L'analisi del voto in Lombardia

di Rocco Cordì

 

 

REGIONALI 2005 - PARTE PRIMA

 

 

Prima di proporre numeri e valutazioni sul voto del 3-4 aprile 2005 è opportuno richiamare brevemente il “sistema elettorale” vigente.

 

Le norme relative alle elezioni regionali definiscono un sistema “misto” costituito cioè da una parte maggioritaria (o del presidente) ed una parte proporzionale (o delle liste):

Il candidato presidente che ottiene il maggior numero di voti viene nominato Presidente. Al vincitore è garantita sempre e comunque la maggioranza in Consiglio (del 55% o del 60% a seconda dei casi). Al Presidente eletto spetta un “premio di maggioranza” pari al 20% dei componenti il Consiglio (in Lombardia sono 16 consiglieri). I loro nomi sono indicati nella lista regionale, detta anche “listino”.

Alle liste circoscrizionali viene assegnato, in proporzione ai voti ottenuti, il restante 80% dei seggi consiliari.

 

Si può votare una lista e un candidato presidente collegato alla stessa oppure la sola lista (in questo caso il voto è automaticamente trasferito anche al candidato presidente).

Si può votare una lista e un candidato ad essa non collegato: è questo il caso del  “voto disgiunto”. Si può infine votare il solo candidato presidente.

Nei primi due casi l’elettore concorre direttamente sia all’esito del maggioritario, elezione del presidente, che del proporzionale, elezione dei consiglieri; (con la preferenza nominativa, non obbligatoria, si concorre inoltre alla scelta individuale dei consiglieri).

Nel terzo caso partecipa alla competizione “maggioritaria”, ma resta escluso da quella relativa alla attribuzione dei seggi.

 

Per non incorrere in interpretazioni fuorvianti bisogna sempre tenere presenti le “modalità” di voto previste per ciascun tipo di elezione, soprattutto quando i risultati di una elezione vengono confrontati con quelli di una precedente, diversamente regolata.

Il confronto più attendibile resta pertanto quello fatto direttamente con elezioni analoghe, negli altri casi si deve procedere con qualche cautela in più.

 

Non meno importante è l’approccio con i voti assoluti e le percentuali.

Veniamo spesso sommersi da valutazioni fondate esclusivamente sulle variazioni dei valori percentuali. Eppure è risaputo che le sole variazioni percentuali non consentono di delineare un quadro corretto e completo della situazione. Può infatti capitare che ad una crescita delle percentuali corrisponda una perdita reale di voti (un astensionismo più penalizzante per alcune liste determina aumenti percentuali per le altre anche se i voti di queste ultime non aumentano). Così pure succede che l’incremento in voti assoluti sia accompagnato dalla riduzione del valore in percentuale (l’aumento di consensi maggiore per alcune liste determina una riduzione in percentuale delle altre la cui crescita è minore).

 

Si è capito che non stiamo parlando di chi vince o di chi perde le elezioni (il sistema di tipo maggioritario non lascia alcun dubbio in proposito), ma di alcune regole elementari da osservare ogni qualvolta si prende in esame l’esito del voto.

Tanto più corretto sarà l’approccio ai dati numerici tanto più efficace ne risulterà la valutazione del voto, degli spostamenti intervenuti tra le coalizioni e all’interno di esse, delle dinamiche e delle tendenze in atto.

 

Mettendo l’accento sull’uno o sull’altro dato l’analisi del voto può cambiare di segno.

Occorre però distinguere tra chiavi interpretative differenti dettate da una sincera propensione a comprendere ciò che è realmente accaduto, dalle analisi forzate tese ad affermare un valutazione di parte.

PARTECIPAZIONE E ASTENSIONISMO

 

 

Gli elettori aventi diritto al voto nelle 14 regioni interessate al voto sono 41.122.024 (di questi 554.266 sono della Basilicata il cui voto è stato rinviato al 17-18 aprile).

I votanti sono stati circa 29 milioni (71,4% contro il precedente 73,1% =  -1,7%).

 

Una partecipazione superiore alle previsioni della vigilia, ma che conferma le preoccupazioni sulla progressiva erosione dei partecipanti al voto:

nel 1970, anno in cui si votò la prima volta per le regionali, i votanti furono il 92,5 %; dieci anni dopo nel 1980 erano l’88,5%, nel 1990 l’87,1%, nel 1995 l’81,3%.

