In questo numero |
Il ponte della Lombardia - marzo 2002 n. 64
|
|
Piu' la notte e' fonda... Luigi Lusenti
Dallo sciopero della Fiom al 23 marzo della Cgil Lella Bellina
Everyman e' Superman Roberto Giannoni
I
diritti: una battaglia di civilta'
Il Congresso dello sciopero generale Carlo Gnetti
Le casse di resistenza Emanuele Tortoreto
Perche' tanti sono antiamericani Gian Luigi Falabrino
Politici e magistrati ieri e oggi Jole Garuti
Non passi lo straniero! Giorgio Roversi
ATDAL per la difesa dei diritti acquisiti Armando Rinaldi
A spasso con poeti, in tempo incivile, tra le folle delle civili citta' di firenze e Napoli (nonche' di Pesaro) Eugenio Lucrezi
Oltre il sipario, quale futuro per il teatro alla Scala? Anna Celadin
Dalla via della seta alle vie del petrolio Amerigo Sallusti
Argentina: ancora quelle mani in pasta Daniela Binello
La memoria del lavoro all'estero Alessandro Casellato
Il militante della Cgil di Bergamo Eugenia Valtulina
Il convegno sulla memoria del lavoro Angelo Bendotti
I cittadini con il voto possono scegliersi un altro sindaco. Un sindaco non puo' cambiare il voto dei cittadini Antonio Tagliaferri
Da zero a dieci intervista a Luciano Ligabue Marcello Moriondo
******************
Il ponte della Lombardia
periodico di commento critica progetto
Editore Comedit 2000
Presidente Paolo Pinardi
Direttore resp. Luigi Lusenti
Redazione L. Bellina, A. Celadin, A. Corbeletti, G. Falabrino, A. Ripamonti, F. Rancati
Direzione e Amministr. Via delle Leghe, 5 20127 Milano Tel. 02/28.22.415 Fax 02/28.22.423
Reg. Trib. MI n. 304 maggio 1992
|
Dallo sciopero della Fiom al 23 marzo della Cgil 6 luglio 2001: la Fiom sciopera, da sola, contro un accordo per il rinnovo del contratto nazionale siglato da Fim, Uilm e Federmeccanica diverso da quello approvato dai lavoratori e per sancire il loro diritto ad avere l'ultima parola su cio' che direttamente li riguarda. 23 marzo 2002: manifestazione nazionale contro le deleghe del governo, preludio dello sciopero generale di otto ore indetto per il 5 aprile, organizzata dalla sola Cgil. Tra queste due date, tra le due “rotture” dell’unita' sindacale, sono intervenuti eventi che su scala planetaria oltre che nazionale hanno cambiato lo scenario. 21 luglio 2001, Genova. Una Genova che vorrei ricordare per i trecentomila convinti che “un altro mondo e' possibile”, piu' che per la violenza di chi li avrebbe voluti muti. 11 settembre, New York. L’America, ferita, reagisce ribadendo il proprio dominio sul globo. Poche settimane dopo alle vittime innocenti dell’attentato terroristico al World Trade Center, gli Stati Uniti ed i suoi piu' o meno convinti alleati rispondono spargendo terrore sulla martoriata terra afgana; Sharon ne approfittera' per tentare di risolvere definitivamente la “questione palestinese”. 14 ottobre, marcia Perugia-Assisi. In duecentomila per dire che la premessa di un altro mondo possibile e' il rifiuto della guerra, senza “se” e senza “ma”. 16 novembre, Roma. Duecentocinquantamila metalmeccanici manifestano a Roma con la Fiom. 31 gennaio - 5 febbraio 2002, Porto Alegre. Il Secondo Forum sociale mondiale si conclude con un appello che recita: “Lottiamo: per la democrazia, i popoli hanno il diritto di conoscere e criticare le decisioni dei loro governi, specialmente quando riguardano istituzioni internazionali. I governi devono essere responsabili di fronte ai loro popoli. Mentre sosteniamo la diffusione della democrazia elettorale in tutto il mondo, sottolineiamo la necessita' di una democratizzazione degli stati e delle societa' e la lotta contro la dittatura; per l'abolizione del debito estero e la sua riparazione; contro le attivita' speculative, chiediamo l'introduzione di tasse specifiche, come la Tobin tax, e l'abolizione dei paradisi fiscali; per il diritto all'informazione; per i diritti delle donne, la liberta' dalla violenza, poverta' e sfruttamento; contro la guerra e il militarismo, contro le basi e gli interventi militari stranieri, e la sistematica escalation di violenza. Noi scegliamo di privilegiare il negoziato e la soluzione non violenta dei conflitti; per una Unione europea democratica e sociale, basata sui bisogni di lavoratori, lavoratrici, popoli europei, sulla necessita' della collaborazione e della solidarieta' con i popoli dell'est e del sud; per i diritti dei giovani, il loro accesso a una istruzione pubblica, gratuita e socialmente autonoma e l'abolizione del servizio militare obbligatorio." A livello mondiale, sull’onda della presunta lotta al terrorismo, nella patria della civilta' e nelle sue province si intensificano le misure repressive, si cancellano diritti democratici, si approvano leggi che mirano a zittire qualunque forma di dissenso, si fa pagare ai lavoratori il prezzo di una recessione che non puo' essere datata 11 settembre, mentre ci si prepara ad estendere distruzione e fame ben oltre l'Afghanistan e la Palestina. Argentina: il fallimento del modello liberista e' ora, drammaticamente, sotto gli occhi di tutti. Nel nostro paese (che il 10 ottobre 2001 aveva comunque votato a favore della guerra, centrosinistra incluso, con alcune eccezioni), il governo di centro destra, forte del sostegno di Confindustria, si impegna a tradurre in realta' la propria, inquietante ed assai americana idea di societa'. Trova sulla propria strada un’opposizione parlamentare tiepida quando non accondiscendente. La sinistra politica moderata, dopo l’esito del Congresso Ds e l’elezione a segretario di un Piero Fassino la cui massima aspirazione e' essere Tony Blair (il quale, pur non avendo modificato il suo pensiero, sulle questioni del lavoro va tanto d’accordo con l’attuale presidente del Consiglio quanto con il suo predecessore) ribadisce il proprio fastidio verso il termine “sinistra” e la propria accentuata propensione per l’aggettivo “moderata”. L'Ulivo si impegna in una svilente diatriba sulla propria leadership. In estrema sintesi. A livello planetario, dopo anni di velenoso torpore, comincia qua e la' a serpeggiare il dubbio che questo mondo, dove pure i potenti sono sempre piu' potenti, piu' violenti, piu' arroganti, sia il migliore dei mondi possibili, e un’idea alternativa poco a poco si comincia a delineare. Al pensiero unico che per troppo tempo ha imperato, se ne contrappone un altro, per ora accennato, comunque dirompente. In Italia, oltre ad un movimento che ha saputo raccogliere attorno ad una parola d’ordine ed a contenuti coraggiosamente e fermamente alternativi una miriade di storie e di esperienze diverse; oltre ad un pezzo di sindacato, la Fiom, che ha deciso, inizialmente sola, che, forse, un altro mondo era possibile ed ha dimostrato che un rapporto leale e sincero con i lavoratori e' giusto e praticabile; le piazze che spontaneamente si sono riempite dopo le botte di Genova, i dubbi sempre piu' diffusi sulla giustezza della guerra mano a mano che le bombe cadevano sui villaggi afgani, la voglia di reagire che esprimevano le sale gremite nelle occasioni di incontro e discussione, hanno rappresentato i segnali che qualcosa si stava muovendo, indipendentemente dalle volonta' di un ceto politico sempre piu' incapace di leggere gli umori della propria gente. Dall'autunno del 2001, quando la Cgil ha avviato la propria discussione congressuale al 9 febbraio 2002, quando il XIV congresso nazionale della piu' grande organizzazione dei lavoratori ha concluso i suoi lavori, sono intervenuti eventi che hanno, in positivo o in negativo, modificato il quadro, primo tra tutti il passaggio dal “governo amico” che, e' giunta l’ora di ammetterlo, ha condizionato non poco rivendicazioni e azioni sindacali, ad un governo dichiaratamente di destra. Cosi', superata la scandalosa, “contingente necessita'” della guerra in Serbia, la Cgil di oggi si “oppone al permanere e all’estendersi del conflitto e dunque alla partecipazione italiana ad azioni di guerra”; dall’esaltazione della politica della concertazione, si e' passati (meglio tardi che mai) alla constatazione dell’impossibilita' di proseguire su quella strada, non fosse altro che perche' il padronato ha deciso di chiuderla; cosi', l’indifferenza che e' sfociata spesso in insofferenza nei confronti del movimento che si oppone a questa globalizzazione, si e' trasformata in volonta' di dialogo “sulla base della comune critica al liberismo come cultura dominante e del rifiuto di ogni forma di violenza… su proposte, priorita', obiettivi”; cosi', dopo tempo, ritorna l’idea che si possa affermare una “politica rivendicativa per l’aumento del potere d’acquisto delle retribuzioni e dei salari” e viene sancito il sacrosanto diritto dei lavoratori a votare su piattaforme ed accordi. Fin qui il documento approvato unitariamente dal Congresso che segna, oggettivamente, un cambiamento di linea. La traduzione dalla carta alla prassi non e' mai