IL
PROLUNGAMENTO DELL’ETA’ CONSIDERATA PRODUTTIVA
Chi sostiene la necessità
di riformare drasticamente il sistema previdenziale, prolungando il
periodo di lavoro necessario per accedere al diritto alla pensione, basa
le sue argomentazioni anche sul fatto che la prospettiva della vita media
degli individui si è decisamente allungata
e che, grazie ai progressi della scienza medica, gli individui possono
mantenere una condizione fisica e psichica ottimale fino in età avanzata.
Si sostiene che oggi gli individui possono portare un efficace
contributo alle attività produttive anche dopo i 65 o 70 anni di
età e che quindi la società deve valorizzare queste capacità dando ai
lavoratori la possibilità di lavorare più a lungo. Di fatto questa
preoccupazione di carattere “sociale”, che ci viene spacciata come
interesse del sistema politico ed imprenditoriale a non emarginare gli
individui ancora nel pieno delle loro capacità, nasconde l’obiettivo
principale che è quello di abbattere il costo sociale delle pensioni che
dovrebbero essere loro corrisposte riuscendo, ma solo in subordine al
primo obiettivo, a “spremere” da questi lavoratori qualche altro anno
di contributo professionale al sistema produttivo. Se si abbandona il
quadro teorico disegnato da chi, per malafede o scarsa conoscenza di
quanto avviene nel mondo del lavoro, sostiene queste posizioni, nella
realtà quotidiana possiamo riscontrare che le aziende non vedono l’ora
di potersi disfare di quei lavoratori che hanno superato non la soglia dei
60 anni di età ma bensì quella dei 50. Infatti, anche in conseguenza
della larga diffusione dell’automazione quella che una volta veniva
riconosciuta come esperienza professionale, frutto di lunghi anni di
lavoro, viene ad assumere sempre minore valenza nella logica
dell’impresa. Un cinquantenne la cui attività è oggi guidata da
sistemi automatizzati può essere rapidamente sostituito da un giovane
assunto con contratti capestro, soggetto al ricatto del bisogno di
lavorare quindi più docile e remissivo rispetto alle pretese
dell’impresa e, soprattutto, molto meno costoso rispetto al collega che
andrà a sostituire.
Le
teorie dei sostenitori della revisione del sistema previdenziale portano
quindi all’unica drammatica conseguenza di creare una classe di
ex-lavoratori in età a cavallo dei 50 anni che si trovano in una
condizione di disoccupazione permanente e senza possibilità di accesso
alla pensione.
per
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