Nell’ultimo decennio l’astensionismo è cresciuto di 10 punti percentuali, tanti quanti accumulati nei 25 anni precedenti.

 

Che il 28,6% degli italiani decida di starsene a casa non è cosa da liquidare come “tendenza fisiologica”, né con la tesi consolatoria che si tratta di un fenomeno tipico delle cosiddette democrazie mature. Se a questi aggiungiamo gli “astensionisti attivi”, quelli cioè che nel segreto dell’urna esprimono un voto nullo ( 3,7% degli elettori = 6,5% dei votanti), ne risulta che il fenomeno del NON VOTO ha interessato 13.674.042 elettori (pari al 33,2% degli aventi diritto al voto).

 

Si tratta di un dato quantitativo enorme che segna la qualità stessa della prova elettorale. Esso mette in luce la progressiva erosione del consenso e rivela le basi reali del consenso. Se rapportiamo i voti ottenuti dai diversi schieramenti con la base elettorale (e non con i voti validamente espressi) emerge un quadro notevolmente diverso da quello offerto dai “dati ufficiali”.

 

Considerando la parte maggioritaria emerge che: ogni cento elettori 35,4 hanno scelto il centrosinistra, 33,2 il NON VOTO), 29,5 il centrodestra, 1,9 le altre liste.

 

Nel voto proporzionale è il NON VOTO a collocarsi in prima posizione con il 33,2% (40,5 se non si considera il voto dato ai solo presidenti), le liste di centrosinistra raccolgono il 31,4%, quelle di centrodesta il 27,0%, le altre liste l’1%.

 

La pratica astensionista colpisce con sempre maggiore frequenza entrambi gli schieramenti. L’esito delle consultazioni elettorali dell’ultimo decennio è stato spesso condizionato più dal non voto che da trasferimenti elettorali da un campo all’altro. La tesi che l’astensionismo di massa sia diventato una forma di partecipazione alla vita politica, per quanto paradossale possa apparire, trova solide conferme nell’esame dei numeri reali.

 

ELETTORI, VOTANTI, VOTI VALIDI, NON VOTO, NELLE ELEZIONI DAL 2000 AL 2005

 

ELETTORI

VOTANTI

VOTI VALIDI

NON VOTO

Regionali 2005

41.122.024

29.361.125

27.447.982

13.674.042

Europee 2004

 

 

27.577.806

13.994.194

Politiche 2001

 

 

31.303.304

10.268.788

Regionali 2000

41.572.092

30.389.199

27.670.362

13.901.730

Regionali del 2005 = 14 regioni al voto (manca laBasilicata); nel 2000 c’era in più il Molise

Mancano elettori e votanti nelle14 regioni per  “europee” e “politiche”

La tabella va completata con i dati della Basilicata al voto il 18 aprile

 

I dati riportati sono quelli del voto maggioritario, detto anche voto di coalizione o del presidente (anche i voti alle liste hanno subito un leggero calo passando da 24.800.000 a 24.400.000).

Tra le due elezioni regionali (2000-2005) si nota un fatto significativo: a fronte di una diminuzione dei votanti (-1.000.000.) e quindi dei voti validi (-222.000), l’incidenza di questi ultimi sui votanti è aumentata del 2,5% (ciò significa che le schede annullate son dimuite di almeno 800.000 unità).

 

Si può dedurre che mentre una parte di elettori si è orientata verso l’astensione, altri hanno imboccato il percorso inverso: dalla non partecipazione al voto attivo.

Una maggiore precisione sui percorsi della “mobilità” elettorale può venire solo dalla analisi dei flussi.

 

Il quadro delineato nelle tabelle precedenti e in quelle successive consente comunque di non adagiarsi sulla tanto diffusa, quanto infondata , spiegazione che il successo del centrosinistra sia dovuto allo spostamento di due milioni di voti da destra a sinistra. I “movimenti” elettorali vanno ben aldilà del possibile interscambio tra i due campi principali per la semplice ragione che ne esistono anche altri (quello più importante dell’astensionismo e quello minore, ma comunque significativo, rappresentato dalle “altre liste”). Non meno importanti, infine, le “variabili” determinate dalle stesse modalità di voto.

 

 

 

AFFLUENZA ALLE URNE per aree geografiche

 

ITALIA

Italia settentr.

