EFFEMERIDI
Il ventesimo secolo da pochi anni terminato viene spesso indicato come "il secolo breve", secondo la concisa definizione data dallo storico inglese Eric Hobsbawm; forse però gli si addice meglio la definizione – assai meno nota – che ne ha dato un poeta, il turco Nazim Hikmet, che del secolo e delle sue lotte fu grande protagonista, e che parlava del "mio secolo, coraggioso grande ed eroico". A volte i poeti riescono a rendere meglio, in maniera efficace e fulminea, l’atmosfera di un’epoca. Il XX secolo è stato un tempo di grandi guerre, di stragi e di orrori, ma anche di grandi speranze, di risveglio di popoli interi che, tesi verso il futuro, andavano alla ricerca delle proprie radici per mezzo di un risveglio culturale, vivendo quindi le due grandi passioni della cultura e della passione civile. Fra i poeti che sono stati interpreti dei moti profondi del loro tempo possiamo annoverare anche Edio Vallini con queste sue "Effemeridi", un diario in versi dove non mancano peraltro i grandi temi della poesia di tutti i tempi: i sentimenti, l’amore, la solitudine, la presenza amica della natura.. In una trama delicata, dai soni sommessi, dove si alternano giochi di assonanze e consonanze che compongono un insieme forte e tenero, si susseguono tre parti: "La solitudine e l’amore", "La politica", "Mottetti e piccoli elzeviri". Tutte e tre sono segnate da una forte impronta culturale: quello che fu un giovane operaio metalmeccanico alle prese col tornio a partire dai quindici anni, alla ricerca delle sue matrici culturali ha letto e assimilato i classici, si rifà alla mitologia greca, cita e traduce con disinvoltura gli autori latini. In tutte e tre le parti si affaccia il motivo della natura, sentita come presenza amica e sommessa: un pettirosso che molto discretamente "profana la nostra solitudine", dei "pioppi casalinghi" che vegliano sulla pianura, un autunno che con grigia delicatezza "disegna arabeschi di nebbia". Non c’è tempesta né furia degli elementi: la natura accompagna con arpeggi discreti il fluire dei sentimenti e delle vicende umane. Con la stessa discrezione è vissuto anche l’amore: con toni di profondo coinvolgimento, ma di grande levità: t’amo e tu sai che t’amo dalla mano che si fa farfalla quando ti sfioro Fatalmente, al pensiero dell’amore si accompagna quello della morte, e la levità diventa tenerezza struggente nei due versi forse più belli: t’amo e quando sarà che io muoia coprimi con un lembo del tuo amore
La parte dedicata alla politica presenta un sottotitolo impegnativo: "La sconfitta, la speranza, l’opportunismo, il dolore". La sconfitta è quella che in questi anni segna le sorti della sinistra, non solo in Italia. Sembra che antichi demoni di odio, fanatismo religioso, razzismo fra i popoli, abbiano ripreso il sopravvento soffocando la voce civile della ragione. Ma tutto ciò non gli fa perdere la speranza: una speranza tenace di chi ha visto i tempi peggiori del secolo scorso e sa che dal fango si può emergere, che il tempo della sconfitta può finire. E’ necessario però in primo luogo prendere coscienza della sconfitta: dal sonno della ragione vennero, neri di morte, a ghermire i padri colpevoli di pensare e i figli, nati sotto il giogo di Ares, arrivati a piedi nudi nella terra liberata… stretta nel pugno la rossa rosa... chiamarono socialismo la speranza, ma l’Egoarca uccise l’Utopia e la rosa reclinò la testa. E’ la storia della sua generazione, di quei padri – come il suo - perseguitati dalla nera dittatura, di quei figli ritrovatisi "a piedi nudi", che nella rosa rossa del socialismo trovarono un vessillo di redenzione, e che oggi ritrovano solo dolore e delusione. La speranza oggi viene da altri cieli, da altri continenti dove vivono gli uomini che ci furono schiavi, gli indios, i neri africani, tutti i senza terra. Forse solo chi ci ebbe negrieri saprà far sbocciare rose rosse dagli steli d’acciaio. Rose che questa volta non si piegheranno, non appassiranno, ma saranno un’arma con cui costruire un futuro che riprenda i sogni del secolo eroico. E allora anche da noi, dove la politica "si è fatta talpa" e vive solo nei monologhi televisivi, allora tornerà la "gridata partecipazione" del compagno che cantava l’Internazionale con la voce resa roca dalle sigarette e dalla polvere della fabbrica… e rivedrò la tua collera infiammare il cielo. Ed è questa collera la grande speranza di Vallini. La speranza di rivedere ciò che aveva visto ragazzo, e che aveva espresso in una poesia scritta a sedici anni, che viene riportata a chiusura del volume. Ricorda gli scioperi del ’43, cui il poeta assisté giovanissimo, dal posto privilegiato di figlio di un militante comunista impegnato nella Resistenza. Tutti noi ricordiamo come icona di quei momenti la fotografia scattata in una fabbrica milanese, con quei visi di operai duri e chiusi, tagliati nel granito di una decisione diventata ferrea: la decisione di resistere. Bene la colse il lontano ragazzo, descrivendo
il viso duro e tagliente degli operai dalle braccia incrociate sul petto… Oggi è crollato un mito sotto i colpi del nano divenuto gigante. L’operaio nel cielo ha squarciato le nuvole per far nascere l’Aurora.
Edio Vallini, Effemeridi, Milano, Spazio Tre, 2008, pp. 50. Disegni di Luigi De Simone
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