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In questo numero

 

Il ponte della Lombardia  - giugno/luglio 2002 n. 65 

 

Le notti attiche 

Luciano Guardigli

 

FORUM: MOVIMENTI, AUTONOMIA E RAPPORTO CON LA POLITICA

Interventi di Lella Bellina, Edda Boletti, Iole Garuti, Luciano Guardigli, Luigi Lusenti, Flavio Mongelli, Emilio Molinari

La rinascita della sinistra: quel che resta da fare

Gian Luigi Falabrino

 

Movimento, sindacato e politica

intervista a Franco Arrigoni a cura di L.B.

 

Lotta titanica tra amministratori di condominio
Valentino Ballabio

 

Bicocca: la fabbrica, il quartiere, l'università, il teatro

intervista a Vittorio Gregotti

 

La strana coppia Cacciari-don Verzè

Giovanni Colombo

 

Pensieri sparsi dal paese delle aquile

Luigi Lusenti

 

Argentina: annientare i sindacalisti

Daniela Binello

 

Una sentenza storica

D.B.

 

Marketing del territorio: il caso Voghera

Antonio Corbeletti

 

Un caso esemplare: la poesia di Eugenio Lucrezi

L.G.

 

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Il ponte 

della Lombardia

 

periodico di commento

critica progetto

 

Editore

Comedit 2000

 

Presidente

Paolo Pinardi

 

Direttore resp.

Luigi Lusenti

 

Redazione

L. Bellina, A. Celadin, A. Corbeletti, G. Falabrino, 

A. Ripamonti, F. Rancati

 

 

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20127 Milano

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Reg. Trib. MI

n. 304 maggio 1992

 

 

Movimento, sindacato e politica

Sul tema dell'autonomia e del rapporto con la politica si è imperniata la conversazione (riportata su queste pagine) con i rappresentanti delle associazioni e dei movimenti.

La manifestazione del 23 marzo a Roma, organizzata dalla sola Cgil, "la più imponente della storia della Repubblica" come è stata definita sulla stampa, ha indicato nella Cgil un soggetto fondamentale dell'opposizione sociale.

La questione del rapporto tra il movimento dei lavoratori, la più rappresentativa delle sue organizzazioni e la sfera della politica si pone oggi più che mai.

Su questo abbiamo "interrogato" Franco Arrigoni, segretario della Fiom di Milano.

Il sindacato, e la Cgil in particolare, in questi ultimi mesi è stato più volte accusato di una eccessiva esposizione sul terreno della politica mentre, nel recente passato, ha a mio avviso dato prova di scarsa automia da governo e partiti.

Il tema del rapporto tra politico e sociale si pone, quindi, anche per il movimento dei lavoratori e per l'organizzazione che maggiormente li rappresenta.

Ci sono due premesse da fare.

La prima.  Il sindacato non è una forza politica, deve quindi essere autonomo dal governo, dai partiti e dai padroni, ma è comunque un soggetto politico indispensabile per delineare un’idea di società diversa da quella attuale.

La seconda. Considero non solo sbagliato ma una tragedia il fatto che il sindacato possa sostituirsi ai partiti.

Negli anni del governo di centro sinistra nessuna delle due premesse si è realizzata. La Cgil non si è assolutamente dimostrata autonoma e non ha saputo indicare un progetto di cambiamento. Il sindacato si è limitato a gestire il gestibile senza inserire nulla che potesse far almeno trasparire una idea diversa di società.

Credo che questo sia uno dei motivi per cui il centro sinistra ha perso, assieme alla rincorsa dell'avversario sul suo terreno che ha caratterizzato la gestione dell'Ulivo da parte di Rutelli. Quando si corre sul campo dell’avversario o ci si adegua alle regole che stabilisce o comunque si perde: perché le persone, per protesta, piuttosto che per rassegnazione (elemento pericolosissimo per la politica) non premiano chi appare troppo simile all'avversario.

Ma il fatto che la sinistra giochi un ruolo pressochè inesistente non autorizza il sindacato a gestire nello stesso modo le questioni sociali. Infatti, dopo anni di apatia, ad una linea combattiva della Cgil ha corrisposto la reazione, lo scatto di orgoglio di questi giorni.

Il passaggio dalla rassegnazione alla voglia di contare muta il panorama sociale e politico.

Il cosiddetto movimento "no global" ha svolto un ruolo importante in questo senso, non solo perché ha centrato le questioni generali del mondo, perché le ha affrontate con una visione internazionalista da tempo assente nel nostro fare politica, ma anche perché ha avuto la capacità di aggregare migliaia di giovani, sfatando l'idea sbagliata presente sia nella sinistra che nel sindacato in questi anni secondo cui le nuove generazioni non si interessano di politica.

