado a tutte le dimostrazioni, mi sono adattata a terribili compromessi con me stessa. A me non interessa il comizio che comincia con il vecchio inno nazionale serbo Dio di giustizia, non mi piacciono i comizi durante i quali gli oratori si rivolgono a noi con lo slogan ritmato Gloriose le vostre ferite”; a questi comizi non c’e' posto per me. Eppure mi sono adattata al colossale compromesso con me stessa - cioe' alla fine cedo, ci vado, e per consolarmi dico va bene, non importa. Quando firmai l’adesione a Otpor, mi chiesi: ma che vado a farci io, in quell’organizzazione insieme a uno scrittore nazionalista qual e' Dobrica Ćosić? Questa e' un’ingiustizia ontologica. Che ci faccio in un’organizzazione che va a chiedere consigli alla Chiesa ortodossa serba per la miliardesima volta senza alcun risultato?”.

    Simili sono le riflessioni dello scrittore dissidente Filip David, uno dei fondatori a suo tempo del “Circolo belgradese” poi distrutto dal regime, oggi alla testa del “Forum degli scrittori”, un gruppo non nutrito di personalita' che stanno sulla barricata opposta a quella dell’Associazione degli scrittori serbi, ultranazionalista. Filip mi ha invitato a partecipare a una loro riunione. Il regime non ha ancora permesso al “Forum” di registrarsi come organizzazione, non dispone di mezzi finanziari, non ha un proprio organo di stampa. Gli aderenti si propongono tuttavia di pubblicare qualche libro. I nazionalisti li disprezzano, essi invece sperano di calamitare nel “Forum” i giovani di “Otpor”.

             “I buchi nell’intelletto”, spiega David durante  une riunione del Forum, “si trasformano in precipizi,  i piccoli errori in grandi abbagli; le malignita' in crimini; i furti di poco conto in rapine di vaste dimensioni.” Cita le parole di Thomas Mann: “Chi difende la letteratura pura appare miserabile ai suoi stessi occhi, perche' la lotta politica e' talvolta piu' importante, di maggior peso e piu' degna di rispetto  di tutta la poesia”. Uno scrittore qual e' Filip David, che ha in se' piu' generosita' che praticita', non abituato alla vera lotta politica non ha la forza di  opporsi a coloro che diffondono la paura della “congiura mondiale”, dei “nemici interni ed esterni”, dei “servi della NATO”, dei “servizi di spionaggio stranieri”, delle “quinte colonne”, dei “mercenari nascosti nelle nostre file”. Proprio per questo apprezzo ancora di piu' il suo impegno. Dopo l’incontro col “Forum degli scrittori” mi sento ancor piu' inquieto di quanto lo ero prima. Forse era inevitabile.

            Alla riunione tenuta al “Centro per la decontaminazione culturale” sono intervenuti molti vecchi amici. Dopo un intero decennio - e dieci anni come quelli da noi duramente vissuti! - non riesco a riconoscere piu' alcuni di loro; e non vorrei che se ne accorgessero. Con alcuni non riesco ad attaccare discorso, con altri ricordiamo cosa c’era una volta - si',si', so bene, in una tale occasione, che vuoi farci, tante di quelle, chi lo poteva immaginare eccetera, eccetera.. Quando uno lascia il proprio paese comincia a vivere un’altra vita , che cancella parte della vita precedente. Quando ritorna nel luogo in cui si parla la sua lingua, pensa ormai in una lingua diversa. E poi, anche quei luoghi sono cambiati, e sono mutati i rapporti degli uni verso gli altri. Il tempo (il “frattempo”, a cui ho dedicato tante pagine) ha tessuto un velo o una cortina - l’uno e l’altra- soltanto qua e la' trasparenti, sicche' non si riesce a riconoscere tutto cio' che si vede attraverso di essi. E quel che si vede appare piu' o meno trasformato. Dal volto che vi sta di fronte bisogna tornare al volto che e' rimasto nella memoria. Incontri una donna che una volta hai amato e non riesci a capacitarti di aver fatto con lei l’amore - non e' la stessa donna. E comunque rassomiglia tanto ad essa. Dieci anni non sono cosi' pochi nella nostra caducita'.