automatica, ne' immediata, ne' sempre fedele, ma l’atteggiamento di stizza, contrarieta' e apparente scarso interesse che i leader della sinistra moderata e alternativa hanno riservato alla discussione del piu' rappresentativo dei sindacati e' stata una nota assai fastidiosa. Sui tre giorni di Rimini, come il convitato di pietra, ha aleggiato quello sciopero generale, unitario oppure no, contro deleghe governative e libro bianco, da piu' interventi invocato ma fino all’ultimo non nominato con parole chiare. Certo, il segretario generale della Cisl ha fatto del suo meglio per convincere, oltre a Cofferati, anche il piu' recalcitrante dei delegati a compiere le scelte che hanno poi portato la Cgil a decidere la manifestazione nazionale del 23 marzo e lo sciopero generale di otto ore del 5 aprile. L'aver affermato la volonta' di proseguire battaglia contro le deleghe, anche da soli, segna un percorso, rappresenta una scelta di campo. Sarebbe bene lo comprendessero tutti. Sarebbe bene tutti capissero che il 23 marzo, a Roma, non si decide solo del pur sostanziale, oltre che simbolico mantenimento dell’art.18 dello statuto dei lavoratori. Sarebbe bene tutti riuscissero, per una volta, a superare diffidenze, antipatie, sindromi da primi della classe, e, nelle differenze, con le proprie convinzioni, con le proprie piattaforme, con le proprie richieste, con le proprie bandiere contribuissero attivamente alla riuscita di un appuntamento che sancira' l’esistenza oppure no di una vera ed efficace opposizione sociale e politica, in grado di costringere il governo a ritirare le deleghe, certo, ma capace anche di andare oltre. Tutti, da quel "movimento dei movimenti" che ha dimostrato di saper guardare e parlare oltre i confini, di saper indicare e perseguire proposte alternative, fino ai quarantamila che al Palavobis di Milano hanno espresso il proprio disagio per una politica che sentono lontana, il proprio sdegno per gli attacchi alla magistratura e che vorrei, diversamente che dal passato, trovare al mio fianco a protestare perche' una nave da guerra (legalmente se passera' anche alla Camera la nuova legge sull’immigrazione) non affondi una nuova “Sibilla” carica di profughi nel Canale d’Otranto, perche' un nuovo Ocalan non venga consegnato a chi massacra il suo popolo, perche' gli stranieri non vengano reclusi nei lager, perche' chi avvelena i lavoratori non venga assolto, perche' non si muoia piu' nelle fabbriche e nei cantieri. Tutti, dai tanti che sabato 2 marzo hanno gremito Piazza San Giovanni, a Rifondazione Comunista passando per quel che ci sta in mezzo e che va oltre.
Il convegno sulla memoria del lavoro Si e' tenuto a Bergamo nei mesi scorsi un convegno sulla memoria del lavoro promosso dalla Biblioteca DiVittorio Cgil di Bergamo e dall’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’eta' contemporanea Quello del non dimenticare e' un impegno morale che ha sempre caratterizzato l’attivita' dell’Isrec, nato proprio nel 1968 con lo scopo iniziale di non disperdere gli archivi della Resistenza bergamasca, allargatosi poi alla conservazione della documentazione sulla storia contemporanea della nostra provincia. Da quando la Cgil di Bergamo ha dato vita alla Biblioteca “Di Vittorio” le iniziative destinate al recupero e alla valorizzazione della memoria del lavoro si sono moltiplicate. E questo convegno permette di fare il punto sullo stato degli studi sulla materia, ma anche di rivendicare – permettetemi il termine – un’attenzione che non nasce oggi, e che puo' essere dimostrata dalle numerosissime testimonianze orali conservate negli archivi nostri e della biblioteca, dalla documentazione proveniente da tanti singoli militanti o da Consigli di fabbrica, dalle tesi di laurea che hanno analizzato tematiche connesse alla storia dei lavoratori. Non e' certamente un intento autocelebrativo quello che ci ha spinto ad organizzare questo seminario. Noi siamo convinti che la memoria dei lavoratori sia una fonte assolutamente primaria per comprendere lo sviluppo della societa' italiana contemporanea, che ha avuto (e ha ancora, per molti versi) proprio nel lavoro industriale una delle sue caratteristiche piu' rilevanti. Anche per riflettere su questo tentativo di rimozione, che interessa il dibattito economico ma anche culturale per cui in modo paradossale, di lavoro sembra che si parli sempre meno…
La memoria del lavoro all'estero Pubblichiamo
di seguito alcuni documenti di un convegno sulla memoria del lavoro a cui
sta lavorando l’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’eta'
contemporanea In
che modo un gruppo operaio ricorda e racconta la scelta e l’esperienza
del lavoro all’estero? Analizzo
un campione limitato (piu' di cento operai metalmeccanici veneti aderenti
alla Fiom-Cgil, intervistati tra il 2000 e il 2001), ma rappresentativo di
diversi contesti geografici, socio-economici e culturali, che hanno
espresso differenti modalita' migratorie. Dalle
testimonianze raccolte sono isolabili alcuni modelli narrativi
(ovviamente, nella concretezza dei singoli racconti di vita questi piani
spesso si intrecciano): ·
l’emigrazione-sopravvivenza:
e' la modalita' narrativa quantitativamente prevalente, adottata
soprattutto dai testimoni della montagna e da quelli della bassa pianura:
l’emigrazione non e' una cesura, non e' mitizzata, ma e' esperienza
“quotidiana”, antieroica, che si inscrive in un vissuto personale,
familiare e collettivo caratterizzato da scarsezza di risorse locali e da
una diffusa abitudine alla mobilita'. ·
l’emigrazione-strategia:
si trova, nel campione considerato, prevalentemente a livello
“indiziario” ed e' espressa dai testimoni meno sindacalizzati; si
confonde talvolta con la precedente emigrazione-sopravvivenza, ma non e' innescata dalla miseria: e' una
scelta dell’individuo, e ancora piu' spesso della sua famiglia, che usa
la possibilita' migratoria come risorsa da massimizzare per conseguire un
preciso obiettivo economico (acquisto di un pezzo di terra e/o della
casa). Questa memoria tende a privilegiare i temi dell’individualismo,
dell’etica del lavoro e del super-lavoro, dei buoni rapporti con i
padroni e della rivalita'-competizione con i colleghi. ·
l’emigrazione-ribellione:
e' una modalita' narrativa quantitativamente minoritaria: solo in due casi
la scelta di andare a cercare lavoro all’estero viene presentata come
conseguenza di un atto di ribellione individuale, un atto che precede o
segue una “presa di coscienza politica”. Manca, invece, nella memoria degli operai
intervistati il tema de
·
l’emigrazione-colonizzazione:
l’emigrazione transoceanica, il mito della frontiera e dei
“pionieri”, la conquista di terre vergini, l’arricchimento e il
successo imprenditoriale… La
memoria operaia dell’emigrazione e', in Veneto, una memoria subalterna:
non rientra nei canoni ufficiali e riconosciuti, nell’immaginario
collettivo del modello migratorio (libri di storia locale, mostre
fotografiche, articoli sui giornali, programmi degli assessori alla
cultura, sussidiari di storia veneta…). ·
L’emigrazione-sopravvivenza
– racconto di una sconfitta senza riscatto – manca di un genere
letterario alto, forte e capace di competere con l’“epopea” della
emigrazione-colonizzazione, della emigrazione-ribellione e anche
dell’emigrazione-strategia. Inoltre, il ricordo dell’emigrazione
operaia temporanea e' visto con sospetto, come un fenomeno caratteristico
delle zone “rosse”, periferiche e “depresse” del Veneto. ·
Crisi del modello
della emigrazione-ribellione,
dopo una stagione di discreto successo – storiografico, almeno – negli
anni Settanta; e' una crisi che risente anche dello spirito dei tempi:
affievolirsi della militanza e della ragion d’essere della sinistra,
scomparsa delle strutture (gruppi, associazioni, partiti) che sostenevano
e coltivavano questa memoria. ·
Vitale e', invece,
il ricordo dell’emigrazione-strategia:
e' presente a livello paesano; emerge con forza all’interno di
determinati contesti di raccolta di testimonianze (libri di storia
locale). Piu' che raccontata, e' una memoria praticata: il senso,
i valori, i modelli di comportamento di cui essa e' portatrice sono gli
stessi che orientano le scelte della generazione post-emigratoria
(individualismo, etica del super-lavoro e del risparmio, spirito
imprenditoriale…). Questo tipo di memoria – sorta di
“memoria-cerniera” capace di combinarsi con tutte le altre scelte
narrative – tende ormai ad essere assorbito nel sistema di significati
dall’emigrazione-colonizzazione. ·
Vincente
sul piano dell’immaginario collettivo e' l’emigrazione-colonizzazione
(contadina, oltreoceano, definitiva, culturalmente conservativa,
cattolica). Essa, negli ultimi anni, a seguito di precise sollecitazioni
politico-culturali, tende ad essere interpretata in chiave “etnica” e
raccontata come migrazione di popolo e non di individui.
