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CONSIDERAZIONI POLITICHE E SINDACALI

Dalle riforme pensionistiche all'organizzazione del lavoro in Italia e in Europa. E non solo...

 

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L’ETA’ PENSIONABILE NEI PAESI EUROPEI

Chi sostiene la necessità di riformare drasticamente il sistema previdenziale italiano propone, tra l’altro, il prolungamento degli anni di lavoro per l’accesso alla pensione di vecchiaia e la progressiva eliminazione delle pensioni di anzianità, oggi legate al numero di anni di versamenti contributivi effettuati. Tra i motivi a sostegno di queste proposte vi è quello che negli altri paesi europei le pensioni di vecchiaia vengono concesse in età più avanzata di quanto avviene in Italia e che in nessun paese europeo esistono le pensioni di anzianità.

Queste considerazioni risultano del tutto superficiali e spesso non esattamente rispondenti alla realtà.

La situazione nei paesi della Comunità Europea è estremamente diversificata e non può essere semplificata come vorrebbero i sostenitori della revisione del sistema previdenziale.

Nella maggior parte dei paesi con cui ci confrontiamo è ben difficile trovare operai ed impiegati alla soglia dei 60 anni ancora impegnati in attività lavorative nelle fabbriche o negli uffici. In realtà i nostri colleghi dell’Europa lasciano il lavoro, come avviene in Italia, attorno ai 55 anni di età spesso su sollecitazione delle aziende da cui dipendono. Da quel momento i lavoratori ricevono una pensione “privata” maturata grazie alle contribuzioni che loro stessi e le aziende per cui hanno lavorato hanno versato nel corso degli anni ad enti assicurativi previdenziali privati. Il trattamento pensionistico privato “accompagna” il lavoratore fino al raggiungimento dell’età prevista (diversa da paese a paese, 60 o 65 anni) per l’accesso alla pensione pubblica.

In Italia per anni non ci si è preoccupati di sviluppare un sistema privatistico integrativo, una carenza questa la cui responsabilità ricade sul sistema politico ma soprattutto sulle imprese.

In questa situazione i lavoratori nati nel decennio successivo al dopo guerra che perdono il posto di lavoro, si trovano quindi nell’impossibilità di disporre di altre fonti di reddito che non siano quelle derivanti dalla pensione pubblica.

Ma la responsabilità di questo stato di cose può essere imputata a chiunque tranne che ai lavoratori che hanno versato per anni i loro contributi previdenziali e che oggi si pretende siano coloro che devono pagare errori fatti da altri.

 

 

 

per ulteriori informazioni: atdalit@yahoo.it