            Ho parlato, dunque, di “Cio' che ci e' capitato”, e mi rendo conto di non aver scelto un titolo adeguato, perche' il “cio', che” non e' ancora cessato. Il palco dal quale parlo dista dal pubblico una decina di metri, una distanza che mi aiuta fino a un certo punto a concentrarmi. Dilato il mio racconto su “Riccardo III” nella guerra jugoslava, adeguandolo alle esigenze della “decontaminazione culturale”. La sala accoglie la parte piu' coraggiosa e piu' onesta dell’intellighenzia serba. Aggiungo che nella situazione attuale, tuttavia, e' impossibile che si verifichi un Amleto, nonostante tutto il marcio che esiste nello “Stato di Danimarca”: avrebbe egli, oggi, il coraggio di ammettere di non considerare gli Albanesi Kossovari gli unici “responsabili dell’intera tragedia”? Sarebbe capace di vedere la vittima almeno in qualcuno di loro? A un certo punto ho notato il volto serio e illuminato di un attore di nome Bekim Fehmiu, albanese del Kosovo che da giovane fu uno dei piu' brillanti Amleti sui palcoscenici jugoslavi. Per tutti questi anni e' rimasto a Belgrado, insieme alla moglie, attrice serba. La guerra non li ha separati. Sono stato felice nel vedere, alla fine della conferenza, Bekim Fehmiu avvicinarsi e stringermi forte la mano. Egli crede in una congiura mondiale contro la Jugoslavia, io non ci credo; ma questo, per se', non e' molto importante. Egli e' rimasto qui, io me ne sono andato. Lo sguardo che ci siamo scambiati e la stretta di mano hanno lasciato in me un senso di vicinanza, di complicita'. E’ mai possibile?

            Quasi tutto quello che in questi anni ho scritto e pubblicato all’estero la maggior parte dei presenti non ha potuto leggerlo. Mi e' sembrato quasi di presentare una specie di relazione su quello che ho fatto in questo lungo periodo di assenza – fra asilo ed esilio. Per l’occasione citero' appena  qualche brani che cercano di spiegare quello che e' avvenuto in Jugoslavia.   

         

         La tragedia che ci e' capitata e' cominciata, in verita', prima che ci rendessimo conto di che si trattava. Molti di noi non credevano che potesse succedere una cosa del genere: una guerra che al tempo stesso e' stata nazionale, statale, religiosa, civile e non so ancora che cosa, in ogni caso fratricida. Non era necessario che accadesse, almeno non in questo modo, quanto e' accaduto. Non credevamo che nel nostro passato ci fosse tanto male che attendeva il momento opportuno per uscire allo scoperto, che nel profondo covassero tante passioni, che accanto e intorno a noi si nascondessero fantasmi che non abbiamo saputo seppellire...

            Nel paese che si e' frantumato e diviso i discorsi stessi non sono unitari ed accentrati. Sara' necessario esaminare da diversi aspetti i presupposti incerti, i dubbi rimasti insoluti.Sappiamo quanti sforzi sono stati profusi perche' fossero riconosciute e si affermassero le culture nazionali su questo territorio e fosse garantito a ciascun popolo il diritto alla propria cultura. Nel rispetto di questo diritto, oggi vediamo con piu' chiarezza molte cose che ieri avevamo trascurato: presso i popoli nei quali le tradizioni della laicita' o secolarita' sono scarse e fragili, nazionalita' e religione vengono spesso confuse l’una con l’altra, la nazione viene intesa in senso religioso, l’ideologia (nazionale) in senso confessionale. Gli strati inferiori della cultura nazionale, sotto diversi pretesti, si trasformano in ideologia della nazione. Tale ideologia partorisce o sostiene forme primitive di nazionalismo. Un tanto vale anche per la coscienza nazionale che s’impone escludendo le altre forme di coscienza, individuale e sociale. L’energia  nazionale assorbe le altre energie dell’individuo e della collettivita', le sottomette e le uniforma. In questa situazione i pregiudizi prevalgono sul giudizio. L’autocommiserazione rende impossibile la condivisione dei sentimenti altrui. La nazionalita' diventa piu' importante dell’umanita'. Il mito e la vittoria sul mito vengono posti sullo stesso livello.

            Nei naufragi e nelle avarie del passato molti hanno perso la fiducia e consumato le energie, diventando indifferenti o cinici. I tentativi di riunire i nostri popoli in un nuovo stato comune, imbarcandoli su una carcassa di nave senza alberi e senza vele, in questo momento, purtroppo, rientrano nel novero delle utopie.

            In alcuni settori, che non sono fra i piu' importanti, forse abbiamo acquistato piu' esperienza di quanto ne avessimo bisogno. Noi stessi, a momenti, non sappiamo che farcene dell’eccedenza:

     e' difficile conquistare il presente senza aver superato il passato;

    abbiamo difeso il patrimonio nazionale, dobbiamo essere disposti, in un determinato momento, a difenderci da questo stesso patrimonio;

     abbiamo cercato di salvaguardare la memoria senza chiederci che cosa  c’e' in esse piu' valido o meno -  arriviamo  cosi' al punto di dover salvare noi stessi da quella memoria;

ci vengono offerte le liberta', ma non sappiamo che farcene, oppure siamo tentati di abusarne;

    ci vengono imposte le divisioni, e non c’e' piu' che cosa dividere - nei Balcani e dintorni c’e' poco posto per le grandezze: per la Grande Serbia o la Grande Albania, per la Croazia fino al fiume Drina, per la Bulgaria che inghiotti la Macedonia, per il ripristino degli antichi regni e imperi, nostri o stranieri.