Il
militante della Cgil di Bergamo Una
precisazione iniziale, doverosa per dichiarare le proprie intenzioni. Chi
vi parla non e' una storica di mestiere, anzi, se la mia aspirazione era
quella di appartenere alla categoria degli “storici militanti”-1-,con
assoluta onesta' devo dire che sono solo una militante…E la raccolta di
memorie su cui verte il mio intervento nasce innanzitutto quasi come un
dovere “morale”, prima ancora che una necessita' di recupero di fonti
che per me (e naturalmente non solo per me….) sono assolutamente
indispensabili per comprendere appieno la straordinaria stagione che ha
provocato le piu' radicali trasformazioni economiche, politiche e sociali
dell’Italia moderna. Quella
stagione che ha permesso ad un numero alto di persone “normalmente”
appartenenti alle categorie sociali piu' povere ,cio' che generalmente
viene riservato solo a pochissimi individui che per caso, intelligenza,
saggezza modificano completamente la propria esistenza: di vivere la
straordinarieta', riscattandosi moralmente e socialmente,
“emancipandosi” da condizioni materiali e spirituali determinate dalla
propria appartenenza di “classe”, grazie innanzitutto alla militanza
sindacale e politica.2 Categorie
interpretative desuete? Puo' darsi, ma le testimonianze raccolte dalla
Biblioteca “Di Vittorio” in collaborazione con l’Istituto bergamasco
per la storia della Resistenza e dell’eta' contemporanea
3,
sottendono tutte questa considerazione: esplicitata o lasciata intuire e' sempre presente nei racconti di vita dei militanti, dei delegati dei
funzionari della Cgil bergamasca “storici”, quelli che iniziano la
loro pratica sindacale nei giorni della Liberazione o appena dopo. E’ su
questa sezione di testimoni che ho riflettuto per questa relazione, benche'
la ricerca – che naturalmente continua - interessi anche la generazione
successiva. Ma
quando la scelta metodologica e' quella di raccogliere le storie personali
(e rimando a tutte le importantissime annotazioni sui limiti della memoria
individuale sulle cesure, sui meccanismi di rimozione, sull’influenza
che il rapporto che si stabilisce tra intervistato e intervistatore
finisce per avere su quanto viene detto…cosciente della rielaborazione
soggettiva del vissuto e del filtro che tale rielaborazione, piu' o meno
consapevolmente, opera in ciascuno di noi e sui nostri ricordi4)
restringere il campo di riflessione a gruppi omogenei e' determinante.
Certo, una scelta di questo genere non e' esente da rischi e critiche: il
racconto autobiografico ha di per se' tempi e modi difficilmente
rispettabili in incontri per lo piu' occasionali, nonostante la presenza
di tramiti indispensabili5;
e' profondamente diverso raccogliere fonti orali per documentare un
determinato avvenimento concluso nel tempo che porsi come obbiettivo una
collezione di biografie individuali. e'
sempre piu' chiaro che eventi a lungo termine e di lunga lena non possano
davvero essere ricostruiti storicamente, e quindi compresi appieno, se non
lasciando parlare i protagonisti, le cui memorie devono (non e' il caso di
sottolineare nemmeno questo) interagire con la documentazione ufficiale
e “canonica”…e' storia non nuova, l’aveva gia' detto
Bertolt Brecht nelle sue Domande di
un lettore operaio, quando ricorda il cuoco di Giulio Cesare…6:
ma cosa conosceremmo davvero ad
esempio dell’esperienza migratoria di milioni di italiani, se studiosi
sensibili e lungimiranti non avessero raccolto le voci e gli scritti degli
emigranti, quelle mille voci di chi fa la storia senza saperlo di cui parlo'
in un suo articolo anche in questo caso non uno storico, ma addirittura un
politico come Giancarlo Pajetta?7 Le
fonti tradizionali ci danno i numeri, al piu', documentano passaggi
legislativi o burocratrici, riportano fatti di cronaca: il resto scompare,
il segno che sull’esistenza di tante persone, sui loro cari, sui legami
sociali questo avvenimento determina non lascia traccia. La
scelta sindacale non ha caratteri cosi' definitivi, ma certamente –
ancora piu' nella nostra provincia – non e' stata scevra da implicazioni
dolorose, a cui accennero' piu' avanti e che solo la memoria dei
protagonisti ci restituisce. Perche' non e' possibile prescindere
dall'intricato rapporto che esiste, in una storia di vita, tra
l'individuo, il gruppo, la classe, la comunita' o la societa'. Certo,
una raccolta cosi' concepita non e' aliena dal far scaturire qualche
dubbio: queste fonti riescono davvero ad essere utili? Cioe', riescono a
fornire elementi di conoscenza anche a chi le interroga per ricerche sulla
storia economica, sull'attivita' propria di un'organizzazione sindacale?
Devo confessare che il recentissimo studio di Ferruccio Ricciardi sulla
Fiom bergamasca8
mi ha confortato in questo senso. Anche
se la strada anche concettuale che deve fare l’organizzazione sindacale
su questo campo e' ancora lunga: a proposito del “Progetto memoria”
promosso dallo Spi nazionale, in una circolare del 31 ottobre 2001 la
coordinatrice nel progetto, parlando della scelta di promuovere la memoria
autobiografica di anziani e anziane, scrive: “e' sembrato azzardato
proporre un investimento economico su una materia nuova e, per certi
versi, controversa. La nostra organizzazione e' infatti abituata a
muoversi sul terreno delle tutele e delle storie collettive ed uno
spostamento del baricentro sulla soggettivita', sulla individualita'
poteva apparire un esercizio futile o, peggio, un incentivo all’autocelebrazione”9. Un’altra
delle motivazioni che sta alla base di questa raccolta risiede nel fatto
che relativamente poche sono le carte che si sono conservate che
riguardano la storia sindacale di quegli anni– questo e' purtroppo un
dato costante nella storia dei sindacati e dei partiti politici, dove quel
che sembra contare e' solo l’oggi, e il domani in prospettiva, mai il
passato, ormai, permettetemi di dirlo, addirittura demonizzato – e il
racconto diretto dei protagonisti ci aiuta a ricostruire e a capire meglio
quegli anni che sono stati cruciali e decisivi per lo sviluppo del paese10
e quindi per il miglioramento – innegabile e pagato sempre in
prima persona – dei lavoratori. Senza dimenticare che solo con la
raccolta sistematica di queste memorie si puo' recuperare l'identita' di
un'organizzazione complessa come il sindacato italiano, che ancora oggi
lamenta la scarsezza di studi organici sui funzionari, gli attivisti e i
militanti che ne costituirono, fin dalle origini, la vera forza. (In realta',
lo stato dell'arte della storiografia sindacale italiana e' davvero
preoccupante, e una particolare riconoscenza va a Adolfo Pepe11 che sta compiendo con i
suoi collaboratori un'operazione fondamentale di ricostruzione
storiografica). E
poi esiste la necessita' di conoscere meglio la vita complessiva, le
motivazioni soggettive che spiegano i sacrifici personali, le delusioni e,
nello stesso tempo, esaltano le vittorie di coloro che, all'indomani della
Seconda guerra mondiale, in una realta' dura e spesso ostile hanno scelto