Per quanto riguarda i girotondi, trovo non solo fuorviante ma anche disonesto scambiare quei movimenti come un sostegno all’opposizione del centro sinistra. Quei movimenti sono nati contro l’assenza di una politica di sinistra, su questo si sono sviluppati e poi sono stati strumentalizzati dal centro sinistra.

Il centro sinistra si sostiene se ha un' idea, una politica, altrimenti…

 

Rispetto al rapporto movimento "no global", movimento dei lavoratori. Può sembrare paradossale che proprio la Fiom, negli ultimi anni tacciata di conservatorismo e considerata residuale (si occupava di un soggetto destinato a sparire…) per prima  e con più sincerità sia entrata in rapporto con chi ha affermato che "un altro mondo è possibile. Perché la Fiom e non invece un’altra categoria oppure l'insieme della Cgil?

 

Anzitutto bisogna chiarire cosa intendiamo per “conservatori”: Se conservatore vuol dire battersi per mantenere diritti e conquiste, sono contento di essere un conservatore.

Rispetto alla Fiom, non vedo la contraddizione perché una categoria come la nostra, almeno nel periodo in cui è stata guidata da Claudio Sabbattini (non credo che con altri segretari generali saremmo stati sulle stesse posizioni), ha avuto una visione non restrittiva e settoriale ma molto confederale, osteggiata anche nella confederazione.

Il modo in cui siamo strutturati nei luoghi di lavoro ma anche sul territorio nei comprensori, nelle zone, ci permette non solo di essere più vicini ai lavoratori e di coglierne le istanze ma anche di sentire quello che sta accadendo nella società.

Trovo contraddittorio e paradossale, invece, il ritardo con cui la Cgil ha deciso di guardare ai movimenti.

Come mai la Cgil, che nel corso di questi anni ha costruito un processo di omologazione al moderatismo anche di carattere sindacale e che ha tentato di omologare la Fiom a questo tipo di progetto, oggi agisce in controtendenza?

Qua entra in campo una delle due premesse che facevo all'inizio.

In assenza della politica e, soprattutto, in assenza di un progetto della sinistra, anche la Cgil si è trovata stretta da una parte nella morsa dei movimenti e dei lavoratori dall'altra senza una sponda politica.

 

E si arriva la 23 marzo ed allo sciopero generale del 16 aprile. Il 23 marzo nasce dal fatto che la Cgil ha saputo accogliere una esigenza reale che veniva dal mondo del lavoro oppure ha saputo creare nei luoghi di lavoro e nella società una tensione che si è trasformata in lotta? In sintesi: la Cgil è stata la testa oppure terminale sensibile della battaglia per i diritti?

 

Bisogna partire da come la Cgil ha costruito e poi concluso il suo congresso. Il dibattito congressuale si avviò su due mozioni distinte, scritte prima delle elezioni politiche del 13 maggio. Il fatto che il congresso si sia è svolto dopo le elezioni politiche su mozioni costruite prima è stato un errore.

Primo, perché se la Cgil non avesse rinviato il suo congresso, fosse scesa in campo prima delle elezioni, forse avrebbe potuto svolgere un ruolo per evitare che la sinistra perdesse. Poi perché la stessa analisi su cui si erano costruire le mozioni ha perso di attualità in un panorama radicalmente mutato.

Detto questo, comunque, credo che nessuno degli addetti ai lavori, se intellettualmente onesto, può dichiarare che siamo usciti dal congresso della Cgil così come siamo entrati, non tanto per la ricomposizione unitaria delle due mozioni che si è prodotta, ma proprio nel merito.

Senza presunzione, a deteminare la conclusione del congresso e il cambiamento di linea della Cgil hanno contribuito molto la Fiom e la sinistra sindacale.

Oggi non sono nelle condizioni di  dire se il 23 marzo e la dichiarazione di sciopero generale della sola Cgil siano state scelte tattiche o strategiche.

E’ chiaro, però, che o la sinistra tiene conto di cosa è successo il 23 marzo e il 16 aprile oppure siamo punto e a capo.

 

Vedo uno scarto tra una linea esterna della Cgil oggettivamente condivisibile, combattiva e "di sinistra" e una gestione interna dell'organizzazione sempre più burocratica ed avvitata su dinamiche asfittiche. Anche la composizione dei nuovi gruppi dirigenti avviene più per veti incrociati e per accordi a tavolino tra le differenti "anime" che tenendo conto di competenze e storie. A questo si aggiunge il fatto che ormai quando si parla di Cgil, si parla in realtà del suo leader. 

Credo che prima o poi il contrasto tra una linea coraggiosa e "di lotta" ed un gruppo dirigente mediocre, per nulla appassionato, diventerà stridente.

