I risultati delle primarie e le conseguenze sulla città

 

Paolo Pinardi

 

- febbraio 2006 -

 

Risultato chiaro, senza se e senza ma. Gli 80.296 elettori (poco più di 100.000 nell’ottobre scorso) del centrosinistra milanese hanno scelto domenica 29 gennaio Bruno Ferrante, in quanto candidato che può tentare di battere la destra berlusconiana nella città dove ancora nell’aprile scorso aveva vinto le elezioni regionali.

Si potrebbe obiettare che rispetto ai quasi 80.000 elettori che avevano votato Prodi, i 56.000 voti per Ferrante sono un dato significativo; in realtà a Milano è ormai assodato il minor peso dei partiti, la poca autorevolezza dei ceti politici; tant’è che nessun loro rappresentante si è candidato a queste primarie e  l’opposizione alle Giunte di destra è stata debole e fallimentare: la fuga in corso nelle sicure liste parlamentari di molti consiglieri comunali e dirigenti politici locali ne è una controprova.

Dario Fo e la carica dirompente che ha caratterizzato la sua campagna elettorale hanno ottenuto un buon risultato (19.000 voti contro i 15.000 a Bertinotti), ma al di sotto delle aspettative, soprattutto rispetto alle tantissime nuove energie messe in campo (giovani, comitati e associazioni); assenti del tutto le organizzazioni tradizionali della sinistra politica e sociale.

Per quanto riguarda la nostra zona i risultati sono i seguenti:

Bruno Ferrante: 5.308 (67,81), rispetto al 74% di Prodi

Dario Fo:

1.918 (24,05), rispetto al 17% di Bertinotti

Milly Moratti:

435 (5,45)

Davide Corritore:

217 (2,69)

Il buon risultato di Dario Fo nella nostra zona (23% a livello cittadino) è particolarmente verificabile nei due seggi che corrispondono a quartieri dove più intensa ed efficace è stata la presenza di  associazioni e altri soggetti (tra cui il nostro giornale): nel seggio situato al Tempio d’oro in via delle leghe, Fo ha preso il 30% dei voti e in quello situato a Villa Pallavicini in via Meucci il 27% dei voti; senza dimenticare l’importante risultato ottenuto al quartiere Isola (oltre il 35%; alcune vie fanno parte della zona 2), dove le lotte contro la cementificazione non sono un’invenzione giornalistica.

Ecco perché ci interessa fare una considerazione ben più importante: questa città sta morendo fisicamente (l’inquinamento, il traffico, la bolla speculativa), culturalmente (ridotta a moda, quello che sopravvive di difficile accesso, nonostante una estesa cultura dal basso), socialmente (precarizzata con i giovani, isolata con il lavoro tradizionale e abbandonata con gli anziani). Questa consapevolezza si sta diffondendo e può finalmente chiudere il periodo increscioso delle amministrazioni di destra. Gli ottantamila possono essere un canale formidabile per affermare questo obiettivo; Bruno Ferrante può farcela a diventare Sindaco, ma non basta. Il rischio è che non sia all’altezza di questa sfida: sicuramente non lo sono i due principali partiti che lo sorreggono, non lo sono le sue proposte programmatiche, il profilo che ha dato alla sua campagna elettorale e la totale ininfluenza che hanno avuto nel dibattito politico nazionale: potremmo trovarci ben presto di fronte ad un nuovo “Albertini” del centrosinistra. E siccome questo scenario non lo può certamente contrastare la sola Rifondazione, è fondamentale che rimanga in campo quel pezzo di città che oggi si riconosce in Dario Fo, è fondamentale che lui non molli e  continui nei prossimi quattro mesi il lavoro intrapreso portandolo a termine.

È necessario tenere il fiato sul collo dell’intera coalizione con alcune questioni programmatiche forti (Fo ci è riuscito con l’altolà alla cementificazione di alcuni progetti, il no alle gronde, Milano come Londra, le proposte radicali sulla casa; non c’è riuscito sulle condizioni sociali drammatiche di questa città), altrimenti saremo alle solite cose e ai soliti poteri; già nei prossimi giorni assisteremo al volar basso della lista Ferrante, alle marchette di alcuni giornali sul riformismo milanese, ai transfughi da sistemare, ai litigi su vicesindaco e assessori prima ancora di aver vinto.

Da qui a maggio si possono quadruplicare gli sforzi, mettere al lavoro tutti cominciando da chi pensava solo a come capitalizzare quello di Fo; non lasciarlo solo; riempire teatri e palazzetti dello sport è fondamentale se poi si riesce ad entrare capillarmente nel territorio e nel tessuto sociale di questa città. Al primo turno delle comunali di maggio quelle 19 mila persone possono quintuplicare e farle pesare politicamente ancor di più a Palazzo Marino come non mai negli ultimi 20 anni.

Nel marzo del 1980 a Milano, dopo la prima esperienza di Giunta di sinistra, il solo Pci promosse una consultazione di massa sul programma e sulle candidature; in città furono 40 mila a partecipare, arrivò primo Carlo Cuomo con oltre 10 mila voti davanti ad altri 300 nomi (non vi erano candidati ufficiali come oggi). In breve tempo lui fu costretto alle dimissioni da Assessore e le posizioni politiche – programmatiche più radicali (berlingueriane e ingraiane) isolate da buona parte del gruppo dirigente migliorista: da lì iniziò la deriva delle Giunte riformiste dei Tognoli, Pillitteri, Corbani e compagni con le conseguenze che tutti conosciamo.

Fatti forse troppo lontani e ormai poco conosciuti: Dario Fo non ha vinto e non sarà sicuramente sindaco di questa città, ma può fare molto ed essere determinante affinché la storia non si ripeta.