l’impegno diretto nella lotta sindacale e politica nelle forze della
sinistra (sono davvero rari, infatti, i casi di sindacalisti che non
fossero anche impegnati in attivita' politiche, secondo una prassi comune
in province dove il numero degli attivisti delle forze della sinistra era
sempre inferiore al bisogno).12 .La
lettura e la proposta interpretativa delle vicende soggettive delle donne
e degli uomini sono compiti che richiedono assoluto rispetto, e di sicuro
la raccolta che stiamo portando avanti non vuole arrivare a statistiche, ne'
tantomeno alla costruzione di un sindacalista Cgil “tipo”: e' pero'
innegabile che alcuni punti comuni ritornano nei racconti ed e' su questi
che mi sembra utile soffermarmi brevemente. Ascoltando
le parole di chi racconta la propria vita – e proprio per questo uniche,
ma ognuna tassello di una narrazione corale di tanti (ma non
tantissimi….) - “non si sfugge all’impressione di aver percorso un
tratto non piccolo di una storia che e' anche storia di un soggetto
collettivo che nel tempo si modifica, si articola, si trasforma nel gioco
complessivo delle generazioni, costituendo un corpo vivo”13. “La
storia della classe operaia …. e' anche storia dei non riconoscimenti
della presenza e della valenza della dimensione soggettiva che, nella
societa' industriale avanzata, ravvolge l’esperienza di ogni singolo
operaio.…. L’analisi della realta' operaia deve dunque affrontare
anche quella coscienza soggettiva mediatrice di conflitti, di opposizioni,
di aspettative, che e' cultura radicata in caratteri essenziali, risultato
di esperienze personali e non solo collettive.… La materia prima del
documento orale e' l’esperienza vissuta di singoli, gruppi, cultura,
spesso non compresi nel catalogo ufficiale degli interessi scientifici”.14 Una
storia tormentata, sempre per usare le parole di Dellavalle, fatta di
"brevi stagioni di fulgore e lunghi inverni o estenuanti autunni; una
storia apparentemente ripetitiva, se riguardata sotto il profilo delle
vicende piu' appariscenti, dei punti alti dello scontro e che rivela,
invece, una trama complessa e fortemente intrecciata con altri soggetti,
cosi' da costituire, anche se scarsamente riconosciuta, una parte
essenziale della storia contemporanea".15 Colpisce
l’omogeneita' dei sentimenti e delle tensioni che animano queste
persone, la cui vita e' stata improntata ad una morale proletaria, con una
profonda dignita' insita principalmente nell’essere un lavoratore e
quindi nel proprio ruolo. “Il significato della loro scelta credo sia
proprio questo: l’affermazione del valore e della portata della
partecipazione dal ‘basso’, la fedelta' al proprio patrimonio ideale e
allo stesso tempo attenzione ai problemi immediati e concreti, per il
rispetto delle grandi ma anche delle piccole cose, per la tenacia di anni
di lavoro, di sacrificio spesso apparentemente modesto, consumato giorno
dopo giorno”16: Eravamo
come il sergente sul campo di battaglia: tante volte vale di piu' degli
ufficiali, ed e'
comunque indispensabile17 Ognuno
teneva il suo reparto…io ero esperto del reparto dell’acciaieria, e
allora dicevo: ‘Penso io, con i miei uomini qui…’18 Si
ritrova nei racconti il costante riferimento a quella che e' stata
chiamata “l’etica del lavoro”: i sindacalisti dovevano rendere
sempre un po’ di piu' degli altri, essere inattaccabili. Il
nostro caposquadra era un comunista…ma fermo nei suoi principi…sul
lavoro nessuno doveva sgarrare19 Non
era solo una necessita' rispetto ai controlli padronali, ma un vanto, il
senso dell’importanza del proprio lavoro, come conquista di conoscenza e
patrimonio di cultura (e questo viene da piu' lontano nel tempo, non e' solo un ossequio alle direttive del sindacato o del partito)20. Anche
nei cosiddetti reparti-confino21
– che esistono pure nella bergamasca e dove finiscono immancabilmente
gli attivisti della Cgil – far bene il proprio lavoro, pure quando e' molto duro, e umiliante rispetto alla propria qualifica,
e' “naturale”22. .Insomma,
viene davvero alla mente l’idea del sindacato come “autorita'
morale", tanto cara a Di Vittorio23
e che sara' uno dei punti di maggior contrasto con la corrente cristiana
nei momenti della scissione del 1948. Questi
compagni – la base operaia e' molto forte anche nel sindacato bergamasco,
ma non mancano ovviamente significativi esempi di altre professioni –
hanno generalmente alle spalle una famiglia contadina, o al massimo
contadina/operaia, in cui nella maggioranza dei casi si esercita al piu'
un antifascismo generico24
(sono pochissimi gli esempi dichiarati di genitori apertamente di sinistra25)
e conoscono immediatamente le grandissime difficolta' del vivere
quotidiano26.
Il racconto dei primi anni di vita ricostruisce quasi sempre
l'affresco canonico - ma certamente sempre di grande spessore - di
"infanzia negata". I
testimoni su cui si interroga questa relazione fanno parte dell’ultima
generazione di questo secolo che ha conosciuto davvero la miseria, e il
fatto di appartenere anche a quel gruppo di donne e uomini per il quali la
possibilita' di migliorare risiedeva ancora in buona parte nella volonta'
del singolo, non li porta quasi mai a sorvolare, quanto piuttosto ad
aumentare la consapevolezza della propria alterita' “antagonista”. La
formazione politica e quella sindacale sono tutt’uno nella maggioranza
dei casi, anche se la non-distinzione e' particolarmente accentuata nei
compagni iscritti al Pci, che dichiarano spesso di essere stati
sindacalisti durante il giorno e attivisti di partito la sera e nei giorni
di festa27;
l’avvicinamento alle idee di sinistra avviene per lo piu' grazie a
esperienze particolarmente significative, attraverso le parole degli
"“anziani”, incontrati durante la guerra in Russia28,
nei campi di internamento in Germania, in montagna con i partigiani o in
fabbrica29, dove ritrovano i vecchi
antifascisti, protagonisti delle occupazioni operaie del biennio rosso.
Non infrequente nemmeno il riferimento alla lettura di testi formativi30.
Creare
una societa'
piu' giusta: ecco, queste parole qui, giustizia,
liberta'…queste
cose qui prima non le potevi dire, non potevi cantare, non potevi far
niente….31 E
si parlava anche di programmi di lavoro, cosa stranissima…probabilmente
perche' c'era anche il Comitato di gestione, probabilmente
perche' la
classe operaia doveva diventare dirigente di una nazione, ect…si sentiva
parlare di programmi di lavoro.32 L'esaltazione
con cui il popolo di sinistra esce dalla guerra e' ancora chiara in tutti:
la certezza di un destino diverso che doveva portare ad una societa' di
liberi e uguali giustificava l'impegno che non conosceva orari, le lotte
durissime, la sopportazione delle sconfitte e dello scherno, la rinuncia
ad un rapporto di famiglia normalmente inteso e al vedere crescere i figli
e per i funzionari del sindacato spesso addirittura l'assenza dello
stipendio… Le
donne: quando leggo certi articoli su “L’unita'” sulla vita delle
donne, sulla vita che hanno fatto le compagne di compagni dirigenti…Ma e'
la verita'!