E' possibile che tutto quello che è accaduto, dal 6 luglio dei metalmeccanici ad oggi, non sia minimamente "entrato" in Cgil, non ne abbia infuenzato le dinamiche interne?

 

E’ un errore concludere un congresso in modo unitario e poi non essere conseguenti a questo segnale politico importante nella definizione dei gruppi dirigenti, cioè ripetere vecchie regole, che rispondono ancora una volta a logiche di partito e segnano non l'autonomia della Cgil , ma l’attesa di tempi migliori per ricominciare la politica di prima.

E’ un errore perché così si mortifica chi ha lavorato per costruire una linea unitaria e non si considerano competenze e capacità.

Anche sul versante della politica non va tutto bene.

Di fronte ad un gruppo come Fiat, che sta facendo pagare le proprie scelte sbagliate ai lavoratori, c’è una opposizione netta della Fiom, ma non c’è una proposta politica su come andare avanti.

Questo è un limite. 

 

 

La difesa dell'art. 18 è una battaglia sacrosanta. Qualcuno sostiene, però, che la lotta per i diritti andrebbe inserita in un quadro di riferimento più vasto,almeno europeo.

Non è il caso di cominciare a ragionare con una visione più ampia?

 

La Cgil  insiste ormai da tempo su questo. Non entro nel merito, ma c’è una discussione di questa natura, confermata dalla Carta di Nizza. La Fiom, nel suo documento di Francoforte, sulla questione dei diritti ma anche della politiche soprattutto salariale tenta un approccio meno "locale".

Ma ci sono delle discrepanze che nascono da difficoltà oggettive tra ciò che si discute e l’azione.

I nostri avversari ci ricordano spesso che l’art.18 c’è solo in Italia, ma poi non dicono che altrove vorrebbero tanto averlo. 

L’esigenza di un raccordo a livello europeo sulle questioni del lavoro è indiscutibile, tra l’altro gli esiti del voto in molti paesi d'Europa indicano una tendenza di destra che occorre arginare seriamente, per farlo le politiche sociali svolgono un ruolo importante.

Comunque, l'articolo 18 (anche se è "localistico"…), non va solo difeso, ma esteso. In questo senso considero importante la decisione della Fiom di impegnarsi sui due referendum sociali.

 

Come spieghi il fatto che mentre Fiom e sinistra sindacale hanno deciso di appoggiare i due referendum sociali, la Cgil, per bocca del suo segretario generale ha espresso la propria contrarietà a quella scelta?

 

Si ripropone il problema dell’autonomia.

Nel ’70, al momento dell'approvazione dello Statuto dei Lavoratori, una parte considerevole di parlamentari del Pci si astenne proprio sulla parte che limitava la sua estensione ai luoghi di lavoro che avessero più di 15 dipendenti.

Quella scelta corrispondeva ad una posizione presente nel partito: allearsi con il "piccolo" (le cooperative, gli artigiani, ecc.) per combattere il "grande".

Oggi siamo ancora lì.

Il più grande dei partiti di sinistra di questo paese sta guardando ad altro che ai lavoratori dipendenti, commettendo un errore di analisi, perché le aziende sotto i 15 dipendenti non sono più quelle di un tempo: adesso sono le multinazionali a spezzettarsi in aziende che non superano la soglia dei 15 lavoratori.

Il limite della Cgil è di aver assecondato la posizione dei Ds.

Forse bisognerebbe tornare a compiere serie analisi di classe in questo paese.

Detto questo, considero il referendum come uno degli strumenti per conseguire il risultato di estendere i diritti. In primo luogo perché senza la mobilitazione e la lotta non ci sono prospettive; in secondo luogo perché chiama l’insieme della popolazione italiana a votare su un tema che non riguarda l’insieme della popolazione italiana.

Se vogliamo vincere questa scommessa dobbiamo lavorare parecchio. E abbiamo bisogno di una ripresa della mobilitazione: o si rimettono in moto anche le iniziative di lotta oppure rischiamo di fare grossi passi indietro rispetto a marzo e aprile.

 

 

 

 

 

 

La strana coppia Cacciari-don Verzè

 

Venghino, venghino! Parte la nuova Facoltà di Filosofia dell’Università Vita - salute San Raffaele.  Promotore: don Luigi Verzè. Preside: Massimo Cacciari.  Il corso di laurea in filosofia è triennale e  si organizza  attorno a due curricula: filosofia della prassi e filosofia della mente e dei linguaggi.   Fra i docenti: padre Enzo Bianchi, Edoardo Boncinelli, Luci Cavalli-Sforza, Roberta De Monticelli, don Bruno Forte, Salvatore Natoli, Piergiorgio Odifreddi, Giovanni Reale, Guido Rossi, Emanuele Severino, Salvatore Veca.  Le attività didattiche si svolgeranno nel Palazzo Borromeo a Cesano Maderno, nel cuore della Brianza.   L’antico complesso, stile barocco lombardo, con un ampio parco  e 3.700 mq di affreschi, accoglierà  ottanta aspiranti filosofi. Il costo annuo d’iscrizione è di  4.150 euro: questa notizia, che risale all’inizio di maggio,  merita un’ampia eco. Mi  pare un segno dei tempi.

