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LA POSIZIONE UFFICIALE DEGLI IMPRENDITORI E I COMPORTAMENTI DELLE AZIENDE
Le organizzazioni imprenditoriali sono da anni in prima linea nel richiedere una drastica riforma delle pensioni. L’obbiettivo è quello di ritardare il più possibile l’età di accesso al trattamento pensionistico. La motivazione principale è quella che oggi si vive più a lungo e che l’individuo può essere considerato produttivo ben oltre i 60 anni di età. Se questa è la posizione ufficiale del mondo imprenditoriale ben diversi sono i criteri ed i comportamenti che le imprese adottano una volta lontane dai tavoli del confronto con il mondo politico e sindacale. Nella maggior parte delle aziende, in particolare all’interno delle grandi aziende, un lavoratore è considerato “in carriera” nella fascia di età dai 25 ai 40 anni. Al di sopra dei 40 anni si entra in una fascia che, salvo rare eccezioni, non prevede più grandi investimenti da parte dell’azienda. Ai giorni nostri la qualifica di quadro o, meglio ancora, di dirigente, deve essere raggiunta prima dei 40 anni perché oltre quell’età le possibilità tendono a ridursi sensibilmente. Ma la situazione più gravi comincia a manifestarsi quando ci si avvicina alla soglia dei 50 anni, un’età che per l’azienda equivale più o meno alla qualifica di lavoratore “decotto” di cui ci si deve sbarazzare alla prima occasione. Occorrono prove o dimostrazioni pratiche di quanto fin qui detto ? E’ sufficiente scorrere la lista dei lavoratori di una qualsiasi azienda inseriti in provvedimenti di mobilità per rendersi conto che la percentuale dei “decotti” è di gran lunga la più consistente. E che dire della composizione delle liste dei lavoratori incentivati alle dimissioni o di quelli che, in un recente passato, sono stati oggetto di convincenti proposte di prepensionamento ? Dunque
quale è la verità ? Quella strumentalmente sostenuta dalle
organizzazioni imprenditoriali o quella testimoniata dai comportamenti
reali delle aziende nei confronti di questi lavoratori ? Ovviamente
tutto questo ha una sua spiegazione ed una sua logica. Si provi a
riflettere su quanto costa ad una azienda un impiegato amministrativo con
specializzazione generica la cui attività consiste nell’introdurre o
controllare dati che compaiono su di un terminale.
Grazie a 25 o 30 anni di lavoro questo impiegato può percepire
oggi uno stipendio di 3-4 milioni lordi al mese. Si confronti ora il costo di quel
lavoratore con quello di un giovane neolaureato o neodiplomato, assunto
con un bel contratto capestro, del tipo solo doveri e nessun diritto, a
1,5 milioni lordi al mese, un giovane comunque in grado di apprendere
tutti i segreti del rapporto con il suo terminale nel giro di due o tre
mesi. Non occorre meditare più di tanto per sapere quale sarà la scelta
dell’azienda. Un scelta che fino a ieri trovava qualche ostacolo nei vincoli dettati dalle norme dello Statuto dei Lavoratori che regolano la materia dei licenziamenti, ma che, nel prossimo futuro potrebbe trovare ampie facilitazioni nella libertà di licenziamento richiesta dalle imprese e promessa loro dal Governo di centrodestra.
per ulteriori informazioni: atdalit@yahoo.it
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