Perche' sempre sole, sempre senza soldi…33 Quando
- dopo alcune sconfitte particolarmente dolorose e apparentemente
ultimative - subentra la disillusione, non viene meno pero' la
consapevolezza di combattere una battaglia giusta e doverosa; non smettono
cioe' quell'abito morale34
che ormai hanno assunto e che diventa davvero in molti casi una ragione di
vita, quando la repressione padronale, i licenziamenti35,
per alcuni addirittura il carcere per aver difeso le proprie idee
diventano una possibilita' reale. I
testimoni raccontano con precisione i metodi delle lotte (lo sciopero
generale, lo sciopero a singhiozzo che fermava l'intera fabbrica, la non
collaborazione36…) e ricordano le
conquiste ottenute37,
dalle piu' significative a quelle solo apparentemente poco rilevanti38,
dichiarano senza imbarazzo le rivendicazioni rivelatesi poi sbagliate, con
una passione intatta per la pratica sindacale: e sappiamo tutti che non
era facile fare attivita' quando era costantemente negata gia' la
possibilita' di muoversi dentro la fabbrica: Allora
avevamo una medaglia: la dovevi consegnare alla guardia anche per andare
al gabinetto.39 La
mensa era importantissima: trovi sempre qualcosa da fare, perche' le
ragazze vengono li' a mangiare, gli uomini e…potevi dialogare…invece
se tu le invitavi, niente, La mia rabbia era che quando dovevi votare, ti
votavano in tanti, quando
c’erano le riunioni alla camera del lavoro erano sempre le 15 o 20
persone a dover decidere lo sciopero….40 Io
non potevo entrare in fabbrica, perche' come facevo per entrare avevo
subito la guardia che mi prendeva e pamf!…insomma, mi dicevo…non e' possibile! Si continua a chiamarla commissione interna e siamo
all’esterno! Io l’avevo il problema del contatto con la gente, quelli
della Cisl no, ma io si'…Finche', ecco, una delle conquiste che abbiamo
fatto nel ’69 e' stata questa cosa di portare l’ufficio dall’esterno
all’interno…quindi con questo contatto, quando c’e' stata
quell’esplosione dell’autunno, la gente sapeva dove trovarci…41 Ma
fare il sindacalista era una scelta totale, e le parole dei testimoni
sottendono quasi sempre un forte senso di appartenenza, ancora una volta
quasi di alterita': dopo le lotte operaie degli anni '70 il rapporto con
l'organizzazione diventa piu' laico, il sindacato e' visto come uno
strumento, indispensabile certo, ma pur sempre un mezzo per ottenere
quello che ci si e' prefissato. I diritti conquistati negli anni dai
lavoratori hanno significato fortunatamente una vita decisamente migliore
anche per i funzionari e gli attivisti, ma in alcuni casi si e' arrivati
ad una degenerazione degli organismi di partecipazione e rappresentanza:
su questo punto ritornano spesso, con la rabbia e la delusione di chi ha
lottato in prima persona per questo. Mi
ricordo una volta anche mia figlia, che ha fatto anche lei delle lotte per
tirarli fuori, quando invece uscivano con facilita' viene a casa un giorno
e mi dice: “Mamma, che brutto adesso lo sciopero, perche' non devi
piu'
lottare come dici che c’e' lo sciopero”42 La
carenza di denaro - e in questo caso, come detto, e' necessario
distinguere tra chi era attivista all'interno del proprio luogo di lavoro
e i funzionari in forza al sindacato, che conoscevano addirittura la fame,
almeno fino alla meta' degli anni Cinquanta43 Ci
guardavamo in faccia: chi aveva i soldi? Allora chi aveva i soldi aveva un
compito…di andare in via Papa Giovanni … alla latteria Valseriana:
doveva mangiare lui, ma non spendere piu' di tanto…e
pero' portarci
fuori le uova o il pane..….. E alcune volte capitava che qualche
disgraziato….una volta l'ho fatto anche io, non ne potevo piu', ho
portato fuori quasi niente…loro fuori continuavamo a picchiarmi nei
vetri…'Disgraziato, vieni fuori…'…Ma sai, quando la fame e'
fame…44 Quel
periodo li' era una cosa bestiale, eravamo completamente senza soldi.
Dover andare al venerdi' – si lavorava anche al sabato allora – nelle
fabbriche a tirar su un po’ di soldi, allora c’era la raccolta della
quota sindacale individuale … cosi' riuscivamo a tirare insieme qualcosa45 le
precarie condizioni di vita, ma soprattutto gli ideali comuni, e la
diffidenza e le cattiverie della gente 46 contribuiscono
a far si' che nella Cgil ci si senta davvero come in una grande famiglia: Si
arrivava a fare insieme anche l'ultimo giorno dell'anno, con la Camera del
lavoro…c'erano dei valori…poi l'amicizia che c'era…… Una volta
alla settimana si andava al cinema. Guarda che eravamo impegnati con
riunioni…ma una volta alla settimana si andava al cinema e si discuteva.47 Non
credo ci sia retorica nei tanti compagni che ricordano cosi' il loro
rapporto con gli altri sindacalisti erano proprio le circostanze a
renderlo inevitabile, tanto piu' che della famiglia - non va dimenticato -
la Cgil manteneva anche i lati negativi, con i fraintendimenti, le rivalita',
gli screzi, i controlli ossessivi. 48 Ma
la solidarieta'49
tra i compagni - che doveva essere un aiuto enorme anche di fronte alla
solitudine, di cui si lamentano ancora gli intervistati - porta spesso
quasi a giustificare quelli che "non ce la facevano", coloro i
quali, con l'inasprirsi della situazione dopo la scissione del 1948,
lasciano l'impegno sindacale, nella quasi totalita' (cosi' almeno viene
ricordato) per problemi con la famiglia: Bisognava
avere una moglie che capiva.50 Io
ho potuto farlo perche' mia moglie era straordinaria, e poi lavorava.51 Lo
si doveva capire, aveva 5 figli e non poteva perdere il posto52. Uno
che aveva famiglia non poteva…Ad un certo momento c’e' stata mia
moglie che mi ha detto: “Ma oh?”…Allora eravamo fidanzati…ci siamo
sposati nel ’55 e ci siamo conosciuti nel ’45…53 Verso
il sindacato e verso il partito - ma non bisogna pensare, come e' vulgata
comune, ad una appiattimento acritico: le notazioni negative verso
l'operato della formazione politica di appartenenza sono tante e vanno
dall'accusa di troppa ingerenza, senza tenere conto degli uomini(rivolta
al Pci), a quello di scarso interesse per il sindacato e il movimento
operaio diretta al Psi ( e che trovera' una evidente visibilita' nel
fortissimo ripercuotersi sulla Cgil bergamasca della scissione dello Psiup54)
- c'e' anche nella maggior parte dei casi una gratitudine per la
possibilita' di crescita culturale ricevuta55,
il rapporto da pari con gli intellettuali e l'essere stati messi in grado
di poter discutere con la controparte con cognizione di causa. Si
andava a mangiare, finito di mangiare si cominciava a discutere…ecco,
questo scambio, sempre! Vedi…io che non avevo avuto delle scuole…per
me questo qui era un conforto, era un aiuto…la discussione tra compagni
era un pungolo, piu' che in una riunione!56 Relativamente
poche sono le testimoni donne di quegli anni, pure se nel racconto degli
intervistati le figure femminili sono un riferimento costante,
indispensabili nella riuscita delle lotte 57 (penso
all'Ilva di Lovere ma soprattutto alle tantissime fabbriche tessili), come
sostegno e appoggio insostituibile nel lavoro nella sede della Camera del
lavoro (le impiegate di alcune categorie vengono ricordate ancora oggi con
ammirazione e rispetto: "Sapevano tirarti su con poche parole".
Conoscevano il contratto meglio di noi".), come compagne di lotta. Ma
le donne hanno difficilmente ricoperto ruoli direttivi nel sindacato della
ricostruzione: nei loro racconti, all'immagine di un sindacato che
"non faceva differenze", si contrappone spesso una realta' piena
di tante difficolta': nel tessuto sociale dove vivevano e operavano, le
sindacaliste venivano attaccate anche - e soprattutto - sul piano
personale, e l'impegno che veniva loro richiesto non teneva certamente
conto del loro essere donne, ne' delle difficolta' di conciliare gli
impegni familiari. In questo senso erano davvero "uguali agli
uomini". "Ho pianto tanto", ammettono tutte quelle che ho
sentito, addirittura due testimoni usano proprio le identiche parole58,
ma non e' un rimpianto, il loro, come, dopo aver goduto della confidenza
di tanti di loro, non ho mai trovato rimpianto per le scelte fatte in
nessuno dei militanti che ho intervistato: Valeva
la pena di spendere la propria vita per quest'idea? Io non mi trovo
pentita, pero' e' ovvio, il ragionamento lo fai…59
No,
nessun pentimento…perche' io non mi pento per nessun motivo di tutta la
mia vita, anche delle cose sbagliate che ho fatto perche'…ci sono
momenti in cui devi decidere, e io sono convinto di avere scelto la parte
giusta dove stare!60 E
oggi? Tutti i colloqui terminano con una domanda sul presente, e le
risposte alternano la speranza a molta delusione: In
questo momento….con tutto il lavoro che ho fatto…e c'e' della gente
che ruba, e che manda a bordello l'organizzazione, il partito, il
sindacato, eccetera…,ma io dico, non so……Perche' non capisco
piu'
niente, perche' tutto quello che abbiamo dato, trovarsi di fronte a una
situazione simile, il morale va sotto i piedi…61 Il
domani in questo periodo lo vedo molto brutto. Ho una demoralizzazione che
non riesco a capire…Ho paura, ho paura adesso62 .Io
non lo so definire se in bene o in male il modo di fare sindacato
oggi…Io dico solo una cosa…Ai nostri tempi, gia' all'inizio, una
categoria in movimento, in sciopero,
contemperava l'impegno di tutti i sindacati in
senso generale.
