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LETTERE E COMMENTI

 

 

 

 

Il tema delle pensioni e delle conseguenze prodotte nel paese dalla riforma del welfare si dimostra piuttosto ostico da affrontare da parte dei vari media. Esiste una sorta di congiura del silenzio che vede accomunati tutti gli organi di stampa e, a maggior ragione, le reti televisive.

La TV pubblica e privata, in questo senso, ha dato prova di un impegno fuori dal comune nel nascondere le ragioni dei lavoratori e nell’enfatizzare le posizioni di chi vorrebbe drasticamente peggiorare il nostro sistema previdenziale. Ogni dibattito sul tema ha sempre visto una nettissima prevalenza di favorevoli ad una riduzione dei trattamenti pensionistici con qualche sporadica apparizione di un timido contestatore letteralmente travolto dalle urla dei convenuti ogni qualvolta tentasse di aprire bocca. La demolizione delle convinzioni presenti nella opinione pubblica viene perseguita con una tecnica vecchia e collaudata. Si presentano situazioni limite, situazioni che fanno gridare allo scandalo (pensionati statali con 20 anni di anzianità, pensioni faraoniche corrisposte a qualche boiardo di Stato, ecc.) per costruire un assenso popolare alla necessità di porre rimedio a tali manifeste situazioni di ingiustizia.

In realtà nessuno ha un particolare interesse a colpire qualche centinaio di pensionati d’oro così come tutti dovrebbero ormai sapere che chi, da statale, è andato in pensione dopo 20 anni di lavoro non può più essere penalizzato mentre gli attuali dipendenti statali sono soggetti (più o meno) alle stesse regole dei dipendenti privati.

Ma una volta creato un certo livello di consenso nell’opinione pubblica si può agire laddove realmente si vuole colpire: lavoratori vicini al raggiungimento del diritto alla pensione di anzianità, diritto conquistato con 35 e più anni di lavoro e di versamenti contributivi.

In questa palude silenziosa sfugge qualche volta ad un redattore la lettera di un cittadino che vive sulla sua pelle il dramma di avere perso il lavoro e di non avere ancora diritto alla pensione. Ecco quindi che, sporadicamente, molto sporadicamente, una lettera di poche righe trova spazio nella rubrica di un giornale senza mai uno straccio di un commento, di una replica da parte di giornalisti pronti a commentare qualsiasi cosa ed a commuoversi per ogni avvenimento, sempre a patto che l’oggetto della commozione non possa essere motivo di disturbo per il manovratore.

Non ci si deve illudere, su questo terreno non esistono grandi differenze di schieramento politico o ideologico, le schiere sono compatte ed obbedienti alla consegna del silenzio. Sta a noi che viviamo questa condizione di ingiustizia fare sentire la nostra voce in ogni situazione in cui ci sia consentito esprimerci.

In questo angolo del sito verranno pubblicate le lettere che abbiamo intercettato su quotidiani e settimanali nonché le mail che perverranno al sito anche solo per segnalarci qualche lettere ai giornali.

 

La Repubblica, 29 maggio 2001

Cinquantenni disoccupati (lettera firmata)

Sono convinta che il mio problema sia purtroppo comune a molti. Mi riferisco alla disoccupazione dei cinquantenni, ex dirigenti, ex quadri o semplicemente laureati come me. Viviamo un dramma, con rabbia e disperazione. Sentimenti alimentati tutti i giorni dalla lettura delle offerte di lavoro: giovani, dinamici, volonterosi, ecc., possibilmente gratis e massimo ventenni o trentenni per carità.

Quando giovane architetto giravo gli studi per trovare lavoro venivo respinta perché priva di esperienza, ora che finalmente e autonomamente sono riuscita ad acquisirla, vengo rifiutata perché vecchia. Chiedo pertanto a industriali, imprenditori, sindacati e governo: esiste una forza lavoro non utilizzata, con esperienze già acquisite e comunque con molta disponibilità all’adattamento sia logistico che finanziario (guadagnare meno che in passato è sempre meglio che non guadagnare nulla, ovviamente), volete decidervi a trovare una soluzione anche per noi poveri vecchi e farci rientrare nel mondo del lavoro ? D’altronde dobbiamo lavorare “solo” altri 15 anni.

 

 

La Repubblica, 29 maggio 2001

Rosario Mancini, Roma

Sono convinto che il mio problema sia purtroppo comune a molti. Mi riferisco ai licenziati, cinquantenni e oltre, che hanno maturato 35 anni di anzianità, ma non idonei ad andare in pensione. Viviamo un dramma con rabbia e disperazione. Persone che nessuna azienda riassume in quanto obsoleti. Ho scritto ad onorevoli, giornali e periodici ma nessuno si è degnato di una risposta. Faccio pertanto appello a tutti gli italiani che non hanno santi in paradiso ne protettori in terra, di unirci per far sentire tutti insieme il nostro grido di dolore.

 

 

 

La Repubblica, 8 agosto 2001

Lanfranco Razzoli, Savona

 

Tutti i giorni leggo il grido di dolore del governo e degli organi finanziari comunitari sulla spesa pensionistica.

Nessuno pensa a quei cittadini nati dopo il 1948 che hanno cominciato a lavorare precocemente e che ora hanno maturato 35 anni di contributi (reali non convenzionali). Ci dicono che siamo troppo giovani per la pensione, come se alla nascita avessimo sottoscritto un contratto per la durata della vita eterna. Nessuno pensa al logoramento di una vita di lavoro, ai problemi che alcuni di noi hanno: perdita del lavoro, titolari di aziende commerciali in crisi che avrebbero il diritto di ritirarsi, ma per la legge Dini sono ancora troppo giovani …

Certo alcune categorie di lavoratori possono usufruire di ammortizzatori sociali pur non avendo nemmeno i 35 anni di anzianità, ma noi che ormai li abbiamo o che stiamo per raggiungere questo sospirato traguardo, veniamo dimenticati. Fondiamo un gruppo che cerchi di abrogare questa parte della legge Dini.

 

 

per ulteriori informazioni: atdalit@yahoo.it

 

 

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