Italia centrale

Italia merid.

Regionali 2005

71,4

73,0

72,2

68,1

Regionali 2000

73,1

75,3

73,3

69,0

 

I votanti sono diminuiti maggiormente al nord -2,3%, contro la media nazionale di -1,7%, seguono il Centro (-1,1%) e il sud  (– 0,9%). Nell’Italia settentrionale i dati più negativi sono quelli del Veneto ( -3,2% ) e della LOMBARDIA ( -2,6% ).

Tradotte le percentuali in termini assoluti significa che, rispetto al 2000, nell’Italia settentrionale hanno votato 460.000 elettori in meno, in quella centrale 121.000, in quella meridionale 90.000. Da notare che nelle Regioni dell’Italia settentrionale, in cui si è votato, è concentrato il 50% del corpo elettorale. Si tratta di un dato significativo, da non dimenticare soprattutto quando dal voto si vogliono trarre conclusioni “nazionali”.

ESITO DEL VOTO NELLA PARTE MAGGIORITARIA

 

Il centrosinistra conquista ben 11 regioni su 13 chiamate al voto.

Mantiene la maggioranza in 5 regioni (Emilia, Toscana, Umbria, Marche, Campania) e ne sottrae 6 al centrodestra (Piemonte,Liguria, Lazio, Abruzzo, Puglia, Calabria). Particolarmente significativo il risultato nel Lazio e in Puglia dove la prevalenza è determinata da 100.000 voti circa.

Il centrodestra mantiene il governo di Lombardia e Veneto subendo però anche qui significative perdite in termini di voti.

 

Regionali 2005: Voti ai presidenti per schieramento e regione

(graduatoria in ordine decrescente sulle percentuali del centrosinistra)

  

 

Dalla tabella emerge in modo chiaro, netto, inequivocabile, la portata del risultato del 3-4 aprile. Il voto di “coalizione” (liste + presidente) vede prevalere lo schieramento di centrosinistra di circa 2,4 milioni di voti (+8,8%).

 

Vedremo più avanti dove si sono registrati gli spostamenti più significativi ed anche lo scarto con i voti di lista.

 

Qui è utile richiamare l’attenzione sul “peso” delle ultime cinque regioni: in tre di esse la prevalenza del centrosinistra appare risicata, nelle ultime due la distanza con il centrodestra resta ancora significativa. Nel loro insieme esse esprimono il 60% circa dei voti validi (il restante 40% è ovviamente compreso nelle altre otto regioni) e rapporti di forza rovesciati rispetto al quadro generale.

 

In tali regioni il centrodestra supera il centrosinistra di mezzo milione di voti circa e di 3 punti in percentuale. La metafora calcistica (11 a 2) rende bene l’idea del risultato, ma non bisogna fermarsi qui. Per una valutazione politica accorta si dovrebbe sempre scavare un po’ di più gli aspetti qualitativi e quantitativi del voto. Un impegno in questa direzione non sminuisce minimamente l’esito, ma aiuta a individuare i punti forti e quelli deboli sollecitando misure e strategie adeguate per le prove successive.

 

CONFRONTO REGIONALI 2005 E REGIONALI 2000

 (VOTI PRESIDENTI)

 

 

Nella tabella vengono confrontati i voti di “coalizione” del 2005, con quelli delle precedenti regionali del 2000. La graduatoria è data dalla variazione dell’indice dei voti (2000 = 100) riportato nella terzultima colonna, tale indice consente di valutare gli incrementi in proporzione ai voti espressi nelle singole regioni. Nelle ultime due invece sono evidenziate le differenze assolute in voti e le variazioni percentuali.

 

Il centrosinistra cresce ovunque, anche se in misura diversa, realizzando un incremento di oltre 2 milioni di voti. Il Piemonte si colloca in testa alla graduatoria sfiorando il 30% di aumento della propria base elettorale. Anche nel confronto tra percentuali resta in prima posizione con un + 11,4%. Seguono la Calabria, la Puglia, l’Abruzzo e poi, ben piazzata, la LOMBARDIA (con una crescita dei consensi pari al 18% e una variazione percentuale significativa + 10,1%).

 

 

Il centrodestra è in calo di voti in tutte le regioni. In questo caso l’ordine decrescente riferito all’indice riguarda le perdite che ammontano complessivamente a 2 milioni di voti in meno.