Cioe'
picchettavano sia i meccanici, sia i tessili, anche se
facevano parte di un'altra categoria…c'era piu'
tensione, c'era piu'….almeno
oggi ho l'impressione che non esista, in modo assoluto non esiste…manca
qualcosa…Dipendera'
forse perche'
oggi
e'
tutto piu'
facilitato…63
1
Sono numerosissimi gli studiosi
che si sono adoperati per la salvaguardia e la valorizzazione della
memoria “dal basso”: qualsiasi tentativo di elencazione finirebbe
per conoscere piu' dimenticanze che presenze. Ma due nomi sento il
dovere di nominare almeno Nuto Revelli e Danilo Montaldi, perche'
hanno rappresentato davvero incontri decisivi nella mia formazione,
con la loro lezione di impegno scientifico, ma anche umano e civile. 2
"La politica del partito richiede impegno continuo e sacrificio di se',
ma offre in cambio l'identita' sociale di comunista e, soprattutto, un
senso di appartenenza cosi' forte da far dimenticare le imposizione
subite". Cfr. Gian Carlo Onnis, La
gioia di essere e il sacrificio di vivere. Autobiografie di comunisti
savonesi 1945-1956, in "Ventesimo secolo", n.7/8, 1993. 3
Le testimonianze sulla militanza sindacale sono raccolte in un settore
specifico della Biblioteca “Di Vittorio” della Cgil di Bergamo.
Per ogni testimonianza si dispone di scheda descrittiva, scheda
biografica dell’intervistato e, in molti casi, di trascrizione
completa o parziale: tutte le citazioni sono integrali, al piu'
tradotte dal dialetto, rispettandone pero' caratteristiche sintattiche
e lessicali. La costruzione dei periodi attraverso i segni di
interpunzione tende a trasferire, almeno parzialmente, le scansioni
espressive del discorso nella scrittura. 4
nota sulle fonti orali…Introduzione
alla storia orale, a cura di Cesare Bermani; Giuseppina Garigali, Memorie
operaie…Atti del convegno Fonti
per la storia del movimento sindacale in Italia…. 5
Un ringraziamento assolutamente
non scontato va a tutti i testimoni che, condividendo la finalita' del
nostro lavoro, hanno accettato di raccontarsi, rinnovando emozioni, ma
anche sofferenze e delusioni; determinante e' l’apporto avuto dai
preziosi intermediari, che forniscono nomi e stabiliscono contatti, e
che consentono di rintracciare nomi e documentazione ancora oggi
sparsa in archivi familiari o – ed e' quasi peggio – nelle
fabbriche e nei luoghi di lavoro, in attesa di uno spesso inevitabile
passaggio alla pattumiera. Personalmente ho avuto da tutti loro – in
termini di insegnamento, disponibilita', idealita' e amicizia -
molto di piu' di quanto una riscoperta attenzione verso la loro
vicenda umana puo' avere significato per alcuni. Di fronte a un
processo di spoliazione che si manifesta in gradi e con violenza
diversa, la memoria rimane uno dei pochi strumenti disponibili per non
perdere del tutto il senso della propria presenza nel mondo, e la
parola autobiografica uno strumento indispensabile. 6
"Tebe dalle Sette Porte, chi la costrui'?/Ci sono i nomi dei re,
dentro i libri./Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di
pietra?/Babilonia, distrutta tante volte,/chi altrettante la riedifico'?
In quali case,/di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori?/Dove
andarono, la sera che fu terminata la /Grande Muraglia,/i muratori?
Roma la grande/e' piena di archi di trionfo. Su chi /trionfarono i
Cesari? La celebrata Bisanzio/aveva solo palazzi per i suoi abitanti?
Anche nella/favolosa Atlantide/la notte che il mare li inghiotti',
affogavano/urlando/aiuto ai loro schiavi./Il giovane Alessandro
conquisto' l’India./Da solo?/Cesare sconfisse i Galli./Non aveva con
se' nemmeno un cuoco?/Filippo di Spagna pianse, quando la flotta/gli
fu affondata. Nessun altro pianse?/Federico II vinse la guerra dei
Sette Anni. Chi, oltre a lui, l’ha vinta?/Una vittoria ogni
pagina./Chi cucino' la cena della vittoria?/Ogni dieci anni un
grand’uomo./Chi ne pago' le spese?/Quante vicende,/tante
domande". 7
“Gli storici piu' illustri della storia contemporanea teorizzano
l’utilita' della storia locale, della microstoria, dei tasselli
minuti, persino individuali e ne traggono non dettagli cronacistici,
ma la storia dei tempi lunghi che
pare gettare radici antiche per intendere il presente. Anche per
comprendere lo svolgersi dei tempi che hanno ancora da venire. Rifarsi
al quotidiano come a un aspetto particolare del susseguirsi del tempo
della storia; esplorare l’individuale come un momento dei tempi
lunghi. La microstoria non e' una storia piu' vera o alternativa alla
macrostoria, ne e' una componente ed e' cosi' che vorremmo saperla,
raccoglierla, leggerla e e' cosi' che mi pare dovremmo intenderla”.
Cfr G.C. Pajetta, Le mille voci
di chi fa la storia senza saperlo, in “Rinascita”, Roma, n.
42, 1 novembre 1986, p. 14. 8 Ferruccio Ricciardi, Lavoro, conflitto, istituzioni. La Fiom di Bergamo dalla ricostruzione all’autunno caldo, Bergamo, Il filo di Arianna, 2001. 9
Circolare dello Spi nazionale alle proprie strutture, 31 ottobre 2001,
prot. 142/AO, firmata Alba Corti 10
“La storia del sindacato costituisce uno dei settori di maggiore
spessore interpretativo per la ricostruzione dell’intera storia
nazionale e …dunque essa non puo' limitarsi ad una impostazione
tradizionale di storia autoreferenziale delle classi
lavoratrici.….Di assoluto e inedito rilievo appare la questione del
rapporto tra la storia del sindacato e il processo di formazione
dell’identita' nazionale. La evidente debolezza dell’identita'
nazionale e la ricerca di nuove forme di identificazione, cosi' a
livello sovranazionale che a scala subnazionale, riaprono il complesso
e disatteso versante della ricerca sul rapporto che ha presidiato
l’evoluzione del sindacato in termini di federalismo, cameralismo,
centralismo nazionale-sovranazionale, rapporto tra etnicita', cultura
e dimensione comunitaria in relazione alle scelte di omogeneizzazione
rivendicativa e contrattuale tipica dell’agire sindacale”. Cfr.
Adolfo Pepe, Il sindacato come
istituzione tra societa', Stato e partiti nell’eta' liberale, in
Fonti per la storia del movimento sindacale in Italia. Atti del
Convegno. Roma, 16-17 marzo 1995, Ministero per i beni culturali e
ambientali, Ufficio per i beni archivistici, 1997. 11
Inserire nota bibliografica, “Storia del sindacato in
Italia”…storia dello Spi, ect. 12
“Il sindacato era concreto, la politica non risolveva mai niente”.
Testimonianza di Mario Locatelli, raccolta da E. Valtulina il….. 13
Cfr. Claudio Dellavalle, Introduzione
a Alberto Lovatto, L’ordito
e la trama….. 14
Cfr. Pietro Crespi, Capitale operaia,
Roma, 19… 15
Cfr. C. Dellavalle,….. 16
“In questi anni il movimento popolare ha fatto grandi passi avanti. Li
ha fatti per la presenza di prestigiosi combattenti e di abili
dirigenti politici. Ma li ha fatti anche per la presenza costante,
piena di dedizione e di sacrifici spesso silenziosi, di quella che
viene chiamata ‘base’, con un termine geometrico che non dovrebbe
pero' comportare una valutazione politica e morale diminutiva”. Cfr.
Bianca Guidetti Serra…. 17
Testimonianza di Ernesto Martini,
raccolta da E. Valtulina il… 18
Testimonianza di Mario Riva, raccolta da E. Valtulina il….. 19
Testimonianza di Ferdinando Calzari, raccolta da A. Bendotti e E.
Valtulina il……… 20
"Mi recai a Milano a fare il manovale edile. Li' conobbi un certo
Buongiorno, che era poi il segretario della sezione del Partito
comunista di Baggio …. Durante gli intervalli da mezzogiorno
all'una, attorno ai fuocherelli sui cantieri edili, questo Buongiorno
ci insegnava come bisognava comportarsi sul lavoro in merito ai
doveri, per avere poi la testa alta e andare a rivendicare i
diritti". Testimonianza di Gianni Previtali, raccolta da Giuliana
Bertacchi e E. Valtulina il 26 marzo 1991. “Eravamo isolati da
tutti: persino quando andavi in mensa, qualche operaio ci guardavano
male, altri ci dicevano: ‘’Avete trovato la pacchia perche' non
lavorate…non fate niente’. Ma i piu' coscienti invece ci
guardavano e ci dicevano: ‘Resistete, verranno tempi migliori’.