            E’ difficile trasformare le eredita' sparse in proprieta'. I governanti delle grandi potenze del mondo non permettono che vengano spostati gli altrui confini per evitare che essi stessi siano costretti a modificare i propri. Europeizzare i Balcani o balcanizzare l’Europa: questo slogan non ha il medesimo significato nell’Europa occidentale e nei Balcani.

            Sotto l’occhio vigile del mondo, che ci sorveglia come se fossimo dei pupilli minorenni, cerchiamo di convincere noi stessi di essere capaci di raggiungere alti livelli ed elevati gradi di autonomia e sovranita'. Pare pero' che non li abbiamo meritati, molti fra di noi non ne sono degni. A giudicare dall’insieme, le pressioni dall’esterno continueranno ancora a lungo per costringerci a instaurare fra di noi rapporti piu' civili ed a frenare le tensioni interne. Per raggiungere tali traguardi lo Stato unitario non e' un presupposto necessario. La permeabilita' dei confini e lo scambio dei beni materiali e spirituali, gli incontri fra le persone e i contatti fra le culture, il flusso delle idee e delle esperienze, il confronto fra i creatori di opere e le opere stesse sono diventati criteri di civilta'. Essi non sminuiscono per nulla le identita' nazionali e non minacciano l’autonomia. Chi non e' in grado di riconoscerli e non vuole assumerli come criteri propri e' destinato a vivere nuovamente il passato, la sua parte peggiore. Un enorme lavoro attende gli intellettuali nell’area balcanica e para-balcanica. Soprattutto perche' l’intellighenzia in quest’area e' debole e decimata, e si porta sulle spalle il peso di errori e fallimenti.La storia e' in grado di porci di fronte a circostanze inattese. Non e' di troppo, in questa occasione, ricordare l’esempio offertoci, dopo la piu' terribile guerra del ventesimo secolo, dagli intellettuali progressisti tedeschi: ebbero il coraggio di mettere lo specchio in faccia al proprio popolo, fargli vedere tutta la mostruosita' del nazismo che quel popolo aveva seguito in massa, metterlo di fronte - senza pieta' e concessioni. Non credo che una tale resa dei conti sia un privilegio dei “grandi popoli”, ne' che essa si esprima in termini di quantita'...

 

 

Radio Clandestina

 

La scenografia e' inesistente. Solo una sorta di stipite dal quale pendono alcune lampade, che servono a dare maggiore luce alla figura che snoda il suo racconto.

Ascanio Celestini per il suo monologo "Radio clandestina" non ha bisogno di effetti speciali, basta solo la sua voce per coinvolgere il pubblico su una vicenda che sembra chiudersi in pochi giorni - l'attacco partigiano di via Rasella ed il massacro nazista delle Fosse Ardeatine - ma che, in realta', e' parte della storia romana ed italiana della prima meta' del secolo.

Basato sulla ricerca di Alessandro Portelli ("L'ordine e' gia stato eseguito". ed. Donzelli, premio Viareggio 1999) la lezione di storia di Celestini vede al centro le vicende di uomini e donne le cui esistenze si intrecciano con le trasformazioni di Roma capitale, fino all'avvento del fascismo, la guerra, l'occupazione tedesca dopo l'8 settembre, la resistenza.

Con la forza del racconto teatrale, rigorosamente basato sulla verita', vengono smentiti luoghi comuni e interpretazioni distorte: Roma non era "citta' aperta", ma una retrovia delle truppe naziste, regolata dalle leggi di guerra, con le deportazioni di ebrei, i bombardamenti alleati, una lotta partigiana aspra e tenace, decine di fucilazioni e arresti ad opera delle SS e dei repubblichini. Il culmine dell'orrore verra' raggiunto con il massacro delle Ardeatine, 335 persone uccise subito, senza chiedere il famoso "scambio" con i partigiani autori dell'azione sul quale la destra per troppi anni ha imbastito una campagna di disinformazione.

Uno spettacolo teatrale ed allo stesso tempo una lucida e appassionata lezione di storia a difesa della memoria civile non solo di Roma ma di un intero periodo storico.

Per info: Macchine Teatrali 06/36003967 – 3234513

e-mail: macchineteatrali@katamail.com