L’arretramento più vistoso si registra proprio in Lombardia dove pure ha vinto con il 53,4%. Qui la diminuzione dei consensi è di ben 755.592 voti, pari al 28% di voti in meno di quelli ottenuti nel 2000. Da notare che il dato lombardo incide per quasi il 40% sulle perdite complessive. Altrettanto rilevante l’arretramento in Campania e Toscana, mentre la Calabria segnala la maggiore variazione percentuale negativa – 10,1%.

Il miglior risultato è quello ottenuto nella Puglia e nel Lazio, le due regioni dove, non a caso, il risultato è stato incerto fino quasi all’ultimo voto.

 

Le “altre liste” concorrenti hanno ottenuto complessivamente 781.000 voti pari al 2,8% (la differenza con le precedenti regionali è negativa sia in voti (- 305.000) che in percentuale (-1%).

In nessun caso, neppure nel tanto enfatizzato caso Lazio, hanno avuto un ruolo determinante nella vittoria o nella sconfitta dei due schieramenti principali.

Le punte più basse si registrano in Liguria (0,8%) e Puglia (0,9%). L’eccezione è data dal Veneto dove le “altre liste” hanno raccolto il 7% dei voti.

Sopra la media delle 13 Regioni si collocano: la Campania con il 4%, le Marche con il 3,7%, l’Umbria con il 3,4% e la Lombardia  (3,0%).

In termini assoluti la perdita sulle precedenti regionali è di 305.000 voti.

Nel 2000 la sola lista dei Radicali aveva ottenuto 715.000 voti “di coalizione” (2,6%).

 

VOTI PRESIDENTI RIEPILOGO 13 REGIONI

 

Regionali 2005

Regionali 2000

Differenza

Centrosinistra

14.547.505

12.518.552

   2.028.953

Centrodestra

12.119.192

14.065.128

- 1.945.936

Altri

     781.285

  1.086.682

    -305.397

TOTALE

27.447.982

27.670.362

-222.380

 

La tabella riassume il quadro generale emerso dal voto evidenziando le variazioni intervenute tra le due elezioni. L’incremento di ben due milioni di voti a favore del centrosinistra e la perdita, quasi equivalente, dell’altro schieramento non autorizzano a trarre conclusioni affrettate.

Tra perdite e guadagni infatti non esiste un rapporto automatico. I travasi da una parte all’altra sono, ovviamente, sempre possibili (soprattutto nelle cosiddette “fasce centrali” dell’elettorato), ma difficilmente assumono dimensioni tali da rovesciare i rapporti di forza.

Da dove provengono allora i voti in più del centrosinistra? Una risposta più certa potrebbe essere data da una seria analisi dei “flussi”, ma non disponendo di sofisticati strumenti analitici la cosa ci risulta difficile. Si può però tentare una interpretazione un po’ più artigianale tenendo conto dei dati relativi all’affluenza alle urne (e alla loro distribuzione territoriale) e quelli relativi ai voti ottenuti dalle liste.

Vanno inoltre considerati gli effetti dell’esercizio di una delle modalità di voto previste, quella del voto disgiunto ovvero della possibilità di votare la lista proporzionale di uno schieramento e un presidente di parte avversa. Infine va tenuto presente che gli elettori “radicali” si sono trovati senza lista di riferimento.

 

La componente più rilevante di tale “spostamento” è rappresentata certamente dal fenomeno denominato “astensionismo fluttuante”. Sono in molti ormai a riconoscere che, nell’ultimo decennio, i diversi risultati delle elezioni sono stati principalmente determinati dall’astensionismo più che da passaggi diretti da uno schieramento all’altro.

 

In questa consultazione appare evidente che la decisione di non partecipare al voto o di annullarlo in cabina, ha interessato, in modo prevalente, gli elettori di centrodestra. 

All’opposto, una parte degli elettori di centrosinistra, astensionista nel 2000, ha trovato maggiori motivazioni per tornare ad esercitare il diritto di voto.

Nelle tabelle seguenti sono riportati i voti di lista e i voti dei presidenti per schieramento e regione.

La scelta di voto al solo candidato presidente comporta generalmente una “penalizzazione” del voto di lista (con conseguenti ricadute negative sul numero dei consiglieri eleggibili).

