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LE RIFORME PENSIONISTICHE E LA SITUAZIONE DEI FIGLI DEL BABY BOOM
Negli
ultimi anni diversi provvedimenti legislativi hanno operato sul sistema
previdenziale nazionale con fattori pesantemente correttivi che si sono
tradotti in una serie di restrizioni ai diritti di accesso sia per le
pensioni di vecchiaia che, in modo particolare, per quelle di anzianità.
I
principali interventi legislativi sono quelli raccolti nel
Decreto Legge 503 del 30 dicembre
1992, intitolato “Riordino del Sistema
Previdenziale”, e, successivamente nella Legge n° 335 del
8 agosto 1995, denominata
“Riforma del Sistema Pensionistico”. In conseguenza di questi
interventi tutta una serie di altri provvedimenti legislativi sono stati
adottati da altri Enti Previdenziali al fine di armonizzare i trattamenti
alle linee guida del D.L. 503 e della Legge 335.
L’effetto
dei nuovi provvedimenti adottati si è tradotto in un allungamento del
tempo di attesa per l’accesso alla pensione per migliaia di lavoratori
nati nel decennio successivo al dopoguerra e che, per scelta o, più
spesso per necessità, hanno iniziato a lavorare in giovane età. A pochi
anni dalla maturazione del diritto alla pensione di anzianità questi
lavoratori hanno visto allontanarsi nel tempo la scadenza di tale diritto.
Non solo, per molti di essi è iniziata una specie di rincorsa continua
verso un traguardo che, di provvedimento in provvedimento, continuava ad
essere rinviato. A
questa beffa, che sembrerebbe concepita quasi con intento sadico, si sono
sommati per molti lavoratori altri drammatici eventi. Infatti,
nell’ultimo decennio, nel solo triangolo industriale del Nord decine di
migliaia di operai ed impiegati sono stati espulsi dal ciclo produttivo in
conseguenza di precise scelte imprenditoriali. Si pensi ai processi di
ristrutturazione, cessione, accorpamento, di grandi aziende come il Gruppo
Fiat, Olivetti, Ansaldo, le grandi multinazionali del settore elettronico
dislocate nel bacino milanese, ecc. Cassa integrazione e mobilità di
lungo termine sono state usate a piene mani dalle imprese ed hanno colpito
in particolare i lavoratori di mezza età. E non va dimenticato il ricorso
a sistemi di incentivazione a quelle dimissioni volontarie che di
volontario hanno ben poco dato che per il lavoratore, nella maggior parte
dei casi, rifiutare l’offerta dell’azienda avrebbe significato
licenziamento oppure discriminazione ed isolamento umano e professionale. Un
numero molto considerevole di lavoratori dipendenti si è quindi trovato
senza lavoro, alcuni tra loro, i più fortunati, con un ridicolo sussidio
che li dovrebbe accompagnare fino all’accesso alla pensione. Un sussidio
che, ovviamente, viene a cadere se il lavoratore dovesse riuscire a
trovare un’altra fonte di reddito per quanto questa possa essere del
tutto precaria. Il
problema più grave riguarda quella massa di lavoratori che hanno dovuto
accettare gli incentivi alle dimissioni e che spesso lo hanno fatto con
rassegnazione, confidando nel fatto che da lì a qualche anno avrebbero
acquisito il diritto alla pensione. Per molti di loro quel diritto si è
allontanato nel tempo e dalle prime dichiarazioni di intenti del prossimo
Governo di centro destra sembrerebbe che l’attesa possa rischiare di
diventare infinita. Non
è un mistero che le organizzazioni degli imprenditori puntino su due
obiettivi estremamente correlati tra loro: la libertà di licenziamento ed
il prolungamento dell’età pensionabile anche attraverso l’abolizione
o il drastico ridimensionamento del diritto alla pensione di anzianità. Consapevoli della difficoltà di poter fare ancora un ampio ricorso agli strumenti della cassa integrazione, della mobilità o dei prepensionamenti, tutte scelte molto onerose per il nostro sistema previdenziale, gli imprenditori chiedono di poter essere liberi di licenziare. Al tempo stesso, onde evitare di gravare in altro modo sulle casse previdenziali, si dichiarano contrari al fatto che i lavoratori in età vicina al diritto alla pensione di anzianità, gli stessi lavoratori che si preparano ad espellere dalle aziende, possano godere di questo diritto. Il fatto che un operaio o un impiegato cinquantenne disoccupato non abbia realisticamente nessuna possibilità di trovare un altro impiego lascia del tutto indifferente la classe imprenditoriale ed i politici che si preparano a governare il nostro paese.
per ulteriori informazioni: atdalit@yahoo.it
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