Innanzitutto una parola sui due protagonisti.

Cacciari: mente sopraffina ma eterno adolescente in moto perpetuo. Non sono in grado di valutare il filosofo, mi limito alle piroette  del politico nell’ultimo decennio. Prima il movimento dei sindaci, poi il movimento del Nord-Est, poi l'Asinello, poi la Margherita... prima sindaco (dimissioni), poi europarlamentare (dimissioni), poi  consigliere regionale (dimissioni)… Lungi da me fare la predica a qualcuno, apprezzo le migrazioni e le contaminazioni, sono anch'io nel mio piccolo un migrante e un contaminato, ma non si può continuare per tutta la vita a vivere di esperimenti. Ad un certo punto ti devi inchiodare e  perseverare finché l'opera non sia compiuta. Se va avanti così, tra due anni Cacciari diventa prete, tra cinque Cardinale pronto a fare un giro da Papa (dev'essere una bella esperienza fare il Papa!).

Don Verzè: prete manager  con uno spiccata propensione per gli affari nel settore della sanità. Nel 1966 , in un’area di Segrate,  inizia a costruire una clinica “Ospedale San Raffaele”   e da allora le sue fortune  coincidono  con quelle della grande iniziativa immobiliare nota come “Milano2” e patrocinata dalla società Edilnord sas di Silvio Berlusconi (per altre notizie sulla collusione tra i due gruppi e le due iniziative, o  meglio  sull’asservimento del San Raffaele ai prevalenti scopi speculativi di Milano 2, vedi il libro di Giovanni Ruggieri “Berlusconi - Gli affari del Presidente”,  Kaos Edizioni, pagg. 20- 32). Il prete veronese trapiantatosi  a Milano (ma mai accolto dalla diocesi)  è tipo alla Marcinkus. Ogni frequentazione è buona, ogni furbizia è lecita, ogni mezzo è utilizzabile per raggiungere il bene. In nome di Dio,  astuti come serpenti. Il tribunale può attendere.

Ora i due, l’intellettuale brillante dalla lingua sciolta, sempre pronto a commenti pret-à-porter, e il  prete atipico dalla mano svelta, sempre pronto a fiutare l’affare giusto, festeggiano  il connubio. Per nulla casto. Anzi, a mio modesto avviso, perverso per due ragioni.

La prima: Cacciari, e con lui nomi  che sono per molti garanzia di qualità come il monaco Enzo Bianchi, don Bruno Forte, Salvatore Natoli, Salvatore Veca,  accettano di dare la patente di  mecenate illuminato ad un mercante spregiudicato. Lo sdoganamento di don Verzè è un segnale devastante, specie per  i giovani che si dovrebbero elevare ad altiora. Quid est veritas, se l’accoppiamento  non ha limiti, se tutti possono andare con tutti (basta mettersi d’accordo sul prezzo)?  Quid est veritas, quando anche i chierici  plaudono contenti ai finanziatori dalla dubbia moralità?  Che l’unica veritas sia proprio il tradimento dei chierici?

La seconda: l'operazione è un'altra pesantissima martellata alle università statali. Come siano ridotte molte delle università italiane non c’è neanche bisogno di dirlo: troppa burocrazia, gerontocrazia invece di meritocrazia,  spazi inadeguati, assenza di fondi per la ricerca. Però non è intellettualmente corretto  dare ormai per scontato, anche da parte di professori  che devono quasi tutto  al pubblico  o che addirittura continuano a svolgere nel pubblico la loro attività prevalente, che la qualità, l'eccellenza si possano perseguire solo nel privato, in circoli ristretti,  nelle ville patrizie, lungo i vialetti  che permettono finalmente esperienze peripatetiche. Dubito comunque che ci sia qualcuno in grado di contrastare l’impostazione di Cacciari & C. Intorno vedo solo mutismo/opportunismo  mentre viaggia spedito il depliant pubblicitario che predica la fuga dai carrozzoni dell'istruzione statalista. Dagli stanzoni della Statale di Milano usciranno i travet, da Palazzo Borromeo in Cesano Maderno  la classe dirigente. Preparata, profumata e ben pettinata (con 4.150 euro il trattamento è completo). Se vuoi essere moderno,  se desideri entrare nelle fila della gauche cavial ulivista,  non perdere tempo con vecchi moralismi, vieni con noi o mandaci i tuoi figli. Parola di Max (e benedizione di don Luigi).