Gli effetti di tale opzione si manifestano in modo diversificato sia tra gli schieramenti che nella distribuzione territoriale.

 

 

 

 

 

Nella distribuzione dei voti, tra parte maggioritaria e parte proporzionale, sia il centrosinistra che il centrodestra realizzano il risultato migliore nel voto ai presidenti.  Per l’Unione i voti di lista sono inferiori di 1,6 milioni (-0,4%); per le liste della CdL il consenso si riduce di poco più di un milione, ma il valore percentuale assume un segno positivo (+1%).

 

Osservando i dati disaggregati per Regione emerge un dato estremamente interessante: nelle tre regioni (Campania, Calabria e Liguria) in cui le liste di centrosinistra ottengono la performance migliore, con  percentuali superiori a quelle dei presidenti e con uno scarto ridottissimo di voti, il centrodestra registra le maggiori differenze percentuali negative, pur con scarti minimi nei voti assoluti. In queste tre regioni gli elettori di centrosinistra scelgono di votare più le singole liste che non la coalizione; il voto di appartenenza è più “aggregante” del voto al candidato presidente.

All’opposto nel centrodestra è il candidato presidente a conseguire il risultato migliore.

 

Si può dedurre che in queste regioni gli elettori di centrosinistra hanno trovato una più forte motivazione nel partito di riferimento che non nel candidato presidente. Quelli di centrodestra invece, punendo maggiormente le liste, segnalano l’esistenza di una crisi profonda solo in parte compensata dalla scelta del solo voto al presidente, molti altri si sono rifugiati nell’astensione. Non a caso due regioni della terna (Calabria e Liguria) prima governate dal centrodestra sono state conquistate dal centrosinistra.

 

In altre tre regioni (Lazio, Veneto, Lombardia) dove, per il centrosinistra, lo scarto in voti e percentuali rivela una più forte “attrazione” del candidato presidente rispetto alle liste collegate. In questo caso la crisi riguarda il non adeguato “radicamento” di tali partiti; pertanto la prevalenza massiccia del solo voto al candidato presidente ne è una conseguenza diretta. Non a caso si tratta di tre regioni in cui il centrodestra, nonostante la perdita del Lazio, vanta nei confronti del centrosinistra i rapporti di forza più favorevoli e realizza nel voto di lista i suoi risultati più significativi.

 

Questi dati risentono certamente della distorsione personalistica, accentuata dal sistema maggioritario. Osservando con attenzione l’articolazione e la distribuzione del voto si può facilmente dedurre che l’esito del voto dipende più che dai candidati presidenti dalle diverse dinamiche sociali, dal radicamento reale dei partiti, dalla capacità di interpretare e rappresentare domande e aspirazioni dei cittadini.

 

ESITO DEL VOTO NELLE 13 REGIONI

VOTI DI LISTA - PARTE PROPORZIONALE

 

Voti di lista nelle 13 regioni e confronti con elezioni precedenti

 

Anche nella parte proporzionale (voto di lista) si conferma il rovesciamento di posizioni tra i due schieramenti principali. Nel 2000 il centrodestra si era affermato staccando nettamente il centrosinistra (da quattro anni al governo). Quel voto, allora colpevolmente sottovalutato, “anticipava” purtroppo l’esito rovinoso alle “politiche” dell’anno successivo.

 

 

 

Reg. 2000

Pol. 2001

Eur. 2004

Reg. 2005

 

Prop.      Magg.

Prop.

Prop.

Prop.     Magg.

Centrosinistra

44,3           44,3

46,9

46,3

 52,7           53,0

centrodestra

52,3           49,8

49,8

46,6

 45,5           44,2

differenza

- 8,0           -5,5

- 2,9

- 0,3

+ 7,2         + 8,8

La tabella sintetizza l’andamento del quinquennio evidenziando il progressivo modificarsi dei rapporti di forza, con ribaltamento finale, a vantaggio del centrosinistra. I voti 2001 del centrosinistra comprendono Rifondazione, Italia dei Valori e Democrazia europea (Udeur + D’Antoni).

 

Da notare la particolare diversità nelle espressioni di voto tra proporzionale e maggioritario: nelle due consultazioni regionali il centrosinistra si posiziona meglio nel voto ai presidenti, mentre il centrodestra ottiene migliori risultati nel voto di lista.