Testimonianza di F. Calzari, cit. 21
“Noi dovevamo andare personalmente dai compagnia chiedere l’adesione e
l l’iscrizione al sindacato e poi venivi marcato…ecco perche' i
miei trasferimenti…ti trasferivano, ti mandavo da una parte e
dall’altra perche' tu...lavoravi quello che dovevi lavorare pero'
durante la mezz’ora, il quarto d’ora di pausa andavi a chiedere ai
compagni di iscriversi al sindacato…cosi' mi mandano a Sabbio dove
confinano tutti i comunisti…Dopo le grandi battaglie, nel 1956 la
direzione mi ha mandato a chiamare … dicendo che mi mandavano a
Torre Annunziata, dicendo che mi davano la casa, mi davano tutto,
basta che io andassi via dalla Dalmine e non facessi piu' attivita'
sindacale e politica”. Testimonianza di Gianni Mora, raccolta da E.
Valtulina il…. 22 “E l’ing stesso mi diceva ‘ma perche' Riva continui a fare questo movimento? Ma non vedi che ti passano davanti tutti? Dovresti essere equiparato da chissa' quanto tempo al lavoro che fai…e invece…’ ‘Ma perche' mi dite che io merito il posto e non me lo date?’ e allora lui ‘Ma pero' tu ti tiri dietro la coda quando c’e' uno sciopero vai ad avvertire tutti!…e cosi' continuerai sempre a rimanere a quel punto’”. Testimonianza di M. Riva, cit. 23
"Uno che sceglie di militare nel sindacato deve essere soddisfatto
perche' dedica il proprio impegno, la propria intelligenza a sollevare
le condizioni di vita degli uomini e delle donne. E quando torna a
casa puo' dire: oggi sono contento perche' ho fatto il mio dovere in
difesa degli altri". Dall'ultimo discorso di Giuseppe Di
Vittorio, tenuto a Lecco nel 1957. Cfr. Le
ragioni della Cgil, a cura di Maria Costa e Adolfo Scalpelli,
Milano, Angeli,…. 24
"La mamma, operaia tessile…che comunque indirettamente o
inconsciamente ha insegnato ai propri figli la riluttanza al fascismo;
lei era una donna cattolica…ha fatto parte del movimento sindacale
cattolico….del Cocchi". Testimonianza di G. Previtali, cit. 25
“L’era piu' brutta del fascismo l’ha conosciuta meglio il papa'.
Sapevo che lui ha dovuto subire, e' dovuto andare all’estero perche'
era antifascista. Papa' era un antifascista. Ha subito, pero' in casa
per la paura non si parlava.…. Si e' scoperto tutto con gli anni,
quando anch’io stavo li' ad aspettare quello che mi diceva il mio
papa', perche' se sono diventata sindacalista e comunista e' stato
proprio l’esempio del papa'. … C’erano i compagni che a volte mi
dicevano: ‘ma…pero'…Lucia…per Lucia e' facile, con un maestro
che ha in casa’ e io un po’ mi seccavo perche' mi sentivo io, non
legata al papa', erano cose che sentivo io’”. Testimonianza di
Lucia Nozza, raccolta da E. Valtulina il 24 settembre 1993;. "Mio
padre ha sempre lavorato fuori paese perche' lui faceva il muratore,
l'operaio…indipercui girava…ha girato dappertutto per il suo
lavoro e si era fatto una mentalita'…un pochino diversa: un vecchio
socialista, impegnato politicamente". Testimonianza di Achille
Ratti, raccolta da E. Valtulina il . 21 gennaio 1991. 26
“La questione e' che siamo cresciuti con tanto rigore e tanta fame ….
La fame te la potrei descrivere giornalmente.…Non ho avuto
un’infanzia triste…povera si'. Eravamo troppi in tanti, te lo dico
sinceramente”. Testimonianza di Giuseppe Biffi, raccolta da E.
Valtulina il 14 novembre 1999. “La miseria la sentivi ….Il ricordo
piu' vivo e' la fame. Era una lotta quotidiana per sopravvivere; te ne
rendevi conto anche se eri bambino” Cfr. Pio Galli, Da
una parte sola. Autobiografia di un metalmeccanico, a cura di
Sandro Bianchi, Roma, Manifestolibri, 1997. “Fino agli anni
Cinquanta, quasi tutti i paesi dove c’era l’agricoltura i
contadini vivevano nella piu' squallida miseria……pero' c’era una
solidarieta' molto ma molto migliore di adesso”. Testimonianza di
Angelo Legnani, raccolta da Fabio Barbaro e E. Valtulina il… 27
“Facevi attivita' politica…perche' quella del sindacalista la
facevi di giorno ma poi…ma di sera e di notte dovevi fare vita
politica…C’era poco da fare, dovevi farla…… Eri sempre fuori, tutte le sere eri fuori, la
domenica eri fuori…”. Testimonianza di Rivo Ghibesi, raccolta da
Mario Pelliccioli e E. Valtulina il…. 28
"Un giorno viene Fiamenghi, un compagno che era dirigente della
Federazione del Pci di Milano, che ha dovuto andar via dall’Italia
perche' la moglie ha detto ai fascisti che voleva 'Bandiera rossa' e' andato in prigione……Comunque Fiamenghi viene
li' per farmi una
proposta, e io gli ho detto: ‘Beh, ci starei anch’io a fare un
corso antifascista” Fiamenghi mi dice: 'ma cosa vuoi andare a
fare…perche' adesso il fascismo in Italia non c’e' piu''
' beh, in Italia c’e' ancora da fare, finche' i contadini non
hanno la terra e finche' gli operai non sono padroni della
fabbrica….', ho detto.. … ero proprio deciso, perche' avevo letto
qualche libro la', e l’avevo presa subito la decisione, non e' che
me l’hanno messa in testa, eh!”. Testimonianza di Lorenzo Colombo,
prigioniero in Russia, raccolta da A. Bendotti e E. Valtulina il….;
"Ci si trovava la sera sotto la pianta di castagno e ci
raccontava cosa aveva fatto in Russia. Cos'era il Kolkoz…Stalin, il
padrone che non c'e' piu'…Pota, ma l'entusiasmo che aveva creato in
noi…il partito comunista, il partito socialista…Pero' collegavo
queste questioni qui, del Kolkoz, delle cooperative, che non c'e' piu'
il proprietario, collegavo sui rapporti che aveva avuto mio padre,
sulle angherie di mio padre che faceva il mezzadro…":
Testimonianza di Vincenzo Beni, raccolta da E. Valtulina il… 29
"Lovere ghibellina e' sempre stata dalla lotta contro il sorgere del
fascismo una cittadina 'rossa' perche' vi erano anziani compagni del
'soccorso rosso' pieni di esperienze nazionali e estere e in molti
dovettero emigrare in Francia e Belgio, dopo l'occupazione nazionale
delle fabbriche del 1919/20 e in loco della allora 'Franchi e
Gregorini', dopo divenuta ILVA. La simbiosi tra anziani e giovani fu
molto marcata per l'entusiasmo della lotta di liberazione e della fine
della guerra con la conquista della democrazia e della liberta'. Puo'
sembrare retorica ma fu proprio questo lo stimolo a passare dalla
lotta armata, all'impegno nelle istituzioni democratiche". Cfr.
Giovanni Archetti, Un
uomo\biografia di un sindacalista militante, nov. 1991,
dattiloscritto archivio Cgil Bergamo; "Nel '42 ho fatto la mia
prima esperienza di operaio …in una fonderia di Boltiere
lavorando come garzone-operaio ai magli e li' conobbi
i primi veri antifascisti".
Testimonianza di G. Previtali, cit. 30
"Il gruppo dei panettieri di Lovere - cittadina dal passato laico e
antifascista - era in prevalenza antiregime, per questo circolavano
libri particolari, fogli clandestini come l'Unita', libri sulla
rivoluzione francese, il 'Tallone di ferro', la 'Madre', il
'Germinale' e altri, portati o spediti dalla Francia, da loveresi che
erano stati costretti all'emigrazione dai fascisti". Cfr. G.
