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GLI ORARI DI LAVORO IN ITALIA E IN EUROPA
Coloro
che sostengono l’anomalia del sistema previdenziale italiano, con
particolare riferimento all’aspetto delle pensioni di anzianità, si
“scordano” sempre di provare a considerare qualche altro elemento che
differenzia il nostro paese dalle altre nazioni occidentali. Uno di questi
elementi, che nel calcolo dell’anzianità lavorativa può giocare
pesantemente, è quello dell’orario di lavoro. Chiunque
abbia modo di lavorare per qualche tempo all’estero, in un paese
industrializzato del Nord Europa o del Nord America, può facilmente
rendersi conto che nelle aree metropolitane di Londra, New York,
Amsterdam, ecc., le ore di punta post-lavorative (che gli inglesi chiamano
rush hours) si concentrano tra le 16 e le 18 del pomeriggio. Al contrario
di quanto avviene da noi (e per certi versi anche in Spagna ed in Francia)
dove invece la congestione del traffico si ha tra le 18 e le 20. Ma,
anche coloro che, pur avendo rapporti di lavoro internazionali, non hanno
però occasione di muoversi oltre confine, possono facilmente verificare
quanto sia difficoltoso se non del tutto inutile tentare di entrare in
contatto telefonico con un collega straniero dopo le 16, 16.30 del
pomeriggio. Per
completezza di informazione occorre dire che negli altri paesi i
lavoratori si recano in azienda un po’ prima di noi italiani, diciamo
tra le 7.30 e le 8.30 contro le nostre 8.00 - 9.00. Esiste
poi negli altri paesi una ampia possibilità di utilizzo dell’orario
flessibile, strettamente connesso ai criteri di svolgimento delle attività
per obiettivi o per progetti. In altre parole il lavoratore si impegna con
l’azienda a portare a termine un certo compito entro una data
concordata. Sarà sua responsabilità gestire il proprio tempo nel modo
migliore al fine di rispettare l’impegno assunto. E’ importante infine
precisare che nelle imprese americane e nordeuropee esiste una differente
organizzazione del lavoro grazie alla quale vengono meno molte delle
carenze cui devono fare fronte i colleghi italiani. Si può forse
affermare che un impiegato italiano, coscienzioso e professionale, svolge
nell’arco della sua giornata lavorativa almeno un 30-40% di attività
non propriamente di sua competenza. Questo per sopperire a carenze
organizzative ed a lungaggini burocratiche che non sono appannaggio dei
soli enti pubblici ma si ritrovano spesso e volentieri anche
nell’impresa privata italiana. Ovviamente
l’approccio pianificato e strutturato delle aziende straniere induce
quei lavoratori a non prevedere la gestione dell’urgenza,
dell’imprevisto che si manifesti al di fuori del suo programma di
lavoro. E, in quanto elemento esterno e fonte di disturbo rispetto alle
proprie priorità definite, il problema viene affrontato nei ritagli di
tempo, senza interferire con una schedulazione di attività che prevedono,
tra l’altro, che alle ore 16 e 30 si torni a casa per curare il giardino
o dedicarsi ai propri hobbies. Ecco
quindi che ad un problema di organizzazione del lavoro si somma la
mentalità di colleghi che non vengono neppure sfiorati dal dubbio che ciò
a cui stanno lavorando potrebbe essere risolto trattenendosi un’altra
mezzora in ufficio. Al
contrario, negli uffici italiani di molte grandi aziende, è più che
normale trovare impiegati di tutte le età e di tutte le posizioni
gerarchiche ancora impegnati nel loro lavoro anche dopo le 19 o le 20 di
sera. Difficilmente un lavoratore italiano, ma questo è vero ad esempio
anche per gli spagnoli, lascia cadere la penna perché è scoccata l’ora
della fine della giornata lavorativa. E’ un diverso senso di
responsabilità, forse anche un certo orgoglio verso il proprio lavoro o
ancora una sorta di rispetto verso coloro che attendono da lui la
soluzione di un problema. In
termini pratici questo diverso modo di rapportarsi al lavoro si traduce in
un nostro maggiore impegno, un maggiore impegno misurabile anche in ore di
lavoro in più al giorno, al mese, all’anno. E’
piuttosto difficile contestare il fatto che nelle grandi aziende del Nord
Italia molti impiegati lavorano una media di 60-75 minuti in più al
giorno rispetto a quanto avviene in altri paesi, spesso non percependo
straordinari poiché inquadrati in categorie che non ne prevedono il
pagamento. Ma,
volendo essere cauti, proviamo ad attestarci su di una ipotesi riduttiva e
diciamo che il delta orario a nostro sfavore sia di soli 30 minuti in più
al giorno. Vediamo che cosa possono significare quei 30 minuti in più se
li si rapporta ad un’intera vita lavorativa. Considerando
l’anno lavorativo di 220 giorni, 30 minuti al giorno, corrispondono a
6.600 minuti, o meglio a circa 14 giorni di 8 ore, lavorati in più su
base annua. Dopo 35 anni di lavoro il lavoratore italiano avrà speso in azienda 481 giorni, o meglio 2 anni e 41 giorni in più del collega nordeuropeo con pari anzianità. In altre parole i 35 anni di anzianità del collega straniero potranno corrispondere a 37 anni e 2 mesi del lavoratore italiano. Nell’ipotesi di 40 anni di lavoro, l’italiano ne avrà lavorati 42 e quasi 6 mesi in più.
per ulteriori informazioni: atdalit@yahoo.it
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