 

Si può desumere che tra gli elettori della casa delle libertà la logica di “appartenenza” alle singole formazioni risulta più forte delle “ragioni” unitarie. La diversità di scelta tra gli elettori dei due schieramenti trova conferma anche dal confronto fra valori assoluti (vedi tabella successiva).

 

 

La tabella seguente riporta i voti espressi ai presidenti e alle liste. Nell’ultima colonna si rilevano i voti in più ottenuti dai primi rispetto alle seconde.

REGIONALI 2005 voti presidenti e voti di lista a confronto

 

Presidenti

Liste

Differenze

Centrosinistra

14.547.082

12.906.069

+ 1.641.013 

Centrodestra

12.118.333

11.127.240

 +   991.093

Altri

     768.186

     442.130

  +  326.056

TOTALE

27.433.601

24.475.439

+ 2.958.162

I voti di lista sono quasi tre milioni in meno rispetto a quelli dei presidenti.

 

Ogni 100 elettori che votano un presidente 12,1 “trascurano” il voto di lista. Considerando tale scelta per singolo schieramento risulta che la negazione del voto di lista è alquanto diversificata: 12,8 nel centrosinistra, 9 nel centrodestra, ben 73,8 negli “altri”.

 

Alla luce di tali dati si può affermare che una quota significativa di elettori del centrosinistra è più propensa a ”premiare” la coalizione, individuando in essa un valore aggiunto rispetto alla mera appartenenza di partito. Ci sono però anche altre ragioni. A volte il voto al solo presidente (o anche ad un’altra lista) diventa un modo per segnalare al partito di riferimento la propria insoddisfazione. In questi casi la “presa di distanza” danneggia la lista, ma non la coalizione. Quando la critica si fa più acuta, trasformandosi in delusione, dal voto al “non voto” il passo è breve.

 

Tra gli elettori di centrodestra invece appare più importante il voto di lista.

Spesso la somma dei voti di lista è pari o superiore ai voti ottenuti dal candidato presidente. La logica di appartenenza partitica prevale su quella di coalizione, perciò il passaggio intermedio (voto al solo presidente) è molto meno praticato. La delusione o l’insoddisfazione si manifestano più facilmente nella scelta del non-voto (astensione o annullamento del voto).

 

Dopo una fase di “parcheggio” nell’area dell’astensione è possibile che si verifichi un ritorno alla partecipazione attiva. Tale tendenze è già stata rilevata in precedenti consultazioni, soprattutto in Lombardia e nel resto del nord, dove con largo anticipo rispetto al resto del Paese, si è assistito ad una concentrazione impressionante di consensi, prima a favore della Lega poi di Forza Italia.

Le delusioni seguenti hanno spinto una quota crescente di elettori verso l’astensione (già nel voto del 2001 questa scelta aveva consentito al centrosinistra di registrare risultati in controtendenza rispetto al quadro nazionale). Nelle tornate elettorali successive alle politiche del 2001 si manifesta, tra gli elettori di centrodestra, una crescita costante dell’astensionismo. A sua volta il centrosinistra, mantenendo i propri elettori o recuperandone altri dall’area dell’astensione, realizza risultati progressivamente più favorevoli dalle amministrative 2003 alle europee 2004, fino alle recenti regionali.

 

Dopo il 2001 assistiamo, seppure in misura limitata, a significativi spostamenti dall’area dell’astensione a quella del voto. In prevalenza si tratta di un movimento a favore del centrosinistra. Anche la Lega né ha usufruito, ma l’andamento è molto più oscillante.

Tornando ai risultati della parte proporzionale proviamo ad evidenziare i dati più significativi e le tendenze di fondo.

 

L’insieme delle liste di centrosinistra raccoglie più della metà dei consensi (52,7%) migliorando nettamente i risultati delle consultazioni precedenti (+5,3% sul 2004, +5,6% sul 2001, + 8% sull’anno peggiore il 2000).

Il fronte opposto si attesta sul 45,5% dei voti con le seguenti perdite:  -1,2% rispetto al 2004, -4,3 nei confronti del 2001,  -6,9% nei confronti del 2000.

Le liste “altre” arretrano del 4,1% sulle europee e, rispettivamente, dell’1.3 e dell’1,1 nei confronti delle politiche e regionali precedenti. E’ possibile che parte di questi voti “mancanti” si siano in realtà trasferiti sulle liste di centrosinistra. Non va infatti dimenticato che in questa consultazione elettorale non si sono presentati i radicali (che avevano ottenuto in precedenza circa 700.000 elettori).