Archetti, Un uomo, cit
;"Ho portato a casa dalla scuola di antifascismo fatta da
prigioniero in Russia lo zaino pieno di libri…La
madre di Gorckij, il Tallone
di ferro di Jack London e tutti quelli li'….".
Testimonianza di L. Colombo, cit.; " Il mio primo libro e' stato Come
fu temprato l'acciaio, la storia della prerivoluzione in Russia.
Me l'aveva prestato il barbiere di Rancio.… La cosa adesso mi appare
un po’ fanatica e fa sorridere, ma allora rappresento' molto".
Cfr. P. Galli, Da una parte sola,
cit. 31
Testimonianza di V. Beni, cit. 32
Testimonianza di F. Calzari, cit. 33
Testimonianza di G. Colombo, cit. 34
“L’episodio della Madonna Pellegrina in fabbrica, alla vigilia del
’48…Tutti gli operai radunati in questo vasto cortile, con padre
Lombardi, il ‘microfono di Dio’…niente popo' di meno…con il
tono autoritario: ‘Tutti in ginocchio!’…In tre siamo rimasti in
piedi, io, Legnani e il Moretti! Tutti in ginocchio! La paura del
posto di lavoro….” Testimonianza di Giuseppe Colombo, raccolta da
E. Valtulina il 21 novembre 1990 35
“Poi arriva a casa la lettera di licenziamento….Il direttore della
fabbrica ha detto: ‘ Io ho il mandato dell’ingegner Quintavalle,
il titolare, di pagare un anno a Colombo, ma in fabbrica non deve piu'
venire’. Testimonianza di G. Colombo, cit. 36
"Erano venuti anche dalla Falck per vedere come scioperavamo a
singhiozzo nell'acciaieria….e la "non collaborazione",
rispetto alla qualifica che si aveva…il lavoro si faceva come era
scritto sul contratto o sugli accordi aziendali….se al tornitore
occorreva un pezzo da lavorare, prima andava a prenderlo; adesso
aspettava che glielo portasse il manovale, che non arrivava certamente
di corsa…". Testimonianza di Giovanni Archetti, raccolta da E.
Valtulina il.. 37
“Pero' a me e' rimasto impresso quando c’e' stato quello sciopero, che
siamo rimasti fuori commissione di fabbrica e qualcuno di noi, che
Pagliarini avevo promesso chissa' che cosa a quelle bifolche che sono
entrate, quelle crumire…e che invece quando hanno preso la paga non
so se avevano dentro….Adesso no mi ricordo la cifra…ma sara' stato
abbastanza di bere un caffe'…che io mi sono messa in mezzo alla
fabbrica, perche' li' c’erano i tavoloni grandi, in mezzo alla
fabbrica, ho fatto fermare tutti i rumori e poi: ‘Ue'! Vi ha pagato
male il vostro padrone, eh! Vi ha tenuto in considerazione, che siete
delle crumire e delle vigliacche! La gente si ammazza per il posto di
lavoro e voi per un caffe'’”. Testimonianza di L. Nozza, cit. 38
cfr. il racconto di L. Nozza sulla minestra al pomodoro colorata
chimicamente. 39
Testimonianza di A. Legnani, cit.
40
Testimonianza di L. Nozza,
cit. 41
Testimonianza di Silvestro Milani, raccolta da E. Valtulina il… 42
ibidem 43
"Negli anni Cinquanta si ripartiva a fine mese il quantitativo dei
soldi che c'erano alla Camera del lavoro…e c'era difficolta' a
portare a casa qualcosa per la famiglia…Lavoravi non solo in
difficolta', ma non sapevi nemmeno cos'era il domani per tutti…Ho
dei figli, ho la famiglia, ho la moglie…Cosa puo' succedere domani?
… Questo dal lato economico, anche se, ripeto, dal lato politico
c'era una spinta completamente diversa….Forse perche' si aspettava
sempre questa benedetta presa del potere, che sembrava una prospettiva
a portata di mano…invece non c'era mai…E la convinzione c'era,
eravamo tutti convinti!" Testimonianza
di Martino Fassi, raccolta da A. Bendotti, Agide Trapletti e E.
Valtulina il… 44
Testimonianza di F. Calzari, cit. 45
Testimonianza di R. Ghibesi, cit. 46
"Naturalmente in
quegli anni io fui isolato in paese anche dagli amici piu' stretti in
quanto non volevano farsi vedere con me".
Testimonianza di G. Previtali, cit.; “Noi donne eravamo
considerate poco di buono. Una campagna bestiale…quante volte
dicevano all’oratorio dei bambini: ‘Non fatevi avvicinare! ….
perche' fa le tessere del diavolo!’” Testimonianza di L. Nozza,
cit.; "Si verificavano addirittura episodi assurdi, come quello
capitato a me in compagnia di Zaccaria Mazzocchi (detto Giaca), ad
Arcene. Di ritorno da Treviglio, il Mazzocchi volle fare visita ad una
parente, che lui chiamava zia. Con il suo fare scherzoso, finita la
visita, le disse che io ero un 'rosso', un dirigente comunista. Sul
momento la donna non replico', anche se le si leggeva sul volto tutto
il disagio. Piu' tardi, il Mazzocchi venne a sapere che la sua parente
avevano provveduto alla imbiancatura della sala dove ci eravamo
trattenuti e alla benedizione del locale, perche', secondo lei, la mia
presenza lo aveva contaminato". Cfr. Giuseppe Brighenti,. Dopo
il mese di aprile. Autobiografia di un giovane comunista 1945-1953,
Bergamo, Il filo di Arianna, 1987 47
Testimonianza di V. Beni, cit. 48
"Ma le cose in Camera del lavoro non andavano bene; i rapporti
unitari erano pessimi, non solo per colpe della Cisl "liberina"
ma anche per atteggiamenti settari nostri e dopo poco tempo si arrivo'
alla sostituzione del Segretario Generale Carlo Paratico con il
compagno Guido Venegoni di Milano che … mi volle premiare con
l'inserimento in una delegazione nazionale che doveva recarsi in
Ungheria". Cfr. G. Archetti, Un uomo, cit. Nell’archivio della Cgil di Bergamo e' conservato il
resoconto stenografico di un vero e proprio “processo popolare”
celebrato davanti al Direttivo camerale per giudicare del
comportamento di due funzionari di categoria, colpevoli di avere una
relazione adulterina. 49
“La gente poi sentiva, i compagni in particolare, questo bisogno di
solidarieta'…c’erano dentro delle bravissime compagne della
Polveresta, della Zopfi…”. Testimonianza di Carlo Paratico,
raccolta da A. Bendotti e E. Valtulina il…… 50
Testimonianza di….. 51
Testimonianza di S. Milani, cit. 52
Testimonianza di ………… 53
Testimonianza di R. Ghibesi, cit. 54
"La dolorosissima scissione del Psi, dalla quale nacque il Psiup. Io
subito aderii al Psiup. Devo subito dire che io non voglio ora dire:
'E' stato bene, e' stato male', io dico solo che davanti a me c'era un
problema di appartenenza a una classe, il problema di stare dalla
parte del piu' debole, mi sembrava che li' riuscivo meglio
a…esprimere la mia…natura". Testimonianza di Luigi Fassi,
raccolta da A. Bendotti, A. Trapletti, E. Valtulina,
il 10 febbraio 1992. 55
"Poi comincio' a passarmi un libro sulla vita di Eugenio Curiel,
poi comincio' a passarmi un libro su Gramsci e fu la prima volta,
penso sia stato, adesso non ricordo bene se alla fine del '46 o
all'inizio del '47, e in questo libro di Gramsci mi colpi' una
cosa…le tre famose parole: istruirsi, istruirsi per istruirsi
ancora. E da allora divenne il mio motto da operaio":
Testimonianza di G. Previtali, cit. 56
Testimonianza di V. Beni, cit. 57
a proposito della lotta dei
minatori dell'Amni"Dopo circa un mese di lotta ottenemmo la
solidarieta' di tutti i cittadini di Nossa, di Oltre il Colle, di
Zambla alta, di Zambla bassa, addirittura con un'assemblea con le
mogli, i bambini fuori dalla fabbrica".. Testimonianza di G.
Previtali, cit. 58
Cfr. le testimonianze di Bepi Persico e di Erminia Agazzi, raccolte da E.
Valtulina, rispettivamente il ……..e il….. 59
Testimonianza di E. Agazzi, cit. 60
Testimonianza di R. Ghibesi, cit. 61 Testimonianza di L. Colombo, cit., che si riferisce agli arresti dei dirigenti milanesi della sinistra con l'operazione Mani pulite 62
Testimonianza di L. Nozza, cit.
|
|