 

I numeri nel centrosinistra

Uniti nell’Ulivo conquista il 33,8% con una crescita del 2,1% sulle europee, dell’1,9% sul 2001 e il 4,3% sul 2000. I voti comprendono anche quelli ottenuti dai partiti di riferimento nelle regioni in cui si sono presentati singolarmente (si tratta di circa 3 milioni di voti). Un esame più dettagliato consentirebbe di cogliere dinamiche e differenze tra le regioni con o senza Uniti nell’Ulivo. Ci limitiamo per ora a rilevare che nelle regioni in cui è stata presentata la lista unitaria la crescita è pari all’1%, nelle altre in cui ciascuno era presente con la propria lista l’incremento è del 6,6%. Va inoltre sottolineato che alla crescita percentuale corrisponde una significativa riduzione di voti (ad eccezione del confronto con le regionali precedenti)

 

Le restanti formazioni ottengono il 18,9% così distribuito: Rifondazione 5,6%, Pdci 2,6%, Verdi 2,6%, Udeur 2,4%, Italia dei Valori 1,1%, altre liste 3,9%.

 

Un appunto a parte meritano le altre liste di centrosinistra presentate in più della metà delle regioni interessate al voto. La loro caratteristica è che nel simbolo figura soltanto il nome del candidato presidente o della regione.

Tutte insieme hanno raccolto 954 mila voti (3,9%).

 

Buona parte di questi voti provengano, per scelta o per errore, da elettori delle liste “storiche” di centrosinistra. L’errore è possibile perché sono in molti ad essere convinti che votando il presidente si vota anche la lista, così come tanti altri per paura di sbagliare votano soltanto il nome del candidato presidente (anche perché nella campagna elettorale è comunque il punto di riferimento più visibile). La riproposizione del nome del candidato presidente anche nella parte proporzionale ha contribuito sicuramente ad alimentare ulteriormente la confusione e a “disperdere” voti (anche questo aspetto deve essere tenuto presente quando si mettono a confronto i voti delle liste “storiche” ottenuti alle regionali 2005 con il risultato di elezioni precedenti).

 

Rispetto alle europee del 2004 tutte le liste di centrosinistra, ad eccezione ovviamente delle “altre” perdono voti, ma solo Italia dei Valori (-1%) e Rifondazione (-0,7%) hanno un segno negativo sui valori percentuali.

Anche nel confronto con il 2001 la perdita di voti interessa quasi tutti (l’eccezione, in questo caso, è rappresentata dal Pdci) e tutti migliorano le percentuali (ad eccezione di Italia dei Valori)

Il risultato dei Verdi è in realtà migliore di quanto riportato nella tabella, il confronto infatti è con i voti ottenuti nel 2001 dal Girasole quando i VERDI si presentarono insieme allo SDI. Nel 2005 conquistano da soli quasi gli stessi voti ottenuti nel 2001 in compagnia dello SDI.

Rispetto al 2000 tutte le liste di centrosinistra migliorano sia in voti che in percentuale.

 

 

 

... e quelli nel centrodestra

 

E’ Forza Italia a subire il colpo più duro. Le perdite sia in voti che in percentuale sono nettissime rispetto a tutte le elezioni precedenti e sono talmente rilevanti da influire sulla crescita percentuale di tutti gli altri (a riprova che gli astensionisti si concentrano da questa parte): -1, 2 milioni voti (-2,3%) rispetto al 2004; -4,5 milioni (-10,3%) sul 2001; -1,7 milioni (-6,8%) sul 2000.

 

I partiti della CdL (tutti) perdono voti rispetto alle europee; le percentuali subiscono variazioni limitate: con segno negativo per AN (- 518mila  -0,7%) e nuovo PSI (-291.000 -0,9%), con segni contraddittori UDC (-35.800  +0,5%) e Lega (- 147.000 +0,1%). Anche le liste “altre” della cdl ottengono risultati analoghi a quelle del centrosinistra; anche per loro valgono le considerazioni fatte prima.

Nel confronto con altre elezioni precedenti particolare rilievo assumono le perdite di AN, in voti e percentuale, e la sostanziale tenuta della Lega.

 

Parte seconda: il voto in Lombardia